Il Verdicchio marchigiano, la cui produzione si concentra prevalentemente negli areali storici di Jesi e di Matelica, ha conosciuto negli ultimi 20-30 anni un salto di qualità notevole, passando dall’immagine un po’ folkloristica della bottiglia a forma di anfora, che ne aveva decretato il successo di pubblico ma svilito le potenzialità, allo status odierno, cioè uno dei più grandi vini bianchi italiani.
Merito di tutto questo, oltre alle grandi aziende che hanno pian piano accantonato la “strategia dell’anfora”, rivelatasi di corto respiro, è soprattutto dei numerosi artigiani che hanno seguito l’esempio di pochi pionieri e a partire dagli anni Novanta hanno letteralmente riscritto i parametri del buon Verdicchio: bevibilità, ampiezza, struttura, corpo, ricchezza aromatica e longevità.
Oggi, per fortuna, è sempre più frequente imbattersi in bottiglie di Jesi e di Matelica di grande qualità, che accompagnano magnificamente i cibi (l’eclettismo del Verdicchio a tavola è quasi proverbiale), spesso prodotti da aziende di piccole dimensioni che hanno saputo investire sulla propria passione, sulla competenza acquisita anno dopo anno, e su un territorio collinare naturalmente vocato a produrre vini di alto livello.
Una di queste aziende, di fondazione piuttosto recente ma che ha saputo bruciare le tappe in pochissimi anni, è Col di Corte. Nel 2012 quattro amici uniti dalla passione per il vino rilevarono una vecchia cantina di Montecarotto.
Uno di loro, Giacomo Claudio Rossi, produttore cinematografico (c’è lui dietro la realizzazione del film “Resistenza naturale” di Jonathan Nossiter), si occupa oggi a tempo pieno dell’azienda, coadiuvato dall’enologo Claudio Caldaroni.
Col di Corte si estende su circa 12 ettari: quattro dedicati al Verdicchio, tre al Montepulciano, due alla Lacrima di Morro d’Alba, due al Sangiovese e uno al Cabernet Sauvignon. Fin da subito sono stati adottati i metodi biologici, per poi passare dal 2016 alla biodinamica, dopo aver seguito un corso di Nicolas Joly e Stefano Bellotti.
In cantina le vinificazioni avvengono separatamente parcella per parcella e le fermentazioni sono spontanee grazie all’azione dei lieviti indigeni.
Ma lasciamo la parola a Giacomo Rossi: “Produciamo vino con l’intenzione di offrire un alimento (non un prodotto) che sia sano, piacevole e di buona bevibilità. Siamo convinti che l’artigianalità, in ogni tipo di lavoro, sia l’arma vincente. Ci piace il confronto con la natura e per questo i simboli delle stagioni sono il nostro segno distintivo che a seconda dell’andamento precedente la vendemmia mettiamo su tutte le etichette dei vini. Il differente evolvere delle stagioni nel corso di ogni anno regala alle uve caratteristiche irripetibili. Ma lo stile rimane lo stesso: naturalità unita a pulizia e stabilità ottenute tramite un lavoro fisico e non chimico sia in cantina che in vigna. Controllo della temperatura in quasi tutti i processi fermentativi, raramente filtrazione solo nei bianchi, basso o nessun apporto di solforosa, raro l’uso dei contenitori vinari in legno”.
Ho degustato di recente le ultime annate di alcuni dei vini prodotti da Col di Corte, e queste sono le mie impressioni. Anzitutto, una premessa generale: al di là della qualità intrinseca di ciascun calice, sono tutti vini che abbinano uno stile dai tratti essenziali, mai ridondante, con una precisione tecnica per così dire spontanea, davvero “naturale”. Un inno alla sobrietà e alla misura che è anche profondamente attuale, contemporaneo.
I VINI
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore DOC Anno Uno 2018. Esposizione a sudest, per questo sono le uve che vengono raccolte per prime. Rese di 70 quintali per ettaro, solo acciaio. Profumi di frutta secca, erbe aromatiche, anice, pompelmo, nocciola fresca, fiori bianchi e pera. Sorso molto preciso e saporito, pulito, succoso, ben distribuito, ottimo allungo e finale asciutto ma ben definito di limone e mandorla amara. Un vino fresco e di grande bevibilità.
