Fino a dove può spingersi il marketing?
Questa è la domanda che ci viene in mente quando pensiamo alle aziende (ancora poche) che si stanno unendo al “famolo strano” in Italia (e non solo). E così il campionario è composto da vini affinati nel mare per un anno e più e ripescati con aiuto di gabbie e sommozzatori, con conchiglie attaccate alle etichette, bottiglie che permangono sotto la neve in alta quota, vini addirittura lasciati oltre 24 mesi nelle catacombe. Da ultimo alcuni esemplari di una famosissima etichetta di Bordeaux (che in questo caso non ha bisogno di nessun tipo di marketing), lasciati diversi mesi in orbita e poi messi all’asta ad un prezzo da capogiro.
E poi vini temporanei (quest’anno compro le uve in Sicilia e faccio un’etichetta, il prossimo vado in Friuli perchè là è meglio), e molte altre novità che non sappiamo, saranno sicuramente in campo.
Non indichiamo appositamente il nome delle aziende coinvolte, lasciamo al lettore, qualora ne abbia voglia, la scoperta delle stesse.
Curioso, in alcuni casi è il coinvolgimento tardivo delle università, della serie: io intanto commercializzo il vino e poi chiedo ai ricercatori di valutare i benefici del metodo.
Ben vengano nuove sperimentazioni, dal nostro punto di vista, ma non possono essere lasciate solo a motivi di promozione e marketing, e non suffragate da valide e concrete argomentazioni sulle nuove metodologie.