L’ironia è una gran bella cosa, occorrerebbe che tutti ne avessimo in abbondanza. Affermando il contrario di ciò che si pensa, consente di provocare una risata. Il termine viene dal greco εἰρωνεία (eirōneía) inteso per dissimulazione.
L’ironia ci permette di dare una corretta dimensione alle cose e se non ne abbiamo a sufficienza non siamo in grado di percepire queste per quel che realmente sono. Difatti, talvolta, beneficiando di un lavoro svolto da altri, siamo portati ad esaltare, a esagerare, a cercare e infine trovare cose che in origine non erano previste.
L’ironia, però, è anche urticante, irrita come sosteneva Milan Kundera: Non perché si faccia beffe o attacchi, ma perché ci priva delle certezze svelando il mondo come ambiguità.
L’ironia certamente non manca a Silvio Carta, azienda che ci ha già abituato in tal senso, denominando quale sua ultima creatura del mondo dei liquori e acquaviti, 41 Bis, per un distillato di agave, come a invocare il carcere duro per chi inventò il liquore Bomba Carta.
Dei prodotti di Silvio Carta la nostra testata giornalistica ha parlato più volte e lo scrivente in queste due occasioni:
L’inusuale whisky targato Silvio Carta
La grappa di Vernaccia al quadrato di Silvio Carta
Originaria del Messico l’agave blu o tequilana, registrata botanicamente nel 1902 dal francese Frédéric Albert Constantin Weber, non poteva non trovarsi a suo agio in un luogo consono e idoneo, con un clima altrettanto caldo e siccitoso, come quello della Sardegna. Un suo importante incremento durante la Seconda Guerra Mondiale si ha grazie ai soldati americani: fu appositamente piantata da costoro per ostacolare la discesa dei paracadutisti nemici, e al giorno d’oggi la pianta succulenta è molto presente nell’isola dove grazie ai decenni trascorsi, e al suolo e all’influenza marina, ha certamente sviluppato delle caratteristiche tipiche.
Il più noto distillato al mondo prodotto da sola agave blu è naturalmente il Tequila. Personalmente sono più fan del Mezcal, le cui varietà d’agave previste sono invece ben 65, per via delle sue caratteristiche affumicate e per una produzione più vocata all’artigianalità. Tuttavia, conoscendo la storia e i prodotti dell’azienda di Silvio Carta, la curiosità di testare ciò che si è stati in grado di distillare in Sardegna con l’agave blu locale è stata intensa.
La distillazione che avviene è discontinua, con l’alambicco in rame a colonna dotato di otto piatti, costruito per l’azienda nel 1985 nella provincia di Siena in base alle indicazioni di Silvio Carta medesimo, del quale abbiamo già parlato in passato, utilizzato anche per gli altri celebri distillati di casa.
Proseguendo il gioco, il titolo alcolometrico non poteva essere diverso dai 41%.
La capsula della bottiglia che invoca la ceralacca è di plastica morbida di colore verde peridoto, a ricordarci la provenienza vegetale della materia d’origine.
Procediamo con l’assaggio dicendo innanzitutto che, priva di maturazione in legno, è limpida e incolore.
Con quanto garbo che s’inizia…
Il bouquet olfattivo è tenue ma multiforme. Predomina proprio ciò che è riconducibile al colore verde con sensazioni vegetali, speziate e di erbe officinali. Circa queste è una sorta di mix fra l’anice stellato, la menta campestre, l’ortica, la salvia, il pepe bianco, le foglie d’agave, il succo d’agave, le bucce delle fave, i baccelli di pisello, gli asparagi selvatici, il tè verde. Percepiamo anche del floreale come il gelsomino, il mughetto e il giglio (quello che cresce sulle spiagge, in particolar modo), dell’agrumato verde simile al lime, e suggestioni iodate e marine. Sul finire anche una lievissima traccia di affumicato.
Ingresso oleoso, morbido, speziato e caldo. Non vuole essere un distillato esplosivo per rimanere invece delicato e suadente. Il finale è lungo, con ritorni sapidi ma soprattutto ricordi del ginepro tipico isolano. Particolarmente indicato, a nostro modesto parere, anche nell’utilizzo della mixology.
Insomma, facendo anche noi dell’ironia, tutta questa soavità ci fa esprimere un dissenso: questo distillato non merita un regime di 41 bis. Liberi tutti.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
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