Tutto iniziò a Montelupo Albese nel 1991, da una vecchia vigna di Dolcetto in affitto (Barturot), una vinificazione svolta letteralmente in garage e qualche centinaio di litri di vino che Elio Altare, dopo averlo assaggiato, esortò a imbottigliare. Così nacque l’avventura di Ca’ Viola, l’azienda di proprietà di Beppe Caviola, che nel giro di pochi anni sarebbe diventato un affermato winemaker, sulla scia degli enologi turbo-modernisti e superstar degli anni Novanta, ma che allora era un ragazzo fresco di diploma ad Alba e con un tranquillo posto di lavoro al Centro per l’enologia di Gallo.
Di lì a pochi anni sarebbe cominciata un’altra vita per Caviola, con un portafoglio di consulenze in tutta Italia che cresceva freneticamente e con la sua cantina langarola (trasferita dopo qualche anno a Dogliani) da curare in prima persona, prima con la valorizzazione di un’altra vecchia vigna di Barbera (il Bric du Luv) poi con la nascita del “suo” Barolo da un cru poco conosciuto di Novello, non distante dal celebre Ravera.
Recentemente ad arricchire l’offerta aziendale è arrivato anche il Riesling.
Di questo enologo-produttore mi piace l’approccio laico e razionalista, che rivede un po’ i dettami “moderni” seguiti in gioventù, quando fu tra gli artefici di una rivoluzione fin troppo spinta che, se ha avuto grandi meriti nel migliorare l’igiene e la precisione dei lavori in cantina, ha da un altro lato esasperato l’uso del legno tostato piccolo e nuovo e delle macerazioni abbreviate.
Oggi Caviola dice “non seguo le mode, non mi arrocco su posizioni dogmatiche, fondo il mio modus operandi su convinzioni che sono frutto della mia personale esperienza maturata in più di vent’anni di attività, molti dei quali per cantine di tutta Italia”. E aggiunge: “Se l’essere moderno, se l’essere innovatore significa seguire le mode, snaturare il prodotto con eccessi, ad esempio di legno nuovo, e l’essere tradizionalista significa coprire quelle che sono le caratteristiche vere, varietali del vitigno, lavorando con botti vecchie se non obsolete, allora dico che non sono d’accordo né con gli innovatori né con i tradizionalisti. Quello che cerco di fare, come produttore e come consulente, è di amplificare, esaltare le caratteristiche intrinseche di ciascun vitigno rispettando il più possibile l’origine, l’appartenenza al territorio, le tante sfumature, le sfaccettature”.
Ca’ Viola è una realtà consolidata nell’affollato e competitivo mondo del vino piemontese, con più di dieci ettari di vigna e circa 70 mila bottiglie annue. Il focus proposto nel corso del recente Wine Festival di Merano era duplice, sottoponendo a critici e appassionati una doppia verticale del cru di Barbera e del Barolo, guidata da Gianni Fabrizio del Gambero Rosso.
Da qualche anno le fermentazioni avvengono solo con lieviti indigeni. “Ci sono sempre dei rischi – racconta Caviola – ma è un metodo che mi permette di esprimere la territorialità del prodotto”. Altra innovazione rispetto agli anni ’90, si fanno meno diradamenti in vigna: “Un tentativo di interagire con i cambiamenti climatici, così evito di vendemmiare in anticipo e di rischiare di avere troppi zuccheri e alcol”. Bandite da tempo la chimica in campagna e le filtrazioni in cantina, anche l’uso dei solfiti è molto misurato.
La Barbera Bric du Luv nasce nel 1994 come vino da tavola. Negli anni diventerà Langhe Rosso e infine Barbera d’Alba. Proviene in buona parte da una vecchia vigna di Montelupo piantata nel secondo Dopoguerra, a circa 420 metri sul mare, su terreni simili alla vicina Serralunga d’Alba, grande zona per il Barolo.
Era quasi dimenticata e in pratica abbandonata quando Caviola la scoprì e la recuperò. La lavorazione ha seguito quasi millimetricamente l’evoluzione stilistica del suo artefice verso un equilibrio classico: affinata in barriques fino al 2009, poi affiancate dai tonneaux, dal 2016 anche dalla botte grande.
