Titolo scarno, ma tanta sostanza per la diciannovesima edizione dell’evento celebrativo di una storica micro-zona italiana.
Per molti Soave è ancora “questo sconosciuto” nel mare delle etichette di vini. A malapena si conosce la provenienza e le uve utilizzate, quella Garganega dagli interminabili 160 giorni (di media) intercorrenti tra la fioritura e la vendemmia che la rendono unica e inimitabile nel panorama enologico.
Non chiamatela con altri termini, non paragonatela al Grecanico come erroneamente si è fatto per anni. Il vitigno è davvero nobile, sembra essere unicamente imparentato con la Peverella di antiche origini trentine.
Chi (come il sottoscritto) ha avuto la fortuna di girare in lungo e in largo il territorio, avrà potuto notare la fittissima densità di allevamento teso a coprire la gran parte degli ettari utilizzabili, pur preservando una biodiversità fatta di muretti a secco, alberi da frutto, bosco e…capitelli!
La pergola domina sulla innovativa spalliera, soprattutto in una fase di cambiamento climatico volto a estremizzazioni delle temperature e degli eventi climatici in generale ormai quasi tropicali.
Gli acini trovano la giusta protezione dagli ustionanti raggi solari, preservando componenti aromatiche eleganti e variegate; si va dalla frutta matura a quella tropicale, fino a cannella, fiori secchi e mandorla amara in fase post-fermentativa.
Tante piccole realtà, alcune di dimensioni inferiori all’ettaro tali da essere misurate per “campi veronesi” (3000 mq), accanto alle colonne d’Ercole rappresentate dalle Cantine Cooperative di Soave e Monteforte d’Alpone che dominano per superficie coperta (ma non sempre per qualità ed originalità).
In questo articolo preferisco dar voce proprio a chi di voce ne ha poca, non volendo trascurare i grandi produttori che hanno influito positivamente sull’attuale ripresa del settore dai catastrofici anni settanta. In quei tempi si era persa di vista totalmente la bussola dell’identità e della tradizione a scapito di un commercio selvaggio rivelatosi non proficuo (vi sono venute in mente altre zone d’Italia?).
Il Soave era, è e deve restare il prodotto che per primo ricevette la menzione di “Vino Tipico Italiano” nel 1931 quando era sulle prestigiose tavole delle Case Reali d’Europa.
Veniamo ai migliori assaggi:
– SOAVE DOC “LE MACETTE” 2018 – ALESSANDRO BENINI: Il “Ralph Fiennes” del Soave. Giovanissimo, appena 27 anni, ma già con le idee ben chiare grazie anche ai saggi consigli di papà Francesco. Le Macette esalta il territorio di provenienza, quelle Colline Calcaree che non eccedono per sensazioni potenti e fumé, quanto piuttosto per delicatezza e fragranza. Colore paglierino tenue, fiori bianchi di margherita e gelsomino, mela verde e susine immature. Sorso agrumato con lieve tendenza amaricante finale data da una piccola percentuale (5%) di Garganega macerata nelle barrique di acacia. Il resto è tutto acciaio e fecce nobili.
– SOAVE DOC “VECCHIE VIGNE” 2016 – TENUTA SANT’ANTONIO: in una simpatica chiacchierata con Tiziano, uno dei quattro fratelli Castagnedi titolari della cantina, ho potuto confrontarmi sulla grande potenza aromatica dei loro vini. Il segreto (di Pulcinella) sta nella criomacerazione, utilizzata per creare estrazione e concentrazione di aromi varietali, trasformati poi durante la vinificazione. Il Vecchie Vigne è l’emblema di quello che si ottiene dalla pergola, sistema che garantisce longevità alla pianta con parecchie viti abbondantemente oltre i 50 anni di vita. Caffè, mango, kumquat e ginestre essiccate, per una bocca minerale e piena, quasi infinita.
– SOAVE DOC CLASSICO “TOVO AL PIGNO” 2018 – CORTE MAINENTE: ebbi già modo di parlare a lungo dei fratelli Davide e Marco durante l’evento Soave Stories dello scorso maggio. Ma il loro modo tutto artigianale di imbottigliare “per lotti” ha permesso al Tovo al Pigno assaggiato adesso un riposo ulteriore che ha giovato notevolmente sugli aspetti gusto-olfattivi. Dal grande vulcano spento del Monte Foscarino, le note richiamano il fumo delle foglie combuste, sensazioni di resina, di frutta acerba unita a parti disidratate. Mela, pesca gialla e pompelmo in concorso; richiami di Pouilly Fumè per dirla in poche parole. Eccellente.
