Il mondo del vino italiano sta uscendo lentamente dall’incubo pandemia, ma la modalità della degustazione a distanza, che tanto successo ha avuto in questi mesi di quarantena, si è ormai imposta in termini assoluti come valida alternativa, potenzialmente complementare alle visite in cantina e alle tradizionali occasioni di assaggio dei vini.
Per questo ho risposto subito sì alla proposta di Riccardo Gabriele per conoscere meglio una realtà di Castellina in Chianti che di recente si è aggiunta al folto numero di aziende presenti nel suo portafoglio di press agent.
Si tratta di una tenuta millenaria, visto che le prime fonti storiche scritte sul Castello La Leccia risalgono al 1077. Annotando en passant che ha fatto parte per secoli dei possedimenti della famiglia Ricasoli, arriviamo ai giorni nostri, più precisamente nel 2018, quando l’ultimo erede della famiglia Daddi, che nel 1920 aveva fondato la cantina vera e propria e che è stata proprietaria del Castello negli ultimi cent’anni, ha ceduto l’azienda, comprendente anche un ristorante e un lussuoso agriturismo, all’imprenditore svizzero Rolf Sonderegger, il quale ha subito messo alla direzione un manager d’esperienza come Guido Orzalesi.
Siamo in uno dei Comuni storici del Chianti Classico, Castellina, ad altezze variabili tra i tre e i cinquecento metri, con buone escursioni termiche, su terreni di roccia calcarea (galestro e alberese). Per un totale di 170 ettari, di cui cinque a vigneto e dieci ad oliveto. Si coltivano solo Sangiovese, Malvasia Nera e Syrah di 10/20 anni di età, convertiti di recente a guyot. L’azienda è certificata biologica dal 2013. La varie parcelle di vigneto sono vendemmiate e vinificate separatamente per cercare la massima qualità delle uve. La fermentazione, avviata dai lieviti autoctoni, si svolge in vasche di acciaio a temperatura controllata. Dopo la svinatura il vino prosegue la fermentazione malolattica nel cemento o nel legno in modo da valorizzare la singola particella. L’affinamento avviene poi sia in vasche di cemento che in botti di rovere, tonneaux e barriques, a seconda dei vini.
In media si producono 50mila bottiglie all’anno, suddivise in quattro etichette: l’Igt Vivaio del Cavaliere, dove trovano spazio anche Malvasia e Syrah, il Chianti Classico “annata”, la Riserva e la Gran Selezione “Bruciagna”.
I vini a denominazione sono tutti 100% Sangiovese. In questa occasione ho potuto provare le ultime annate di tre vini, con la gustosa opportunità di abbinarli ai piatti del ristorante romano Il Ceppo prontamente spediti a casa. Uno dei tre, la Gran Selezione, è ancora il frutto della precedente gestione; il Chianti Classico 2017 sta in mezzo al guado, mentre il primo vero prodotto del nuovo corso è l’Igt 2018. Non a caso Orzalesi sostiene che l’azienda ha delle potenzialità inespresse: spetterà a lui ora il compito di valorizzarle.
I VINI
Vivaio del Cavaliere IGT Toscana 2018 (70% Sangiovese, 15% Malvasia nera, 15% Syrah). Frutto molto evidente, ribes, more e lamponi, rose e viole, speziatura elegante, pepe in grani, cenni minerali di terra e cenere. Bocca fresca e succosissima, giocata sul frutto primario, fragrante, beverina, deliziosa. Struttura non enorme e persistenza media, ma davvero godibile. Forse andrebbe bevuto a temperature più basse rispetto al solito standard dei rossi. Un vino per l’estate. Un bell’esordio del nuovo corso del Castello La Leccia.
Chianti Classico DOCG Castello La Leccia 2017. Naso scuro, ombroso, autunnale, un po’ chiuso inizialmente, terra bagnata, foglie secche, tabacco, cenni balsamici, con qualche minuto di aerazione escono le classiche ciliegie e le erbe aromatiche. Tannini serrati, leggermente verdi ma di buona qualità in relazione all’annata, acidità che dà supporto e allunga il sorso. Chiusura sapida e abbastanza succosa ma ancora un po’ astringente, deve sciogliersi. È il frutto un assemblaggio di quattro distinti vigneti, che di solito hanno caratteri e profumi assai diversi tra loro.
Chianti Classico DOCG Gran Selezione Bruciagna 2015. Nell’immediato tra i profumi fa mostra di sé un frutto maturo, giallo, poi l’amarena, le spezie orientali, il tabacco da pipa, lo stecco di liquirizia, il sottobosco umido. Dei tre è quello che senz’altro ha l’olfatto più “esotico”. Al palato è ampio e rilassato, il tannino comincia a distendersi, gli manca magari un pizzico di tensione ma è un vino accogliente, figlio legittimo di un’annata piuttosto calda. Finale giocato su un frutto dolce e saporito e sulle spezie leggere (cannella). Un vino più “orizzontale” che verticale. Ottenuto da una singola vigna (“Bruciagna”) situata in una delle zone più alte della proprietà, a circa 400 metri s.l.m.
Infine una curiosità, che spiega molto bene l’approccio e la filosofia aziendale di Sonderegger: l’annata 2020 sarà unica per Castello La Leccia, perché durante il lockdown tutti i dipendenti rimasti senza lavoro (cuochi, camerieri, ecc.) sono stati coinvolti nella lavorazione delle vigne. Un millesimo che almeno qui a Castellina in Chianti resterà davvero speciale.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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