Nel piccolo mondo degli eno-maniaci italiani, ho ormai imparato che negli ultimi anni le mode si affermano e scompaiono repentinamente, un po’ come succede per la politica.
Agli albori del nuovo millennio, parlare di vino bianco in Italia equivaleva o quasi a guardare prima di tutto al Friuli. Era inevitabile, del resto, visto che tra i maestri della vinificazione “in bianco”, senza bucce e svolgendo la fermentazione malolattica (pratiche impensabili o quasi nel nostro Paese fino a 40-50 anni fa) si annoveravano i vari Jermann, Felluga, Schiopetto…
All’inizio del Duemila, con una strategia comunicativa azzeccata ma che purtroppo si esaurì abbastanza presto, nelle enoteche di Roma, Milano e non solo, trionfavano i super whites del Collio e dei Colli Orientali del Friuli, ottenuti da Chardonnay, Sauvignon, dai due Pinot e soprattutto da Tocai. Ecco, forse fu proprio l’incomprensibile bando europeo al nome Tocai, che aveva comprovate radici storiche nelle campagne di Udine e Gorizia e nulla a che vedere con il vitigno Furmint da cui si ricava il dolcissimo nettare ungherese, a segnare un punto di svolta negativo, almeno in termini di comunicazione, per l’intero comparto bianchista del territorio. Senza trascurare l’affermazione di un “vecchio stil novo” che prediligeva da una parte un’attenzione maggiore all’acidità (virtù che il Friulano, ex Tocai, non può vantare tra le sue caratteristiche principali), dall’altra un ritorno a metodi ancestrali di macerazione delle bucce, proprio in controtendenza rispetto alla rivoluzione dei decenni precedenti.
È una condizione in cui il vino friulano, soprattutto bianco, si dibatte tutt’oggi; ma trovo davvero ingenerosa l’indifferenza con cui da qualche tempo una parte della critica e degli appassionati accolgono vini che hanno segnato la storia enologica italiana in termini di qualità e anche di successo commerciale.
Da anni, uno degli esponenti di punta di questa aristocrazia friulana è senza dubbio Adriano Gigante. Il suo “Tocai” (anche se oggi non si può più chiamarlo così) del vigneto “Storico” è stato spesso giudicato tra i migliori all’interno di una agguerritissima pattuglia di concorrenti. E lo è ancora oggi. Ma le sue energie non si esauriscono con l’uva principe del Friuli, anzi: nella seguente degustazione, in cui ho esaminato gran parte delle numerose referenze della cantina di Rocca Bernarda, è prima di tutto da sottolineare l’ottima qualità di tutti i vini, rossi compresi. Testimonianza di un lavoro serio e solido, che non rinuncia, a prescindere dalle mode, a proporre bottiglie con una precisa identità stilistica e territoriale.
Ci troviamo sulle colline di Corno di Rosazzo, all’interno del “grand cru” Rocca Bernarda, nel cuore dei Colli Orientali, non lontano dal confine con la Slovenia e a un’altitudine compresa tra i 100 e i 350 metri s.l.m., con strati di marne, arenarie e flysch. La cantina è stata fondata nel 1957 dal nonno di Adriano, Ferruccio, un mugnaio che coraggiosamente decise di puntare sul vino (un Tocai che vendeva interamente a un’osteria del paese). Negli anni Ottanta il giovanissimo nipote decise di imbottigliare ed etichettare, con la ormai celebre immagine del pavone, i vini dell’azienda. A oggi Gigante conta su un patrimonio vitato di 25 ettari e mette sul mercato circa centomila pezzi all’anno. Ad aiutare Adriano ci sono la moglie Giuliana e il cugino Ariedo, enologo.
Pinot Grigio Friuli Colli Orientali Doc 2017. Vinificato in stile ramato, come è frequente negli ultimi anni in Friuli. Naso spiccatamente floreale, vegetale (erba sfalciata e menta fresca), poi fruttato, con pera, mandarino, pesca e buccia di limone; bocca più dolce che tesa (è una sorta di marchio di fabbrica, come vedremo), molto saporita, finale di media espansione con tendenza balsamica e agrumata e ritorni di pesca matura e miele millefiori.
Malvasia Friuli Doc 2017. Odora di nespola, buccia di pesca, fiori bianchi, albicocca, con sbuffi tropicali e una leggera mineralità. Al palato è generoso di frutta bianca matura e ha una buona dinamica, cresce molto con il passare delle ore, regalando sale e sostanza, il finale è abbastanza lungo e sapido su toni cerealicoli e balsamici.
