Ho l’immenso piacere di accogliervi nella terra che respiro da dieci anni, ormai.
Lasciate quindi che una milanese trapiantata in Salento vi racconti di un progetto unico nel suo genere, finalizzato ad elevare a potenza il vitigno principe di questa zona: il Negroamaro.
Vi conduco nell’area più meridionale della penisola per esplorare due areali di produzione che distano tra loro solo 30 km, ma si dimostrano capaci di due interpretazioni profondamente differenti.
Cominciamo…
In questa parte del Salento, denominata durante il regno di Sicilia, “Terra d’Otranto” mette le sue radici, nel lontano 1040, la famiglia nobiliare dei Duca Guarini (avete letto bene: trattasi di una delle più antiche famiglie del vino italiane) che vede – ad oggi – l’ultima generazione coinvolta in un progetto di valorizzazione territoriale, consapevole di quanto quest’area non sia degnamente rappresentata, relegata ai margini da vetuste logiche economiche orientate ai volumi.
Carlo Guarini è l’amministratore, lo spokeman, l’anima concettuale del progetto; Roberto – suo fratello – è agronomo ed enologo aziendale; si è formato nelle principali zone enologiche internazionali ed incontrarlo lontano dai vigneti è cosa piuttosto rara. Insieme superano di poco i sessant’anni.
“Brothers in wine” determinati a scommettere sul potenziale di estrema finezza del Negroamaro andando a produrre vini che si collocano nelle fasce più alte dello scaffale, senza compromessi di sorta, nella più schietta interpretazione dei suoli e delle annate.
Come un detonatore il pensiero dei fratelli Guarini potrebbe innescare la nascita di un nuovo senso di appartenenza, di uno “spazio collettivo” aperto a tutti gli attori più vitali ed intraprendenti di Terra d’Otranto.
Dal terroir al mercato, la missione è quella di conquistare riconoscibilità ed autorevolezza, di confermarsi terra “ad alta vocazione”, di contrastare l’imperante visione del Negroamaro underdog nei confronti del Primitivo.
Valorizzare la Doc, dunque, nata nel 2011 e a tutt’oggi ancora in letargo, attraverso un progetto di autenticità e filiera integrata.
Entriamo nel cuore di Castello Frisari: due territori, stesso vitigno, stesso lievito (preparato in collaborazione con il Cnr di Lecce), uguali dinamiche di vinificazione, medesimo regime biologico e… due vini Rossi dall’animo affine ma completamente opposto, due facce della stessa medaglia.
Nell’agro di Galatone, nel cuore della Pianura della Terra d’Otranto, il suolo si manifesta con il suo tipico vestito rosso. Argilla sabbiosa di medio impasto, molto profonda e ricca in sostanza organica, ferro e potassio, estensione da est a ovest della penisola con costanti correnti di vento, per lo più settentrionale, in particolar modo durante la stagione vegetativa.
Da questa specifica terra nasce il Negroamaro Pianura.
Nell’agro di Ugento, più a sud, entriamo nelle Serre di Terra d’Otranto, ultimo sbuffo calcareo dello scheletro appenninico, piccoli rilievi collinari poco profondi ed estremamente poveri di sostanza organica.
Terra di estremo sud esposta ai venti marini che provengono dai due mari e giocano a rincorrersi tra i filari.
Qui nasce il Negroamaro “Serre”.
Per entrambe le referenze le uve vengono vendemmiate manualmente con rese medie di 50 quintali/ettaro, la fermentazione avviene per metà in acciaio e per metà in barrique di terzo passaggio, tendenzialmente senza fermentazione malolattica (salvo in alcune annate di “Pianura”, il Rosso con l’acidità più bassa).
Dopo l’assemblaggio i liquidi si amalgamano per un periodo minimo di 2 anni per poi trovare nella sosta in bottiglia l’ultimo atto evolutivo che anticipa la messa in commercio.
Ai due Rossi aziendali, si aggiunge un Rosato – ovviamente Negroamaro 100% – con provenienza dall’agro di Melissano, nella zona delle Serre – ottenuto con il metodo della lacrima.
La prima vendemmia aziendale risale al 2016 e vede la genesi di poco più di 2000 bottiglie.
Nel 2021 i Rossi raddoppiano e si guarda al futuro con l’ambizione di spingersi a 15.000 bottiglie: capacità massima che la nuova cantina – che presto vedrà i natali – sarà in grado di sostenere a pieno regime.
Allo stato attuale gli ettari di proprietà sono 4,5.
In un gelido marzo salentino, protetti ed allietati dal fuoco del camino, abbiamo dato il benvenuto al Rosato 2021, comparato i due Rossi dell’annata 2017, valutato l’espressione della difficile vendemmia 2018 di “Pianure” (il “Serre” 2018 non è stato imbottigliato)
La mia sorpresa più grande, però, è rappresentata dal nuovo Metodo Ancestrale dei fratelli Guarini: pet nat da Negroamaro (non poteva esser diversamente) integralmente prodotto.
Pronti ad immergervi nell’animo di questo vitigno ?
CASTELLO FRISARI METODO ANCESTRALE – SERRE DI TERRA D’OTRANTO DOP 2021
Non poteva che arrivare dai suoli più calcarei l’uva utilizzata per questo spumante col fondo, con un anticipo vendemmiale sull’uva destinata al Rosso di 2/3 settimane.
Pressatura soffice e prima fermentazione arrestata a freddo, in quel magico momento evolutivo in cui rimangono non più di 20grammi/litro di zuccheri residui.
Imbottigliamento manuale, chiusura con tappo corona e messa in orizzontale delle bottiglie nell’area più fresca della cantina, in modo da garantire una ripresa fermentativa lenta ed omogenea.
