Silenzio, solo il rumore del vento.
Una poiana libra sopra le nostre teste e ogni tanto sembra che nutra un ripensamento, curvando le sue ali ritraccia e torna indietro, come a controllare che tutto ben proceda.
Sotto di lei, oltre a noi, vasti filari di un vigneto. Una immagine che ce ne rammenta un’altra già veduta, terrazzamenti e vitigno a parte, del volo di una sua sorella nei cieli della amata Valtellina, luogo di adozione, e di origine della nostra consorte.
L’aspetto curioso è che non ci troviamo in una landa isolata, lungamente distante da un vasto centro abitato, e immersa in un bosco. Sorprende che l’oasi di natura dista appena dodici chilometri dal magico cerchio del Grande Raccordo Anulare: siamo alla periferia della Capitale, nei pressi di Monte Porzio Catone.
Stupisce, inoltre, che a poco da tanta bellezza giacciano rinomate produzioni enoiche prossime a esser definite di carattere industriale. Come spesso accade, la natura mette a disposizione se stessa, sarà poi l’uomo nel caso che potrà danneggiarla, non rispettandola, come in continuazione dimostra di essere capace.
L’aleggiare del rapace è il ricordo più intenso che ci portiamo via dopo la visita alla cantina di Casata Mergè, operante in loco fin dal 1960 grazie a Manlio Mergè.
Non era neppure nato, dovranno passare altri dieci anni, chi ci accoglie: il direttore Massimiliano, nipote del fondatore, il primo a commercializzare il vino in bottiglia. Suo padre, Luigi Mergè, classe 1942 e ancora attivo nella produzione e abbiamo avuto il piacere di conoscere. Nel suo lavoro, Massimiliano è affiancato dalle sorelle Beatrice e Marianna che si prendono cura della clientela ho.re.ca. A portare avanti la tradizione famigliare seguirà Jacopo, il figlio di Massimiliano, che al momento ha cinque lustri, ma è già parte integrante dell’azienda occupandosi del lato commerciale, ed essendo cresciuto fra i vigneti esattamente come suo padre.
Durante la visita all’azienda abbiamo avuto modo di partecipare a una inusuale verticale: sei differenti annate del Frascati Superiore, cinque delle quali, per giunta, in versione Riserva.
Che il vino in questione necessita di scrollarsi da dosso la vetusta opinione d’essere figlio di un Dio minore, che sia poco interessante, di poco spessore, destinato più alla fraschetta che a una fruizione colta, è oramai parere accettato dalla totalità delle persone che al vino si interessano. Le cose stanno cambiando e sono sorte delle realtà che hanno invertito il trend puntando esclusivamente sulla qualità, non a caso ci troviamo in una di esse. Molto ancora andrà fatto, dovrà diventare un progetto condiviso da ogni produttore e, soprattutto, occorrerà investire su una adeguata comunicazione, che allerti il consumatore che la sua polverosa idea appartiene oramai al passato. Solo allora si sarà arrivati all’intento, di replicare, ad esempio, ciò che riuscì a fare un altro bianco italiano, il Verdicchio, con sue denominazioni Classico Superiore di Iesi e di Matelica.
Ci siamo permessi anche di dare un suggerimento: puntare tutte le fiches su un unico numero, quello del grande vulcano del Lazio, il più vasto d’Europa fra quelli spenti, dimora dei vigneti di Casata Margè, giacché al termine della verticale in degustazione a tutti noi è risultato evidente che con il passare degli anni, la maturazione metteva alla luce il nucleo qualitativo del vino, la sua intrigante mineralità, netta e decisa, competitiva anche con altri vini italiani (abbiamo pensato per esempio al Timorasso), e perché no d’oltralpe.
Lo si vedrà in futuro, nel frattempo torniamo ai Mergè.
Tempo ne è passato da quando si recavano col carretto a vendere il vino in botte dei Castelli a Roma. Oggi la cantina produce attorno alle 400 mila bottiglie, attraverso 15 etichette, con 30 propri ettari vitati (per il Frascati troviamo in primis la Malvasia Puntinata, 7 ettari all’incirca, un quarto del vitato complessivo aziendale, poi Trebbiano, Greco, Malvasia di Candia, Bombino, Bellone; non mancano gli internazionali Sauvignon e Syrah che danno luogo a due differenti vini nella linea top di gamma Sesto 21, e infine Merlot, Chardonnay, Cabernet Sauvignon) oltre a circa un quarto dell’uva proveniente da conferitori, con una resa che varia da 80 a 90 quintali per ettaro.
