Ne avevo sentito parlare anni fa ancora ai tempi dell’Enoteca Provinciale di Salerno, fulgido veicolo sperimentale di diffusione della cultura vitivinicola in provincia.
Da allora avevo perso le tracce, complice di sicuro una non facile comunicazione del prodotto, figlio di sperimentazioni continue in primis da parte dei produttori.
Non semplice il compito richiesto anzitutto perché impegalarsi tra miti, leggende e tradizioni rischia soltanto di creare ulteriore confusione. Secondo perché l’Aglianicone riserva ogni giorno delle sorprese, dovute probabilmente ad una componente genetica imprevedibile nello sviluppo della pianta.
Spiego meglio: studi universitari stanno approfondendo la sequela di incroci spontanei nati nel Cilento, ormai unico territorio di elezione di questa varietà presunta progenitrice dell’Aglianico. Ebbene i risultati stanno conducendo i tecnici ad ipotizzare una sorta di virosi insita nella fenologia della pianta, le cui proprietà positive o negative sul prodotto finale sono tutte da discutere.
Non mi addentrerei ulteriormente nella questione se l’Aglianico abbia effettivamente per padre l’Aglianicone e per madre l’ischitana Cannamela. Ciò che realmente conta sono le differenze con gli altri autoctoni campani, la sua aderenza al territorio ed in ultimo la qualità del vino, veri focus su cui puntare per avere un futuro prospero.
Partendo dal primo punto, ovvero le differenze rispetto al “Re” dei vitigni a bacca rossa campani, notiamo subito una crescita irregolare del grappolo decisamente spargolo e più piccolo. La vigoria sembra similare, ma questa particolarità prosegue e persegue la maturazione del pedicello e dei vinaccioli, molto tardiva e non sincronizzata a quella zuccherina ed antocianica.
Da qui il carattere rustico e vegetale del vino imbottigliato, sopratutto quando sconta la fase giovanile.
La territorialità rappresenta, invece, il punto di forza dell’Aglianicone. Il frutto nitido e tipico di amarena, unito ad un corredo floreale di viole mammole e giaggiolo lo rendono perfettamente identificabile. La parte verde ed erbacea con il tempo si tramuta in chiodi di garofano, china e rabarbaro. Il tannino è esile: in annate calde diventa saporito, ma mai potente od invadente, nelle annate fredde ricalca le note astringenti della scorza d’arancia immatura.
Parliamo comunque di filari posti ad oltre 400 metri di altitudine, su pendii calcarei dove il sole esercita un ruolo da attore protagonista. Passeggiare tra le vigne in estate significa esporsi a temperature estreme, ben oltre i 40 gradi centigradi. Si ovvia alle ustioni delle uve mantenendo una folta vegetazione fogliare, stabilita dai viticoltori dopo vari tentativi, muovendosi in un delicato equilibrio che non consente il minimo sbaglio.
All’interno del primo wine press tour dedicato al tema, organizzato da Nello Gatti del progetto “Autoctonocampano” per la valorizzazione e la comunicazione degli areali produttivi regionali, ho potuto testare dal vivo quanto detto, valutando la qualità del vino tra gli assaggi proposti.
Ho scelto di menzionare tre etichette che ritengo di assoluto interesse per una corretta identificazione di cosa sia l’Aglianicone.
“Quercus” 2018 – IGP Colli di Salerno – Tenuta Macellaro
Molto elegante, di quella eleganza stile borgognone che lo rende diverso dagli altri, forse il più “internazionale” al gusto. Non ha importanza, perché quel che conta è soltanto la buona fattura di quanto degustato. Racconta di succosità a base di ribes nero e ciliegia, di petali rossi macerati e macchia mediterranea, quasi salmastro al palato.
“Buxento” 2017 – IGP Paestum Rosso – Az. Agr. Silvaplantarium di Donnabella Mario Dal nome latino della città di Policastro solcato dal fiume Bussento. Note di tostatura ed affumicatura, ricalcanti un mix tra nocciola e tizzoni di brace ardente. Liquirizia ben presente nel finale completato da una gradevole e persistente scia salina.
“Alburno” 2016 – IGP Paestum – Tenute del Fasanella
Qualche anno di riposo ulteriore in vetro non può che far bene a smussare alcune sensazioni decise dell’Aglianicone. In questo caso il naso attacca su note ematiche corredate da mirtillo e marasche sotto spirito. Sorso ampio, potente e denso di sicuro impatto gastronomico con la cucina cilentana.
Ricapitolando: da pochi impianti dei primi anni 2000 siamo ora giunti a quasi trenta ettari in ulteriore espansione. Nove sono le aziende associate e altre non ancora in commercio hanno nel frattempo apportato importanti investimenti finanziari. L’età delle vigne ha raggiunto ormai la piena maturità per ottenere prodotti gradevoli, sorprendenti in particolare nella 2019 e 2020 assaggiate da campioni di vasca.
Una ridottissima resa per ettaro di appena 60 quintali per dare qualità e la consulenza di viticoltori storici come De Conciliis, autentico pioniere in Campania. Un ruolo fondamentale lo potrà e dovrà avere la comunicazione e l’unità di intenti tra i produttori medesimi a livello di modifiche del disciplinare, assolutamente necessarie.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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