Alzi la mano chi non ha mai pensato al Primitivo come ad un oggetto misterioso su cui aleggiano molte leggende, non sempre positive.
Motivazioni ce ne sono tante, sopratutto guardando a certi artifici arzigogolati e fantomatici accoppiamenti degni del peggior incubo.
Ogni riferimento è puramente voluto, quando si cerca di storpiare l’anima di un vitigno e l’identità di un territorio e noi di Vinodabere abbiamo sempre espresso un chiaro giudizio in merito.
La Puglia sta vivendo, nel suo complesso, una profonda fase di cambiamento e di riforma; proprio come tale, il momento è delicatissimo e richiede il doppio delle cure e degli sforzi per evitare alcune derive.
I due volti del Primitivo si chiamano: Gioia del Colle e Manduria. Caratteri e fisionomie estremamente diverse tra di loro, uniti in maniera labile dalla grande potenza alcolica dei vini del Sud.
È la continua dicotomia tra due terroir contrapposti, che dividono la regione lungo una dorsale longitudinale passante per il suo centro.
Gioia del Colle, più a nord ed a più di 300 metri di altitudine, subisce l’influenza delle correnti mitigatrici dell’Adriatico e di terreni multistrato di presenza calcarea.
Manduria è il torrido areale tarantino, sferzato dallo scirocco e dal clima estivo rovente ed arido. Le argille si compattano e consentono alle viti la sopravvivenza grazie ad un drenaggio fisiologico. Ne nascono vini maggiormente densi e scuri che abbisognano di una gestione del legno spesso esageratamente marcata.
Delicatezza è la parola d’ordine della Denominazione di Origine Controllata Gioia del Colle e Polvanera ne è un fulgido rappresentante.
Da nonno Vincenzo a papà Filippo, ora ad Alessia Cassano e sua sorella Adriana (che cura anche la parte enologica aziendale), la tradizione vitivinicola continua e si rinforza di nuova linfa vitale.
Collocata tra Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle, Polvanera è immersa in un paesaggio unico, con vigneti, muretti a secco e fusti di roverelle. La cantina, insolita e caratteristica è scavata per 8 metri nella roccia calcarea. La struttura consente ai vini di affinare ad una temperatura costante, unendo utilità e bellezza. Annessa vi è pure una masseria storica del 1820 dal gusto rustico, adibita all’ospitalità di chi volesse degustare la lunga lista delle sue etichette. Da tale luogo deriverebbe l’origine del marchio Polvanera, posto ove si bruciavano, in passato, le cataste di legna per creare il carbone.
Oggi voglio parlarvi del Primitivo di Gioia del Colle “16”, chiamato così in funzione della gradazione alcolica ottenuta. Questo perché esiste anche un “14”, un “15” senza solfiti ed un “17” ancor più deciso e potente, tutti rigorosamente BIO.
Li ho degustati in verticale nelle annate 2015 – 2013 – 2011 – 2009, cominciando dalla giovinezza verso la piena maturità.
2015: freschezza impressionante. Parlando con Alessia, responsabile per manifestazioni, eventi, accoglienza, nonché della parte commerciale, non conoscendo il significato del numero 16 scelto, mai avrei pensato alla sua carica calorica. Godibile e versatile, con note di ciliegie ancora croccanti, erbe aromatiche di rosmarino e richiami di pepe rosa. Inconfondibile finale salino al palato, il tutto in un quadro di trasparenze traslucide dal colore rosso rubino. Ha ampi margini di miglioramento davanti a sé.
2013: superbo. Interamente declinato sul frutto, ricco di amarene sotto spirito, more di gelso, mirtillo rosso. Due invitati speciali, da una parte il tannino setoso e ben integrato, dall’altra una lunga persistenza che ti ricorda il sorso per molti istanti. La sapidità si trasforma in mineralità sanguigna, suffragata da un leggero riverbero di essenze floreali e di arancia rossa.
2011: paga evidentemente una annata non particolarmente felice. Sta di fatto che si avvertono già note terziarizzate di evoluzione, quasi smaltate, concentrate su toni scuri. Marmellata di more e lamponi, rabarbaro, sigaro e cuoio. Anche in bocca la musica non cambia, esaltando la parte di tostature e torrefazione, di cacao in polvere e sigaro sbriciolato. L’unico campione che tende alla rotondità (forse eccessiva), rispetto ad eleganza ed agilità.
2009: non fosse per averne letto la data, sembrava di ritornare ad assaggiare la 2013 solo con 4 anni ulteriori sul groppone. Aggrappato, quasi in maniera commovente, ad una frutta nitida e ancora vivace. Ritorna l’amarena scura, quasi in cottura; i fiori sono appassiti e sanno di petali violacei. Le balsamicità stuzzicano su pungenze mentolate, lenite contemporaneamente da liquirizia e cannella. Sontuoso, da meditazione.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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