Neanche piccola, perché non la conosciamo? Probabilmente venderà quasi per intero all’estero, pensiamo. Niente affatto: nelle intenzioni aziendali, difatti, questo mercato si intende incrementarlo poiché al momento rappresenta appena il 12-13% del complessivo (U.S.A., Messico, Polonia, Inghilterra). Stiamo per fare ammenda dell’incidente assumendoci interamente la colpa, quando il brand ambassador Leandro Cova ci dice una cosa, e mentre cerchiamo un c.i.d. nel vano portaoggetti, sappiamo che di concorso di colpa si tratta. In sostanza la vendita avviene tutta in forma diretta, o attraverso il loro sito oppure tramite la proposizione alla ristorazione romana e dei dintorni (siamo poco frequentatori dei locali di ristoro, lo ammettiamo). Poche le occasioni di trovare bottiglie di Casata Mergè sugli scaffali di un enoteca, a risposta di una nostra domanda un paio di nomi sono stati fatti, e non sono neppure tra i negozi di vino più noti.
Per circa un ventennio chi scrive ha condotto un’enoteca di proprietà, e siamo ancora del parere che queste siano lo strumento più idoneo ed efficace per comunicare il vino, pertanto la rete di vendita in essere, pur rispettabile poiché si tratta nient’altro di proseguire la tradizione di casa, ci ha sorpresi. Parlandone abbiamo avuto l’impressione che sarà in parte rivista, anche alla luce della necessità di valorizzare il Frascati Superiore come sopra evidenziato.
La tavola per la degustazione è già apparecchia all’interno della cantina, la visitiamo velocemente prima di recarci in vigna. Notiamo un trentina di barrique (ma complessivamente sono un centinaio) e sei botti di castagno da 28 ettolitri.
I vigneti sono distanti circa 800 metri dalla cantina. L’automobile che ci conduce, guidata da Massimiliano, svolta a un punto per percorrere una discesa, poiché l’area vitata, disposta in un unico (bellissimo) appezzamento, è praticamente una valle, protetta dalla strada dalla vegetazione, quindi i filari non sono al livello e ridosso della strada, seppur non molto lontani. Ciò crea indubbiamente un’area eletta nell’areale, che godrà di specifiche condizioni pedoclimatiche. Difatti, non appena mettiamo il piede al suolo, ecco che ci coglie l’auspicato vento proveniente dal Tirreno.
Siamo giunti alla tenuta dalle cui uve provengono i vini più prestigiosi dell’azienda, la linea Sesto 21, che deve il suo nome al sesto d’impianto cioè la disposizione geometrica e le interdistanze delle piante nella vigna. I filari sono allevati con la tecnica del Guyot, a 2 metri l’uno dall’altro e con un’interdistanza tra le piante di uno stesso filare di 1 metro. Una scelta rispettosa per l’ambiente. Al momento questa linea prevede quattro vini: il Frascati Superiore, la Malvasia passita, e due monovitigni internazionali, Sauvignon e Syrah.
I nostri ciceroni, che eloquentemente ci spiegano la conduzione e il territorio, sono l’agronomo Adriano Cesaroni prima, e l’enologo Maurilio Chioccia successivamente. Entrambi collaborano da numerosi anni con Casata Mergè, venti il primo e quindici il secondo.
Casata Mergè si avvale anche della collaborazione del preparatissimo enologo interno Giuseppe Andreozzi.
L’azienda sta operando per raggiungere al più presto la conduzione in biologico certificato. Già ora sono attuati degli accorgimenti miranti a una agricoltura attenta all’ambiente. Si gioca nel favorire gli antagonisti naturali dei parassiti, per limitare l’uso della chimica. A tal fine, zone di rispetto costituite da macchia mediterranea sono presenti al centro della tenuta. Si tende ad evitare prodotti sistemici, e sempre di più si utilizzano quelli, come la zeolite, che hanno uno scopo preventivo, togliere l’umidità dalle foglie per difendersi dagli attacchi fungini. Anche l’orientamento dei vigneti, a sud-est, su colline dove soffia il ponentino, aiuta a contenere lo sviluppo di malattie.