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore DOC Vigneto di Tobia 2018. Esposizione a nordest, a circa 200 metri s.l.m., si tratta della vigna più vecchia di Col di Corte, di circa 45 anni. Qui l’argilla prevale sul calcare, a differenza delle altre giaciture aziendali. Vendemmia successiva a quella dell’Anno Uno, per ricavare più corpo ed estrazione. Rese di 40-50 quintali per ettaro, solo acciaio. Naso sulle prime non molto concessivo, frutta secca e agrumi (albedo di limone, bucce candite). Poi si apre sul caratteristico anice, con spezie leggere, torba, caramello, crema pasticcera e una lieve traccia balsamica. Bocca avvolgente e di bella sapidità, polposa, frutto dolce ma colto al punto giusto, buona freschezza, in persistenza tornano l’anice e la frutta secca, accompagnate da sensazioni di frutta gialla e di mandarino e da una decisa scodata salina che bilancia la dolcezza. Vino solido, meno immediato del precedente.
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva DOCG Sant’Ansovino 2016. Le uve provengono da una singola vigna di trent’anni, allevata non a guyot come le altre ma col sistema tradizionale del doppio capovolto, che sviluppa il tralcio verso l’alto e favorisce la ventilazione e quindi una raccolta più tardiva senza temere l’insorgere di malattie a causa dell’umidità. Infatti sono le ultime uve bianche a essere raccolte. Vinificato e affinato per diciotto mesi in tonneaux. All’olfatto si presenta con note vegetali, di grano, pietra focaia, cenni di frutta tropicale, spezie come cardamomo, l’immancabile anice, fiori gialli, coscia di monaca, mantenendo comunque un assetto piuttosto severo e minerale. Al palato entra deciso ma al tempo stesso con una certa souplesse, gustoso, incisivo, profondo, denota struttura e sapidità, chiude lungo con un bel gioco a due tra il frutto dolce e giallo e una tendenza più fresca e agrumata. A mio avviso sarà al top tra qualche anno.
Becce Vino Rosso Frizzante S.A. Da uve Lacrima raccolte in leggero anticipo, parte del mosto viene separato e congelato per essere aggiunto nella primavera successiva e consentire così la rifermentazione. Profumi vinosi e leggermente vegetali, abbastanza primari e immediati, buona traccia di erbe aromatiche e more. Sorso saporito e originale, anche di discreta lunghezza, con l’acidità a prevaricare un po’, in particolare si avverte una visciola non matura. Classico vino da grigliata estiva o da primi piatti tradizionali con condimento saporito, semplice ma ben concepito ed eseguito.
Esino Rosso DOC 2017. Montepulciano in purezza, in una delle zone più a nord per la coltivazione di questo vitigno. Le uve, raccolte in ottobre, provengono da un vigneto a bassa quota (100 metri s.l.m.), riparato dalle colline circostanti, con un clima più caldo ma buona ventilazione. Solo acciaio. Naso prepotente, cuoio, pelliccia, sensazioni animali, poi ruggine e canfora, porcini secchi, sangue e inchiostro; con l’aria si avvertono anche i frutti di bosco e il tabacco. Bocca più armonica e dialogante, di struttura notevole ma dall’ottima estrazione tannica, risente un po’ dell’annata calda, leggermente pungente di alcol ma ben bilanciato dall’acidità e da un frutto molto vivo, finale di buona tensione, segnato dalle more e dai mirtilli, con un tocco metallico, quasi aspro. Un rosso moderno, robusto ma al tempo stesso facile da bere e da abbinare al cibo.
Sant’Ansovino Marche Rosso IGT 2015. Taglio paritario di Montepulciano e Cabernet Sauvignon con raccolta leggermente tardiva, vinificati e affinati separatamente in tini di rovere prima dell’assemblaggio. Olfatto profondo e intenso, more e cioccolato, speziatura di pepe nero, foglie di tabacco, cuoio. Sorso ricco e pieno, tannini molto fitti e croccanti, come molti 2015 sembra muoversi più in ampiezza che in verticalità, ha un’ottima materia ma forse non fa della dinamica gustativa la sua principale arma di seduzione. Chiusura un po’ contratta, ancora ipotecata dai tannini, di buona vena fresca e fruttata, ma è un vino che deve distendersi. A riprova del fatto che ha ancora bisogno di vetro per affinarsi, il giorno dopo la stappatura è effettivamente un poco più sciolto e disteso, e la beva ne guadagna.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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