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“Vins claires” 2023 da Perrier-Jouët: una finestra sul futuro della Champagne

I puzzle dividono il mondo in tre parti: c’è chi li adora, chi li odia e chi semplicemente non li include tra le attività preferite. Il sottoscritto appartiene tecnicamente alla terza categoria. Ma con un’eccezione: i puzzle che riguardano la “costruzione” di un vino, e in modo particolare quelli che preludono alla composizione del vino-puzzle per eccellenza: lo Champagne.

Gli assaggi di “vins claires”, le tessere del puzzle futuribile – quando l’esito finale in prospettiva vale la pena, ovviamente – pur se non esattamente sempre una festa del gusto, vista la puntuta acidità che abitualmente ne marca la maggior parte, sono comunque strainteressanti, e in alcuni casi appassionanti perché particolarmente rivelatori.
È il caso dell’ultima degustazione di “claires” organizzata da Perrier-Jouët per un misurato gruppo di critici internazionali (Usa, Francia, Inghilterra, Italia), guidata da quella fantastica chef de cave che è Séverine Frerson e relativa ai vini dell’ultima vendemmia, la 2023.

Séverine Frerson

Premessa d’obbligo: a rendere assolutamente non comune la giornata, anche se non ci fossero stati i vins (e poi quel che è seguito…), sarebbe comunque bastata la location. La maison Belle Epoque, casa di Perrier-Jouët, è il più fornito museo “vivente”, abitabile e abitato, relativo all’epoca cui si riferisce (e che è anche quella cui è intitolata l’etichetta préstige dell’azienda) e all’Art Nouveau che ne è il marchio estetico.

Toulouse-Lautrec

Dentro, in una cornice finemente restaurata e accortamente adattata ai suoi scopi ricettivi e di “vetrina”, sono custoditi (ammirabili e in parte fruibili) oltre 300 pezzi, a comporre una collezione dal valore e dal fascino pressoché inestimabili, e includenti cose come il Rodin regalato dai dipendenti (!) alla maison in occasione di una ricorrenza, il Toulouse-Lautrec dipinto su un vassoio da bar (un “tabarin” secondo l’eponima definizione d’epoca), i vetri e le lampade di Gallet, l’autore-icona che disegnò anche l’etichetta, mai mutata, della Belle Epoque in bottiglia.

Collezione di bicchieri d’ogni forma e dimensione

E una superba collezione di bicchieri d’ogni forma e dimensione in cui ai visitatori – tra mille comprensibili attenzioni – è consentito di pescare un preferito con cui gustare l’“aperitivo” (inutile spiegare a base di cosa).
Ma torniamo ai vini, cartelli segnaletici viventi di un percorso tra i cru e i vitigni fondanti della denominazione: Avize, Chardonnay raccolto il 4 settembre, fruttato, intrigante, fine. Chouilly, idem, di sei giorni più “maturo (raccolto il 10) e più ricco e ampio, ossa e seta dalle trame più grandi e marcate. Cramant, lavorato con blocco della malolattica, aereo e verticale. Un Mesnil con 9,5 grammi di acidità, aromatico, fruttato, venato di pesca bianca. E poi un Verzennay già amabile, un Mailly venato di sentori esotici e, girando decisamente pagina: un Reilly La Montaigne dai lievi, ma “dolci”, sentori di frutta rosa e rossa, e sale che vira e corregge, più un raro finale di pepe verde; un Ambonnay (parliamo da un po’ di Pinot Noir ovviamente) tipico, ricchezza senza pesantezza, limpida pulizia, impatto buonissimo; e il Meunier (uno, almeno, immancabile) di Vrigny, tanta frutta fresca e un filo minimo di nocciola “cruda”a fondere il tutto.

Cosa ha reso così speciale l’esperienza? Oltre alla conduzione (semplicità, affabilità e disponibilità maritate ad estrema competenza sono le tessere che rendono così amabile il “mosaico” Frerson), il filo conduttore, sorprendente se rapportato ad altre esperienze analoghe, meno se considerata l’annata, che ha legato gli assaggi: una fruibilità, una bevibilità (ovviamente da intendere in modo relativo e non assoluto) davvero superiori alla media della categoria. Insomma: vini che raccontano con fedeltà e senza posticci clima, era e millesimo, oltre ai cromosomi che latitudine, terreni e mano di chi alleva le viti hanno inserito nel Dna dei prodotti che si fanno qui.

Uno specchio del presente, e insieme un tiro di cannocchiale sul futuro. Quello dei prossimi Perrier-Jouët intanto, nel cui nuovo blend i vini componenti a “malo” bloccata salgono da 5 a 15, ma più in generale il futuro della Champagne che detta legge, quella dei cru migliori.
A seguire, e a tavola, il premio ulteriore dell’assaggio decontratto e rilassato di una serie di bottiglie super, a cominciare dalla Belle Epoque 2015 e dalla Rosé 2013.

Ma con due citazioni speciali, entrambe per dei fuori programma: un 2006 Blanc des Blancs in magnum e una assolutamente satrapica jeoroboam targata 1990.

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