Ne consegue un pet nat dalla vivida incidenza carbonica, con un fondo non eccessivo che scalpita per essere mandato in sospensione nel liquido, prima di stappare la bottiglia.
Nel calice il corallo è suadentemente torbido; il naso fruttato è figlio della sua annata (che si confermerà tale anche con il Rosato 2021) e le note di lievito sono rustiche, ma non invasive, decisamente ben amalgamate.
Lampone, ribes, fragolina selvatica e soltanto dopo il pizzicore di un agrume rosa maturo.
Seguono effluvi di mentuccia e cenni di cipria
Nel sorso dilaga l’anima del Negroamaro: frutto, in coerenza con l’olfazione, sapidità e chiusura piacevolmente amaricante, che richiama la beva.
Materico ma tagliente, foriero di una lunga salivazione sapida ed agrumata. Ecco quindi le prime 400 bottiglie di Metodo Ancestrale salentino da uve Negroamaro!
CASTELLO FRISARI – ROSATO DI TERRA D’OTRANTO DOP 2021
I produttori salentini possono intraprendere due strade, a mio avviso: cavalcare l’onda del vino rosato beverino, immediato, scarico a livello cromatico, facendo magari cassa sui volumi di vendita, oppure approfittare dell’attenzione crescente rivolta a questa categoria e dimostrare come si possano produrre Rosati con l’anima.
Vi racconto di questo vino affinchè possiate stabilire a quale delle due categorie appartengono i fratelli Guarini.
Dagli alberelli di Negroamaro di Melissano, nel cuore delle Serre, arriva la materia prima che verrà vinificata secondo il tradizionale metodo a “lacrima”: la lenta fermentazione del mosto fiore vede l’impiego del succo derivante da una leggera compressione delle uve…quella “lacrima” che per prima fuoriesce dalle nere bacche, ammassate nella pressa pneumatica verticale che, già a contatto con l’aria, si colora di rosa.
Vinificazione in acciaio, affinamento che si prolunga fino a marzo.
Il cerasuolo è caparbio e non teme confronto, il naso ritorna a parlarci dell’annata 2021 con un profilo fruttato più in evidenza del solito
Piccoli frutti rossi, lampone su tutti, protagonisti di un gioco delle parti con il consueto e distintivo scheletro sapido. Nonostante il nervosismo dovuto al recente imbottigliamento, le percezioni di freschezza sono già evidentemente floreali e avviluppano con eleganza la componente alcolica.
Il finale, manco a dirsi, è amaricante, la salivazione densa e materica. 2500 bottiglie prodotte in questa annata.
E adesso concentriamoci sull’essenza del progetto Frisari: la comparazione dei due cru aziendali.
A dire il vero l’annata 2017 ha visto ridursi le profonde differenze organolettiche tra le due referenze: l’annata calda e siccitosa ha infatti condotto ad una maturazione del frutto per “concentrazione” in entrambe le aree.
Rese quasi dimezzate rispetto all’anno precedente, differenza di vendemmia di circa 10 giorni tra una zona e l’altra.
CASTELLO FRISARI – SERRE DI TERRA D’OTRANTO DOP 2017
Un “Serre” atipico: decisamente più carico del solito, ma pur sempre eloquente manifestazione di un suolo povero e calcareo.
Rubino con anima violacea, naso ancora croccante di fragola di bosco, ciliegia e sfumature di mirtillo; la speziatura è millimetrica: non eccede di una virgola e porta in dono pepe nero e noce moscata.
Le erbe aromatiche parlano di Mediterraneo.
Il sorso entra verticale, senza assalire il centro bocca, ma prosegue nel suo incedere trainato dalla sapidità e dalla fragranza del frutto. Dopo un attimo fa capolino un tannino giovane, saporito, centrale.
Se possiamo forzare un paragone: qui strizziamo l’occhio alla Borgogna.
CASTELLO FRISARI – PIANURA DI TERRA D’OTRANTO DOP 2017
Adesso è il turno del suolo più ricco ed argilloso.
Nel calice il “Pianura” è rubino fitto e non cede il passo ad alcuna sfumatura. Il naso racconta di frutti di bosco più maturi e le erbe aromatiche diventano officinali.
La percezione è decisamente più evoluta, nonostante il calice abbia richiesto più tempo per aprirsi, probabilmente per la sua componente tannica più pronunciata.
Il sorso è decisamente largo e conduce il frutto verso la spezia. Il tannino è granuloso e materico e sembra pervadere l’intero cavo orale.
Gustoso e ben equilibrato: l’imponenza si snellisce grazie alla consueta spalla fresco/sapida.
Continuando a forzare: un possibile paragone con Bordeaux
Con queste spremute di Salento che vi ho raccontato, mi auguro di essere riuscita a far assaporare un po’ del nostro vento che proviene dal mare.
Mi chiamo Paola Restelli, “PR”di nome e di fatto. Creare un nuovo contatto oppure dar vita ad una rete di idee e persone mi ha sempre procurato divertimento e piacere. Avevo fin da piccola attitudine a generare empatia e, quando il vino è entrato nella mia esistenza, questa dote si è rivelata assai preziosa. Lavoro da anni nel comparto come Consulente, con mansioni di Brand Ambassador, ma anche Responsabile dell’ideazione, della produzione e della conduzione degli eventi enogastronomici. Mi sento “al posto giusto”, come il buon vino a tavola. Conferisco alla degustazione una natura simbolica, edonistica, estetica. Penso a me come ad un cupido enoico, che opera in una nicchia privilegiata di cultura.
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