“Da alcuni anni – scrivevo nel 2018 – i fermenti del nuovo vino artigianale e di qualità che attraversano tutto lo Stivale sono arrivati anche a Marsala, principalmente grazie all’opera di un pioniere e precursore come Marco De Bartoli […]”. Non è mia abitudine autocitarmi, ma in questo caso faccio un’eccezione per far comprendere meglio ciò che nel breve volgere di poche vendemmie è avvenuto a Marsala: un aumento esponenziale di cantine, di dimensioni spesso ancora minime ma destinate inevitabilmente a crescere con la crescita di interesse per il “nuovo” vino siciliano. Dopo cinque anni le mie impressioni di modesto scribacchino (ops!) si sono rivelate esatte.
A rendere più interessante il fenomeno è la storia di Marsala, che ormai frequento assiduamente da un decennio per motivi familiari, protagonista non di poco conto nella storia secolare del vino italiano a partire dal Settecento, e che dopo un lungo periodo di grande successo economico e commerciale aveva perduto tutto o quasi il proprio prestigio alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Oltre ai marchi storici, comunque coinvolti nel declino generale, a tenere un piccolo riflettore acceso sull’antica Lilibeo furono solo De Bartoli, con la sua scelta rivoluzionaria di proporre un “Marsala” pre-british come punta di diamante della propria produzione (il “Vecchio Samperi” che non può chiamarsi Marsala non essendo fortificato come stabilirono gli inglesi, che lo fecero conoscere così in tutta Europa) e successivamente Nino Barraco e pochi altri.
Oggi, come accennato, nascono come funghi realtà nuove, spesso guidate da giovani o giovanissimi, “forestieri” entusiasti oppure emigranti di ritorno che hanno ereditato la vigna dai parenti (tutt’altro che difficile, visto che le campagne intorno alla città sono da tempo immemore disseminate di filari, non di rado purtroppo in stato di abbandono).
La vivacità del mondo del vino marsalese non è stata fermata neppure dalla pandemia. E oggi, accanto a una notevole fioritura di piccoli produttori indipendenti, artigiani che non a caso hanno spesso in gamma un pre-british, un “perpetuo”, un “altogrado”, cioè il vino che tutti gli abitanti facevano in casa prima dello sbarco di John Woodhouse (e che alcuni ancora fanno) assistiamo, dopo un periodo di stop per insanabili divergenze, alla rinascita del Consorzio del Marsala Dop, al quale hanno aderito pressoché tutti i marchi storici e le cantine sociali, altra realtà di grande importanza da queste parti.
Ma ora vi voglio raccontare un’altra storia, una storia di ragazzi e ragazze che intorno alla figura dell’enologo Vincenzo Angileri e la sua Viteadovest (cantina con già dodici anni di esperienza alle spalle) si sono raccolti in rete d’impresa. Tutti ispirati a principi biologici e “naturali”: solo rame e zolfo (lo stretto indispensabile), lieviti indigeni, poca solforosa quando proprio non se ne può fare a meno. Sei produttori, per ora: il progetto parallelo di Vincenzo, Istinto Naturale, in cui lavora le vigne di famiglia assieme al cugino; Bertolino, dei giovanissimi fratelli omonimi (ma l’azienda è l’“anziana” del gruppo: la prima etichetta risale al… 2018!); Manfredi di Manfredi Franco (il primo è il nome, il secondo il cognome…), che ha studiato a Roma e lavorato a Milano, e ha fatto in tempo anche a vincere il premio di “cliente dell’anno” della Guida Ristoranti dell’Espresso; Midia, della romana Manuela Rendina (arrivata a Marsala, ha cominciato lavorando per Viteadovest: “Vitto e alloggio in cambio di braccia per la sua vendemmia. Mai fatto affare migliore”. Poi ci ha preso gusto e si è messa in proprio), affiancata dalla siciliana Gaia Barbagallo; Millami, di Fabio Diego Morsello Angileri, tornato a casa dopo una laurea ad Alba ed esperienze in cantine francesi per ereditare dai nonni le due antiche aziende di famiglia.
Il nome del gruppo è MOT, acronimo di Mater Omnia Terra. Tutti vinificano presso le strutture di Viteadovest, notevolmente ampliate negli anni. Per ora, a parte Vincenzo che ha avviato da anni un’etichetta a partire da una “madre” vinificata dal padre nel 1973, solo bianchi e rossi, nessun perpetuo o pre-british. Ma chissà…
Alla fine dell’estate scorsa ho avuto modo di assaggiare i loro vini e queste sono le mie impressioni.
I VINI
Bertolino
Fuitina 2021. È la fuga, ma stavolta non con una ragazza, magari poco o nulla consenziente, bensì con la vigna e col vino. Prima etichetta commercializzata nel 2018. Bianco macerato (tre giorni sulle bucce) da Catarratto in purezza di 25 anni. Naso ancora vinoso, frutto dolce, salvia, fieno, erba tagliata. Acidità e sapidità protagoniste del sorso, sensazioni gliceriche, mela e pesca mature. Un bianco consistente e sapido, leggermente tannico, da abbinare anche a cibi sostanziosi, di certo non a un delicato pesce bianco.
