Continuiamo il racconto delle eccellenze enogastronomiche della Maremma, con due aziende fiore all’occhiello della nostra viticoltura.
Luoghi apparentemente diversi e inconciliabili tra loro: da una parte (Montauto) il versante Sud – Sud/Est calcareo; dall’altra (Morisfarms) quello centro occidentale argilloso della Toscana, tra Massa Marittima e Scansano.
The guiding line però è l’estrema eleganza dei loro proprietari e conseguentemente dei vini prodotti.
Chi non avesse presente lo sviluppo dell’enologia in questi territori, deve immaginare la relativa maturità nell’esprimere canoni di qualità che in altre zone esistono da decenni. O meglio, diciamo che il percorso fin qui svolto, se volessimo rappresentarlo su un grafico matematico, è più simile ad una linea in continua salita, mentre aree limitrofe blasonate hanno vissuto saliscendi simili a complicate funzioni cartesiane.
Qua il vino lo si fa da sempre, grazie alla grande presenza contadina, sopratutto dopo le bonifiche Leopoldine. Ciò che mancava finora era invece un carattere unitario, una sorta di forma mentis da plasmare e vendere all’eterogeneo e globalizzato pubblico di acquirenti.
L’identità di un brand che non sia semplice imitazione, quanto piuttosto originalità e ricerca della perfezione. In una parola: Appartenenza.
Grazie dunque a chi ha contribuito a tale crescita con pregevoli espressioni internazionali curate a tavolino, ma per questo a volte slegate dall’anima del territorio; benvenuto a chi oggi costruisce il proprio futuro preferendo un ritorno alle basi, nella eterna dicotomia vitigno/terroir.
Montauto è Riccardo Lepri. Sauvignon Blanc, Pinot Nero, privilegiati dai versanti freschi e ventilati ben oltre le medie locali. Sangiovese e Ciliegiolo (il primo addirittura spumantizzato con metodo classico), per ricordarci che la Toscana è anche (e sopratutto) questa.
Proprio dalle sue bollicine iniziamo la nostra degustazione, finissime ad ogni piccola esplosione nel bevante emergono sensi di frutta acidula, mela golden, fiori di zagara e mimosa nonchè camomille sbocconcellate (qui si pronuncia “sbohhonscelate”). Che frescura di bocca, che lunghezza, che desiderio immediato di un nuovo sorso!
Il Gessaia è invece uno dei miei vini del cuore, incontrato ormai ben quattro anni fa ad una Master Class, quando ancora le viti non esprimevano il massimo. Allora era un Sauvignon Blanc spiccatamente minerale, verticale, quasi tagliente. Adesso (versione 2018) la maggiore età delle piante regala pienezza di sorso, con pesca gialla e susine mature corredate da macchia mediterranea. Resta la vena diretta, ma con maggiori morbidezze tali da rimandarmi verso i lidi di Pouilly Fumè.
Enos I è la versione vieilles vignes dalla spezia bianca pepata e dalla frutta tropicale di mango, melone di Cantalupo e salvia. Infinito davvero, sopratutto nella vintage 2014 che per i bianchi ha rappresentato un’annata unica, quasi irripetibile.
Chiudiamo gli assaggi aziendali con due Pinot Nero, anzi uno solo dato che l’altro formalmente ancora non esiste (almeno in commercio). Il primo (2017) racconta di fragoline di bosco, marmellata di lamponi, chiodi di garofano e fave di cacao. Il secondo nasce da piante agée, non filtrato, metafisico come un viaggio nella miglior Borgogna. Peccato che siamo a pochi chilometri dal Mar Tirreno!
Morisfarms (Ranieri Moris) fa parte invece di quelli che hanno accettato la sfida di riportare in auge la DOCG Morellino di Scansano, fin dal lontano 1978 e dopo anni a dir poco bui. Prima di arrivare al top di gamma Avvoltore, voglio infatti parlare di due prodotti da non ritenere inferiori, seppur di maggior produzione e consumo.
Il Morellino 2017 prevede un giusto uso del cemento che ne accresce equilibrio e carattere fruttato. La beva è pressochè perfetta, sopratutto nella Riserva 2015, che grazie ad una piccola percentuale di Merlot diventa rotonda e ciliegiosa al tempo stesso.
Il secondo prodotto, a volte dimenticato nei racconti giornalistici, è il Barbaspinosa, blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon dark e cioccolattoso che fa da apripista ad Avvoltore un autentico gioiello di Maremma (come recita il titolo del nostro articolo), nato e cresciuto alle pendici del poggio omonimo. All’uvaggio sopra menzionato si aggiunge una traccia di Syrah non superiore al 5% ben ravvisabile sopratutto nella spezia scura di pepe nero in grani. Piccoli frutti rossi ancora croccanti ed amarene sotto spirito in chiusura lunga, dinamica. Tannino perfettamente integrato, specialmente nella straordinaria 2015, memorabile per quasi tutti i vini italiani. La densità è il suo marchio di fabbrica, riempie ogni spazio e lascia un palato piacevolmente inebriato, quasi da meditazione.
Non possiamo dunque che dire: “Maremma che bontà!”
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia