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Tenuta Colombarda, connubio tra tecnologia e qualità

Avevo già assaggiato i vini della Tenuta Colombarda. Era il 2017, credo! I loro vini erano in degustazione ad una manifestazione a Bologna. Ricordo che un amico mi indusse all’assaggio chiedendo il mio parere sui loro vini che, a quanto mi diceva, gli piacevano tantissimo perché prodotti “in alta tecnologia”. Rimasi piuttosto freddo al suo entusiasmo e in un attimo la mia iniziale curiosità si smorzò di colpo lasciando il posto ad un volto interrogativo e, devo ammetterlo, mezzo infastidito!

La sua premessa, che doveva servire da entrée triomphale per quei vini sortì, di fatto, l’effetto contrario. Gli spiegai quali erano i miei “gusti” in fatto di vino e che la tecnologia, talvolta, poteva non essere necessariamente un valore aggiunto, specie quando il suo uso sconsiderato ed invasivo cancellava completamente l’identità territoriale di un vino o di una varietà locale. Ne nasce un piccolo dibattito che, prima di sfociare nel discutere sui massimi sistemi senza poi approdare a nulla di concreto, decido di interrompere subito e di seguirlo al banco d’assaggio. La mia curiosità aveva avuto la meglio non il suo bizzarro pensiero sulla qualità di un vino!

In assaggio c’erano tre vini: Pagadebit 2016, Sangiovese Superiore 2015 e Sangiovese Rosato 2016, di cui ancora oggi conservo un vivido ricordo. Rovistando tra i miei vecchi appunti di quest’ultimo avevo scritto: “Sorso fresco, sapido, lungo, connotato da piacevoli note di piccoli frutti rossi che sottendono un olfatto con una bella sfumatura d’incenso. Davvero molto buono!”. Ancora oggi, lo confesso, quella mia iniziale reticenza all’assaggio, unicamente provocata dalla premessa del mio amico, è stata pienamente sconfessata in particolare da quel rosato.

Perché tutto questo preambolo? Un paio di settimane fa sono stato invitato ad una cena-degustazione proprio alla Colombarda. Con lo scopo di far conosce meglio l’azienda alla stampa di settore, l’Ufficio Comunicazione ha organizzato un press tour in azienda davvero illuminante: a cominciare dai vigneti abbiamo visitato palmo a palmo tutta l’azienda fino alla degustazione finale.

La Tenuta Colombarda si estende sulle prime colline cesenati che risalgono il crinale fino al confine col territorio di Bertinoro. Non di rado s’incontrano declivi particolarmente scoscesi che, sostenuti da affioramenti stratificati di arenaria degradanti in sabbie sulle piane di disfacimento dell’Appennino, permettono di sperimentare dal vivo il concetto fisico di verticalità.

 

Percorrendo sinuosamente a bordo di un “Pandino” le tortuose vie della tenuta, non si può non notare le “vigne sospese”, filari ordinati che si estendono per tutto il fondovalle. È un’esperienza decisamente surreale per chi non conosce le proprietà del cor-ten: cordoni e foglie che, come sospesi nell’aria, esibiscono l’allegagione dei futuri grappoli di bombino bianco, il locale Pagadebit. Uno strano fenomeno dovuto puramente a un’illusione ottica data dalla distanza di osservazione. I fili di cor-ten sono dei sottili profilati di acciaio ad alta resistenza che si autoproteggono dalla corrosione rivestendosi di una patina ossidativa già a pochi mesi dalla loro esposizione all’aria. Il colore bruno per la sua scarsa riflettività della luce solare, assicura la perfetta mimetizzazione col paesaggio circostante!

Ma al di là della suggestione delle vigne sospese quell’impianto, capofila di un processo di sostituzione di tutti i vecchi impianti aziendali, rappresenta un punto di viraggio per l’azienda verso l’utilizzo a 360° della tecnologia finalizzata non solo a migliorare il prodotto finale ma anche ad aumentare il pregio degli impianti, contenendo i costi di manutenzione degli stessi. Una scia di rinnovamento che, cominciata qualche anno fa, ha completamente cambiato il modo di fare vino alla Colombarda, ridisegnando con le moderne tecnologie quell’idea iniziale di cantina che il Cav. Domeniconi realizzò nei primi anni Quaranta del Novecento.

“Vini precisi, puliti e in purezza, frutto di una selezione solo delle annate migliori. Ma per garantire un prodotto finale di alta qualità, è necessario avere molta attenzione in vigna e buone attrezzature in cantina”. È quanto ci ha detto Giuseppe Meglioli, l’enologo aziendale, mentre ci guidava didatticamente in un percorso lineare attraverso tutte le fasi della vinificazione fino all’affinamento della perla nera dell’azienda: il Sangiovese Riserva, ottenuto dalla selezione delle uve di una vigna vecchia più di cinquant’anni.

La nostra visita si è conclusa a tavola dove, la superlativa cucina dello chef riminese Silver Succi del ristorante Al Quartopiano Suite Restaurant di Rimini, ha abbracciato egregiamente tutti i vini in abbinamento.

 

Cena e note di degustazione

Antipasti

  • Tartare di vitellone con scaglie di parmigiano, asparagi crudi, tartufo scorzone e perle di nero di seppia come decorazione.
  • Lombetto di coniglio farcito con paté di foie gras, fagiolini lessi in ristretto di aceto di ciliegie.

ReBël rosato frizzante 2018 (Sangiovese). Tonalità salmone, esprime un olfatto pulito con gradevoli aromi di ciliegia e pompelmo rosa. La bollicina setosa sottende una nota di frutti rossi e un leggero tannino. Un delicato residuo zuccherino accompagna morbidamente la deglutizione.

Primo piatto

  • Risotto al salmì d’anatra mantecato al parmigiano e olio extravergine di oliva con top di semi di zucca tostati a dare croccantezza e delicata rusticità al piatto.

Romagna Albana 2018. Il naso floreale misto a note di pesca e sfumature di albicocca si prolunga in un sorso fresco e delicatamente astringente su un finale di erbe aromatiche.

Secondo piatto

  • Stinco di maialino gratinato accompagnato da verdure di stagione scottate.

Romagna Sangiovese Superiore 2016. Delicato nel suo colore rubino vivo e nella sua espressione olfattiva che richiama una nota di ciliegia e prugna matura con un riferimento finale sul tostato. Il sorso è morbido, ampio, dritto, delicatamente tannico.  Non lunghissimo il finale ma elegante e finemente speziato.

Dessert

  • Dessert alla fragola su macedonia di fragole bagnata da cagnina di Romagna e crumble di pistacchi.

Romagna Cagnina dolce La Divina 2017. Quasi 80 g/l di zucchero e non sentirli. È la trama spigolosa del Terrano, vitigno autoctono del Friuli-Venezia Giulia, portato in Romagna probabilmente dai Bizantini. Al naso è fruttato con prugna e ciliegia candita in primo piano. Una sfumatura olfattiva di spezie anticipa un sorso ad ingresso morbido contrastato da una leggera astringenza e da una delicata nota di fragola sul finale amarognolo.

 

 

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