Nicuzza 2021. Grillo da vigne giovani allevate su suoli calcareo/argillosi, che riescono a mantenere fresche le radici durante le torride estati di quest’angolo della Sicilia. Vinificato in acciaio con due giorni di macerazione sulle bucce, affinamento di nove mesi sulle fecce fini. Sentori salmastri, frutta bianca matura. Bel frutto anche al palato, leggera astringenza, bella scia fresca, acida e fruttata in chiusura.
Majara 2020. “Majarìa d’amuri” è il colpo di fulmine, che i due fratelli Bertolino devono aver provato per questi alberelli venticinquenni di Parpato, un’uva dalle origini incerte: inizialmente accostata alla Grenache, sembra avere invece caratteristiche più simili al Carignano. In ogni caso, dà un rosso vibrante e succoso, dai toni di visciola, l’acidità e la mineralità pervadono il palato favorendo la bevibilità, anche grazie a un tannino ben estratto. La fermentazione è spontanea e avviene in vasche d’acciaio. Vinificato per un terzo a grappolo intero.
Istinto Naturale
Principino 2021. Grillo. Vigne coltivate in Contrada Spagnola, a cinquanta metri dal mare. Solo acciaio per otto mesi, vinificazione in bianco. Note “champenoise”, crosta di pane, zenzero. Fresco, semplice, gli manca probabilmente un po’ di struttura e allungo ma il sorso è beverino e spensierato.
Zeta 2021. Zibibbo coltivato su terreni alluvionali, vicinissimo alla costa, a Birgi. Stesso protocollo del vino precedente. Aromi tipici del moscato, lievi note marine, minerale. Bel sorso scorrevole, in chiusura il frutto si armonizza molto bene con il lato amaricante del vitigno.
Ro.Sa. 2021. Da Parpato di vigna giovane, due giorni sulle bucce, solo acciaio. Colore più da rosso che da vino rosa. Profumi ancora vinosi. Gran beva, bell’equilibrio tra tannino e freschezza, anche di buona persistenza più salata che fruttata. Vino serio anche se “estivo”, molto lontano però dai modelli “da spiaggia” imitati dalla Francia che monopolizzano il mercato attuale.
Manfredi
Manfredi Bianco 2021. Zibibbo, Grillo e Catarratto da una vigna promiscua di 40 anni in Contrada Ciavolo. Seconda annata. Fermentazione in botti di castagno, affinamento in vetroresina. Bel naso, geranio, citronella. Bocca piacevole, salina, la lieve ossidazione gli dona complessità. Gli manca un po’ di allungo in chiusura.
Manfredi Rosso 2021. Dalle uve rosse (Nocera, Nerello mascalese, Nero d’Avola e Corinto) provenienti dalla stessa vigna. Fermentato per metà a grappolo intero in mastelli aperti, affinato in vetroresina. Profumi nitidi, fruttati e floreali, sorso fine, delicato, succoso, tannini fitti e ben integrati, bel finale lungo e netto, sul frutto maturo.
Midia
Midia 2021. Il nome del vino e dell’azienda sono un omaggio alla nonna di Manuela, Emidia. Grillo in purezza, allevato su terreni calcarei e sabbiosi. Due giorni di macerazione, solo acciaio. Molto floreale, sfumature di idrocarburi, salino. Sorso sapido, bel frutto colto a perfetta maturità, finale lungo e agrumato.
Zahìa 2021. Zahìa, dall’arabo: bella e radiosa. Frappato in purezza coltivato su terre argillose e scure in Contrada Pozzillo. Balsamico e vegetale, cenni di geranio. Sorso scorrevole, fresco, di grande piacevolezza, solare, tannino impalpabile ed elegante come da manuale del vitigno. Non ha la persistenza del fuoriclasse ma seduce.
Millami
Layla 2021. Etichetta, come la successiva, ispirata alla storia persiana “Il folle e Layla”. Da Inzolia in purezza coltivata in Contrada Birgi, su terre rosse a mezzo km dal mare. Prima annata. Macerazione carbonica di nove giorni a grappolo intero. Affinamento di un anno sulle fecce fini. Naso balsamico, miele millefiori, bocca tannica ma succosa, profonda, tesa. Singolari gli abbinamenti suggeriti dal produttore: sushi o crumble di mele.
Il Folle 2021. Da alberelli giovani di Nerello Mascalese. Macerazione carbonica a grappolo intero per undici giorni. Affinamento di un anno sulle fecce fini. Odora di terra bagnata, sottobosco, con lievi tracce minerali e balsamiche: sorso elegantissimo, tocco gentile al palato, buona persistenza su note di arancia rossa e ciliegie. Qui l’abbinamento proposto è più canonico e condivisibile: pasta alla Norma o Bouillabaisse.
Viteadovest
Parpato 2021. Nuovissima etichetta di Vincenzo, ancora non in commercio. Solo acciaio, metà fermentazione a grappolo intero. Profumi vinosi e di frutta secca, lievi note vegetali. Sorso ancora leggermente frenato dal tannino. È un neonato, va giustamente atteso ancora, come di solito accade con i rossi ambiziosi e strutturati del marchio Viteadovest.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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