Sauvignon Friuli Colli Orientali Doc 2017. Olfatto molto aderente al varietale, quasi didattico con foglia di pomodoro, salvia e frutta esotica, cedro e mandarino, poi anche spezie leggere (curcuma, zafferano, pepe bianco). Sorso di buona tensione e contrasto, struttura e sapidità, grasso ma succoso, persistenza notevole su pompelmo e menta.
Friulano Friuli Colli Orientali Doc 2017. Profumi lievi di fiori bianchi, scorza di limone, cereali, frutta secca, spezie ed erbe dell’orto. Beva gustosa, dolce e sottile, solo un po’ frenata da una nota amaricante che attraversa tutto l’assaggio, chiusura asciutta e decisamente ammandorlata.
Friulano “Vigneto Storico” Friuli Colli Orientali Doc 2017. Naso di nocciola fresca, frutta gialla, zucchero di canna, finocchio, salsedine, toni affumicati, la parte vegetale richiama vagamente al Sauvignon. Vino ricco e rotondo, orgogliosamente legato allo stile dei super whites di vent’anni fa. Bocca ampia e cremosa, articolata e di gran classe, fibra “rocciosa”, bell’allungo di melone e pesca, il finale manca un po’ in acidità ma è sincera espressione di vitigno e terroir. Deve e può crescere ancora. Da viti di oltre 75 anni.
“Storico” & Friends Friuli Doc 2017. Ultimo nato in casa Gigante e unico vino frutto di un blend (tutte le altre referenze sono da monovitigno): il 50% proviene dal vigneto storico di Tocai, il 30% da Malvasia Istriana e il 20% da Ribolla Gialla. Tiratura per ora limitata. È a suo modo un recupero di una tradizionale pratica anche di questa zona, che prevedeva appunto un mix di uve diverse per il bianco. Odori di frutta secca, fiori gialli, agrumi ed erbe aromatiche, con l’ossigenazione arrivano anche albicocca, pepe verde e risvolti vegetali. Molto saporito, lineare, progressivo, tonico, elegante, con gradevole chiusura leggermente ammandorlata e cenni di cedro.
Merlot Friuli Doc 2016. Prugna, liquirizia, china, spezie orientali all’olfatto, poi esce una sfumatura balsamica assai nitida e intrigante. Al palato è scattante e di bella maturità, con tannini fitti e morbidi, reattivo, con una buona impalcatura acida per gli standard della tipologia. Persistenza lunga, precisa, croccante, su toni speziati e fruttati. Riuscito connubio di struttura, bevibilità e complessità. Una risposta chiara a tutti coloro (me compreso) che pensano sia impossibile fare un buon Merlot in Italia.
Schioppettino Venezia Giulia Igt 2013. È forse il vitigno autoctono a bacca nera più interessante del Friuli, con struttura ed eleganza, meno conosciuto di quanto meriterebbe, dopo aver rischiato l’estinzione a fine anni Sessanta. Naso tipicamente speziato (pepe nero, noce moscata e cannella), frutta matura (mora e prugna), sfumature selvatiche e di carne cruda. Tannino dolce, ottima estrazione, beva ampia, succosa e carnosa, con bei rimandi di mirtillo nel finale e un lato vegetale e aspro che toglie qualcosa in termini di intensità ma regala agilità e contrasto. Matura per poco più di un anno in barriques e tonneaux.
Pignolo Friuli Colli Orientali Doc 2008. Altro tipico esemplare di rosso locale, recuperato circa 40 anni fa dopo un oblio che stava per farlo sparire del tutto, come lo Schioppettino. Diversissimo dal precedente in quanto dominato dalla potenza dei tannini, che possono ricordare il Sagrantino, e dall’alcool. Non a caso viene proposta una bottiglia invecchiata già oltre dieci anni… Profumi sulle prime spiccatamente balsamici (menta, ginepro) e minerali (cenere spenta), poi escono il sottobosco, la frutta e l’alcool (amarene sotto spirito, distillato). Tannini potenti, ancora leggermente ruvidi, chiusura segnata dalla mora matura e dalla frutta secca. Di beva impegnativa, ma autentico e sincero ambasciatore di un’uva “naturalmente” ricca e vigorosa. Affinato per due anni in botti di rovere da 350 litri.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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