Ma l’aspetto principale è che, l’abbiamo anticipato, la vigna si trovi sopra un terreno vulcanico, con un suolo ricco di minerali importanti per la vite, quali potassio, magnesio (non solo per la vite, anche i runner sanno quanto siano rilevanti), fosforo e zolfo. Roccia tufacea di origine magmatica, e granitica, sia frazionata che ciottolata, sono visibili nei tratti di passaggio, quindi è un suolo altamente funzionale al drenaggio e all’assorbimento dell’acqua, che aiuta a regolare la fertilità del terreno.
Suolo che meglio comprenderemo quando, più tardi, faremo una insolita visita: una grotta che per almeno una cinquantina di metri percorre il limite del vigneto, ai cui lati ogni tanto incontriamo delle rientranze dove un tempo dimoravano delle botti, e i cui soffitti di silicio e lapillo sono quelli che arricchiscono la vite, che quando invece incontra il basalto va nella tanto auspicata sofferenza.
Osserviamo che in questa sede ci starebbe bene un anfora per affinare il vino: chissà, forse, in futuro…
Noi siamo qui soprattutto per osservare da vicino il vigneto di Malvasia Puntinata (biotipo pregiato diffuso quasi esclusivamente nella zona dei Castelli Romani) con 50 anni di vita, che rientra in quelli riconosciuti dall’associazione Old Vine Conference (ne parlammo in questa occasione: link), che si prefigge di salvaguardare e supportare la promozione dei produttori del pianeta che abbiano continuato a coltivare antichi vigneti dai quali produrre vini di qualità, e che è il principale attore del Frascati Superiore Sesto 21. In questo caso il sistema di allevamento non è il guyot, bensì il Geneva Double Curtain (una doppia spalliera in cui la vite è espansa orizzontalmente, e dove si procede con una potatura corta e vegetazione guidata a cadere), l’unico nell’areale del Frascati ad averlo, oltre ad essere estremamente raro a trovarsi: non si arriva a 4 mila ettari nell’intera superficie nazionale. Malvasia protagonista anche della fermentazione, perché questa avviene con una selezione di lieviti presi dalla pruina dei suoi acini. Raramente si ricorre ad altre soluzioni. Rendiamo merito a Massimiliano che, quando la famiglia nel 2021 ha acquistato questo vigneto che in precedenza era da anni in conduzione, ne ha immediatamente riconosciuto l’alto valore qualitativo.
Accarezzati dal vento, è giunto il tempo di tornare in cantina per la degustazione.
Abbiamo iniziato con l’unico vino bio aziendale, il Frascati Superiore Bio 1960 annata 2023. L’annata è stata difficile con problemi di peronospora e solo quattro trattamenti in vigna, il primo il 25 maggio. Vinifica e affina in solo acciaio. Come tutti i Frascati Superiore è un blend di vitigni. In questo caso la percentuale della Malvasia Puntinata normalmente si aggira attorno al 70%, nel 2023 è stata del 50%, e per il restante abbiamo, in parti quasi simili, Trebbiano, Greco, Malvasia di Candia, Bombino, Bellone.
Sensazioni di frutta gialla e mela verde, di frutto fresco e croccante. Note di fieno, erba tagliata e ginestrone, e infine una buona sapidità. L’annata, non ai vertici, penalizza lievemente il corpo, ma i ritorni di frutta gialla sorretta dall’acidità lo rendono piacevole.
A seguire abbiamo avuto la possibilità di provare ben cinque differenti millesimi della Riserva. La vinificazione del Frascati Superiore Riserva Sesto 21 avviene in acciaio, a seguire il 10% della massa subisce un affinamento in legno grande da 28 ettolitri, e il 90% in acciaio per nove mesi, ulteriori tre mesi in bottiglia. I vitigni sono gli stessi già sopra indicati con una percentuale della Malvasia che si aggira tra il 60 e il 70%. Come detto provengono dalla vigna cinquantenaria con una resa inferiore, attorno agli 80 quintali per ettaro. La fermentazione è lenta e progressiva e arriva anche a tre giorni.
Sesto 21 Frascati Superiore Riserva 2022. Giugno e luglio torridi con temperature massime sopra i 35°C. A causa delle scarse pioggie, annata con bassa produzione per ettaro e uve di alta qualità, con una maturazione in anticipo rispetto all’anno precedente.