Barbera d’Alba Bric du Luv 2009. Naso boschivo, spezie, frutta secca, confettura. Bocca ampia e compatta, molto impettita, un po’ “grossa” per la tipologia, recupera tratti più caratteristici di frutto e freschezza in chiusura. Una Barberona da annata calda che forse, come sostiene Gianni Fabrizio, ha visto tempi migliori.
Barbera d’Alba Bric du Luv 2010. Vendemmia classica, perfetta, pioggia in primavera ed estate tardiva, con importanti escursioni termiche. Profumi vivi ed eleganti, balsamici, di sottobosco, con erbe aromatiche e mirtilli. Sorso equilibrato, fruttato, succoso, di buona struttura, finale leggermente caldo di alcol, bella salinità. Al suo apice.
Barbera d’Alba Bric du Luv 2016. Annata molto equilibrata, in parte simile alla precedente. Olfatto leggiadro, boschivo e balsamico a sua volta, radici, bacche rosse. Bel nervosismo al palato, piccante, corposo ma scorrevole, tannini saporiti, acidità spiccata sui toni del pompelmo rosa. Chiusura lunga e tonica, dei tre vini è quello che conserva meglio le caratteristiche del vitigno.
Il Barolo Sottocastello di Novello ha esordito con la fortunata vendemmia 2006. Terreno tortoniano, ricco di marne fossili, con arenaria e strati di sabbia; esposizione a sud-est, forti pendenze. Fino al 2009 maturava solo in tonneaux, dall’anno successivo si allunga la macerazione sulle bucce e l’affinamento avviene in botti da 25 ettolitri.
Barolo Sottocastello di Novello 2008. Vendemmia non facile nelle Langhe, piovosa, con malattie diffuse che hanno compromesso la quantità, ma ottima per il Nebbiolo. Note terziarie di tabacco, spezie, terra e caffè al naso. Tannino sciolto, rilassato, peso medio, buona pienezza gustativa, rilancia in chiusura. Ha un bel frutto croccante e succoso, molto sfaccettato. Bella evoluzione, profondo, raffinato.
Barolo Sottocastello di Novello 2010. Vendemmia fresca ed equilibrata, umida a inizio estate, perfetta per una varietà tardiva. Olfatto floreale e balsamico, china, piccole bacche scure. Bella estrazione, ingresso preciso, grande struttura, frutto nitido e dolce, si sfrangia un po’ a centro bocca, dinamica leggermente frenata dai fitti tannini. Finale di arancia rossa e fragoline di bosco. Sembra ancora indietro per essere un decenne, ma è in grado di evolvere positivamente.
Barolo Sottocastello di Novello 2013. Annata classica, per gli standard odierni quasi tardiva, con condizioni estremamente favorevoli a settembre e ottobre. Naso gentile dove si affaccia la mitica anguria, poi alloro, ciliegie, pepe, frutta secca; tannino simile al precedente, compatto, profondo, sorso un po’ astringente, ma ben bilanciato da freschezza ed eleganza. Si scioglierà. Chiude lungo e succoso, delicatamente ammandorlato. Anche questo è un vino da attendere.
Barolo Sottocastello di Novello 2015. Vendemmia anticipata, decisamente torrida, salvata dalle abbondanti scorte idriche accumulate in primavera. Profumi ancora vinosi, crosta di pane, tostatura, frutta rossa, liquirizia. Palato avvolgente, grande intensità gustativa, frutto morbido e carnoso, finale leggermente caldo ma di ottima polpa. Vinificato in parte coi raspi. Maturo, intenso, a suo modo armonico.
Barolo Sottocastello di Novello 2016 (campione di botte). Annata molto diversa dalla precedente, dal lungo ciclo vegetativo, uva raccolta nella seconda metà di ottobre. Naso minerale, china, radici, menta, tartufo bianco, ancora un po’ reticente e poco decifrabile. Bocca cesellata, tannini molto fini, vino ricco, goloso e di grande prospettiva, completo ed equilibrato. Grande acidità e persistenza davvero intrigante.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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