– SOAVE DOC CLASSICO “ANFORA” 2016 – FORNARO: Damiano, giovane cultore della vite, pochi prodotti ma di bella qualità. Ho preferito Anfora rispetto al Capitel del Tenda per parlare dell’innovazione (e forse anche del futuro del Soave). Sperimentazioni in cui Fornaro crede fortemente, con risultati sono davvero impeccabili. Il terreno è calcareo, ricco di fossili marini, lo si avverte anche da un naso poderoso di cedro, pompelmo giallo maturo, rosa di bosco, macis e albicocche essiccate. Al palato muta, diventato persino grasso e voluminoso. Ossidazione da anfora dove sei? Per fortuna mai pervenuta!
– SOAVE DOC “PANTAGRUELE” 2017 – CANTINA MARTINELLI: novità delle novità, sia per il panorama produttivo da questi “ragazzacci del vino” di nome Francesco (Martinelli) e Antonio (Zappoli), ex esordienti di lusso l’anno scorso, sia per il Pantagruele. I bad boys concepiscono solo lavorazioni estremamente naturali, con lieviti indigeni e fermentazioni spontanee. Una gradevole ed originale variante rispetto alle tecniche tradizionali. Meno di 2 ettari di vigna a Fittà, su pendenze estreme da autentici eroi. Freschezza il must gustativo, che spiazza e spariglia le carte della degustazione canonica. Delicatezza di zagare, iris, mele golden e scorzette di cedro. Lieve carbonica ancora presente, indice di sicura longevità. Beva intrigante, lacrimevolmente buona.
– SOAVE DOC CLASSICO “MONTE MAJORE” 2018 – LE ALBARE: se avete modo e tempo di visitare il sito internet aziendale, troverete un commovente filmato con le interviste ai genitori di Stefano Posenato, in particolare mamma Silvana, che basterebbe a far capire la filosofia produttiva. Il Monte Majore nasce da un toponimo realmente esistente in una carta del 1810, indicante la parte più alta del CRU Monte Grande e dell’intero Comprensorio della Valle d’Alpone. Ritornano la mandorla, le sensazioni tufacee, l’ananas ed il mango. La persistenza è unica e crea una sorta di compatta dinamicità, che sembra sì un ossimoro, ma che in realtà si riferisce alla grande capacità del vino di spostarsi al palato lungo bisettrici ben precise senza tralasciare nessun angolo scoperto.
– SOAVE DOC CLASSICO “BATTISTELLE” 2016 – LE BATTISTELLE: se vi avvicinate a Gelmino Dal Bosco sappiate che avrete a che fare con un vero scalatore della vigna. Le pendenze su cui è costretto a lavorare sono di quelle da brivido, impercorribili con una normale auto a meno che non sia un pick-up quattro ruote motrici! Tre vini da Garganega in purezza, da impianti storici e dalla rigorosa padronanza dell’acciaio. “Montesei” provenienza Rugate, “Roccolo del Durlo” da Foscarino e il “Battistelle” da Brognoligo. Di quest’ultimo colpisce la grande struttura a discapito di colori tenui dai riflessi verdolini. Una pietra calcarea da masticare, verticalissimo come le vette su cui crescono le sue viti. Imperdibile.
– SOAVE SUPERIORE DOCG “RUNCATA” 2017 – CORTE GIACOBBE: Dal Cero Family, già famosi in Toscana per il Klanys di Tenuta Montecchiesi, CRU di Syrah da far paura ai cugini del Rodano. Proprio con loro voglio chiudere la mia narrazione premiando un “Superiore”, tipologia sempre meno utilizzata, dallo storico vigneto posto sulle colline di Roncà oltre i 500 metri sul livello del mare. Fermenta per 12 mesi in legni di acacia, ottimamente dosati e per nulla invadenti. Gusto secco, concentrato su note citrine, orange e spezie dolci e profumate. Finale balsamico.
See you soon, see you Soave.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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