Deciso e ampio. Frutta, mela renetta e pesca gialla su tutti ma anche suggestioni esotiche, con ulteriori note di fiori gialli e di erbe aromatiche. Sapidità gustativa e buona materia, supportate da acidità, con un finale molto morbido, suadente, e finemente ammandorlato.
Sesto 21 Frascati Superiore Riserva 2021. Inverno mite con scarse precipitazioni nel periodo primaverile. Estate costante, ma i picchi di temperatura agostana hanno fatto sì che si posticipasse la vendemmia delle uve precoci. La vendemmia di settembre è stata agevolata dalle temperature estive che hanno consentito di raccogliere in anticipo le uve tardive, preservando in tal modo l’acidità.
Ci arrivano delle sensazioni dolci, mielate, di miele d’acacia, e successivamente la frutta gialla. Sapido e garbato. Lievemente più sottile dell’annata precedente e meno glicerico. Buona acidità da sostegno in un finale piuttosto persistente.
Sesto 21 Frascati Superiore Riserva 2018. Febbraio (nevicata il 26 del mese) e marzo con abbondanti precipitazioni e temperature vicine allo 0 °C. Ma ad aprile c’è stata un inversione climatica che ha portato ad un anticipo della fioritura esponendo la vite a rischi di gelate. Aumento progressivo delle temperature in estate, con importanti piogge in agosto ritardando la maturazione di 15 giorni. Pertanto, al fine di tutelare la qualità delle uve, la vendemmia si è svolta in breve tempo.
La prima bottiglia non ci aveva affatto convinto, sentendo il vino decisamente evoluto, ma grazie all’intuito dell’enologo Maurilio Chioccia, con la seconda ci siamo trovati di fronte a uno dei migliori assaggi della giornata (al secondo posto, nella nostra personalissima classifica) e tra i Frascati degustati in assoluto.
Bouquet in equilibro fra le note minerali di ardesia e pietra focaia e quelle morbide di miele d’acacia. Non manca di freschezza e fragranza con sentori iodati, e una delicatezza floreale di ginestra. Ampio e glicerico, molto persistente, con alcol misurato e finale fruttato candito.
Sesto 21 Frascati Superiore Riserva 2017. Annata considerata in azienda tra le migliori del millennio. “Inverno freddo con piogge sotto la media stagionale, la primavera ha confermato l’andamento e l’innalzamento delle temperature ha causato un anticipo della fioritura. Estate calda e siccitosa, con picchi di temperatura sopra la media che hanno determinato una riduzione della produzione con una vendemmia in anticipo rispetto al precedente 2016. Questo ha portato ad una qualità eccellente dell’uva concentrando le caratteristiche tipiche di ogni vitigno riflesse nei vini prodotti.”
Molto elegante, intenso e minerale, e ancora decisamente fresco, quasi ai livelli del 2018 ma forse occorre sorprendentemente attendere le possibili capacità evolutive. Miele di millefiori e note morbide. Persistente e avvolgente, con finale di suggestioni di humus e sottobosco.
Sesto 21 Frascati Superiore Riserva 2016. “Inverno siccitoso e temperature sopra la media. Le pioggie di febbraio e marzo hanno permesso in parte di recuperare il bisogno idrico della vigna. Eventi temporaleschi e bel tempo si sono alternati a maggio e giugno permettendo una fioritura e un’allegagione senza particolari problemi di peronospora. Luglio e agosto siccitosi, hanno consentito una rapida maturazione delle uve, la quale è stata rallentata solo a metà settembre con la comparsa delle prime piogge autunnali.”
È stato il vino che maggiormente ci ha colpito, e di cui porteremo vivo il ricordo assieme alla poiana. Anche questo, infatti, sembra guardarci dall’alto con la consapevolezza di una propria superiorità. In volo ci siamo sentiti proiettati in altri luoghi, certamente al di fuori della regione, e ci fermiamo qui con paragoni che oltretutto sarebbero frutto della soggettività. Imponente e, con permesso, impegnativo. Qui i sentori minerali e iodati sono veramente decisi. Li accompagna della frutta gialla che finalmente è molto matura. Dolcezza da miele d’acacia, zucchero a velo, bergamotto, e tanta frutta secca immersa nel miele. Ampio e rotondo, fine ed elegante, ancora vivo in acidità, risulta appagante e suadente, in un finale molto persistente di candito.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
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