Parte la nuova rubrica di Vinodabere per celebrare un territorio a cui siamo legati da profondo affetto. Essere irpini, per il sottoscritto, significa tuffarsi nei ricordi di bambino, nel suono del dialetto che è rimasto anche nella mia dizione. Significa altresì il verde incontaminato sempre presente quando si osservano le colline adiacenti la città di Avellino. Infine, cosa non da poco conto, la tenacia degli abitanti di queste vallate in grado di resistere alle avversità quali terremoti, inondazioni e chi più ne ha.. Senza dimenticare il “curioso caso” della povertà estrema delle campagne nei tempi del boom economico. Una persona che ha saputo osare, reinventandosi per seguire la passione del padre, imprenditore edile che produceva vino in casa per scorte personali, è Ciro Picariello. Diplomato geometra, il lavoro tra i cantieri lo sente subito stretto: durante un intervento di ristrutturazione presso la proprietà di un agricoltore, scorse una serenità bucolica negli occhi del contadino.
Immaginò di non sentire lo stress stando a contatto con la natura. Non esiste una formula valida per tutti e così nel 1993, ereditando un piccolo podere di un ettaro dalla zia Filicella, decise di frequentare i corsi per agricoltore istituiti dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura. Nacque un gruppo di appassionati, dei quali solo Picariello riuscirà a fare il grande salto grazie anche all’amicizia ed ai consigli dell’enologo Carmine Valentino. Acquisì negli anni altri 3 ettari di vigne nell’areale di Montefredane a 65o metri di altezza, caratterizzato da suoli argilloso-limosi.
Il corpo principale dell’azienda resta a Summonte, ove ha sede sia la vecchia che la nuova, futuristica, cantina a basso impatto ambientale. Lì le altitudini scendono, ma salgono le pendenze e la presenza dei depositi piroclastici superficiali e del calcare sottostante genera vini corposi, conosciuti per mineralità e serbevolezza impressionanti.
Nel frattempo i figli Bruno ed Emma sono diventati adulti ed hanno iniziato a lavorare assiduamente in cantina, offrendo il loro contributo alla causa: il Fiano di Avellino declinato in diverse versioni, che andremo ad analizzare negli assaggi di giornata. Non manca a completare la gamma anche una piccola produzione di Taurasi, ancora in affinamento, e di Aglianico d’annata dedicato alla memoria di Zia Filicella.
Ciro si sente maggiormente bianchista, ma non rifiuta le sfide e la voglia di sperimentare del figlio Bruno lo stimola verso nuove mete. Il Metodo Classico Brut Millesimo 2019 nasce nel 2010 dall’esigenza di evitare la creazione di due cru distinti dall’esiguo numero di bottiglie.
All’epoca produceva sia Doc che Docg a base di uve Fiano ed optò per questa versione spumeggiante che incarna alla perfezione i sentori puri del varietale: fiori bianchi ed agrumi maturi. La nocciola tostata tanto declamata nel passato può essere il biglietto da visita di prodotti invecchiati, non un dono ubiquitario per ridurre a schemi superficiali la complessità di uno straordinario vitigno.
Fiano di Avellino Docg 2021 – evidenzia l’annata particolarmente generosa per aromi e struttura. Una sfumatura balsamica e tante essenze citrine e minerali. Persino un riverbero di ananas appena maturo e di frutta a guscio essiccata. Sorso lungo e salmastro, buono adesso o tra anni poco importa. Espressione di entrambe le aree, Montefredane e Summonte, ognuna con le proprie caratteristiche.
Fiano di Avellino Docg 2019 Ciro 906 – nasce da un’altra vendemmia di spessore come la 2012, quando avanzò un serbatoio da 25 ettolitri da gestire, oltre la normale produzione. Al momento fatidico dell’assaggio, emerse l’enorme potenzialità di quel vino proveniente dalle vigne storiche di famiglia. Colore giallo dorato, carattere da vendere, tra tocchi di miele millefiori, erbe mediterranee ed una leggera affumicatura sul finale di bocca. Lungo, praticamente infinito.
La versione del 2014 ha finalmente le classiche note di nocciola tostata che amano i cultori del Fiano. Non basterebbe a completare il quadro se non ci fossero in successione fiori appassiti di ginestra, menta nepitella e scorze di cedro. L’unica difficoltà di Ciro Picariello è quella di convincere suo padre che il suo vino è meglio di ciò che fa lui in cantina alla buona, in una vecchia botte di castagno ormai sfinita. Pazienza, non si può avere tutto nella vita, noi siamo stati pienamente convinti!
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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