Chissà se Claudio Tipa da ragazzo giocava a Risiko. In quell’ormai antico gioco da tavolo lo scopo principale era invadere e impossessarsi di più territori possibile. Proprio quello che ha fatto lui con la sorella Maria Iris, partendo dalla tenuta di Collemassari, in Maremma, accumulando cannoncini e muovendosi alla conquista dei migliori terroir di Bolgheri, con Grattamacco, e di Montalcino, con Poggio di Sotto. Senza fermarsi più, visto che di recente un’altra tenuta importante della zona del Brunello, San Giorgio, si è aggiunta al ricco portafoglio del gruppo. Tutte le aziende sono certificate bio eccetto l’ultima arrivata, in conversione. Una sessione di assaggi dei vini di Collemassari, quindi, finisce per essere un ritratto nitido e sfaccettato del vino toscano di qualità.
Un’ulteriore conferma dell’assunto è arrivata ad agosto, in occasione di una visita in azienda a Castelnuovo dell’Abate, sede storica di Poggio di Sotto, dove ho avuto l’occasione di degustare sei etichette di Montecucco, Bolgheri e Montalcino. Per completare la gamma, ho approfittato di una bella serata romana di fine settembre sul roof garden della nuova Rinascente, dove ho assaggiato altri vini.
Ma ecco i riscontri delle degustazioni.
COLLEMASSARI
Nata nel 1998 nella denominazione Montecucco, si estende su ben 1.285 ettari, di cui 115 piantati a vigna, situati alle pendici del Monte Amiata, proprio di fronte alla propaggine sud di Montalcino, e orientata verso il Tirreno. La composizione del terreno è mista di arenaria, ciottoli e argilla di varia origine (rossa e calcareo-marnosa). La coltivazione è dedicata in prevalenza al Sangiovese per i rossi e al Vermentino per i bianchi. I vini sono curati da Luca Marrone (enologo interno di tutto il gruppo) e Maurizio Castelli, che si occupa anche di Grattamacco. La produzione annuale sfiora il mezzo milione di pezzi.
Montecucco Vermentino Doc Irisse 2017. Vermentino con un saldo del 15% di Grechetto. Buona espressione di vino bianco costiero, con profumi mediterranei (ginestra, spezie, agrumi e frutta gialla) e un sorso sapido, di discreta articolazione e buona persistenza. Manca un po’ di scatto, probabilmente per colpa dell’annata calda.
Montecucco Rosato Doc Grottolo 2018. Sangiovese al 70% con taglio paritario di Ciliegiolo e Montepulciano. È un rosato gustoso, un po’ avaro olfattivamente (melograno, un soffio di salsedine) ma di buon passo al palato, vivace, con finale fruttato e discreta struttura.
Montecucco Sangiovese Riserva Docg Poggio Lombrone 2015. Sangiovese in purezza da una vigna di 45 anni, con rese di 40 q/ha e affinamento in botte grande di 36 mesi. Profumi intensi di liquirizia, tabacco e tostatura, carne cruda e cacao; bocca di buona fattura, avvolgente ed elegante. Vino dinamico, succoso e lungo.
Montecucco Sangiovese Riserva Docg Poggio Lombrone 2014. Naso speziato, ancora un po’ condizionato dalla tostatura del rovere, pietra focaia; gusto di ciliegia in evidenza, leggermente “rustico”, ha un buon contrasto acido-sapido e un soffio alcolico in chiusura. Meno convincente del 2015, per ora non sembra aver raggiunto l’equilibrio ottimale.
GRATTAMACCO
Azienda fondata nel 1977 tra Castagneto Carducci e Bolgheri e rilevata nel 2002 dai Tipa, oggi conta su 27 ettari di vigneti dall’età media di 25 anni, in parte allevati ad alberello, giacenti su sabbie rosse, limo, calcare e flysch a circa 100 metri s.l.m. Si coltivano le varietà bordolesi, ormai classiche per la zona, un po’ di Sangiovese e il Vermentino, che dà le uve per l’unico bianco tra le quattro etichette aziendali. Poco meno di 150 mila bottiglie l’anno.
Bolgheri Rosso Doc 2018. Taglio di Cabernet Sauvignon (60%), Cabernet Franc (20%), Merlot (10%) e Sangiovese (10%). Rese di 70 q/ha, le uve vengono vinificate separatamente e assemblate dopo un breve passaggio in barriques, per poi riposare sei mesi in vetro. Balsamico al naso, piccoli frutti scuri (mirtillo, mora), spezie (pepe); in bocca ha struttura leggera, buona progressione e un’insistita scia amarognola in chiusura. Una seconda bottiglia appena aperta dà gli stessi esiti olfattivi ma sembra più croccante ed equilibrata in termini di polpa; anche il finale è più tonico e fresco, leggermente amaricante.
Bolgheri Rosso Doc 2016. Stessa nota balsamica del fratellino, iodio, sottobosco, frutti rossi, conserva il lato vegetale tipico del Cabernet (peperone arrosto). Sorso molto equilibrato, agile e sostanzioso, tannini di estrazione impeccabile, con acidità e mineralità che danno slancio a una chiusura lunga ed elegante. Un vino espressivo, davvero riuscito.
Bolgheri Rosso Superiore Doc Grattamacco 2016. Taglio di Cabernet Sauvignon (65%), Merlot (20%) e Sangiovese (15%). Qui siamo proprio al top, grazie a una vendemmia benedetta un po’ in tutta la Toscana, come dimostrano i ripetuti assaggi degli ultimi anni tra le varie denominazioni. Fermentazione alcolica in tini troncoconici aperti, malolattica in barriques nuove e usate dove sosta per circa un anno e mezzo prima dell’imbottigliamento. All’olfatto bel varietale intenso di peperoni crudi, pigna e aghi di pino, sangue, ribes, cenni di pepe bianco e tabacco; palato precisissimo e complesso, tannini fitti e raffinati, bel dialogo tra sale e freschezza, persistenza notevole e intrigante. È in una fase ancora giovanile ma già manifesta tutte le caratteristiche di un capolavoro. Intorno ai 95/100.
TENUTA SAN GIORGIO
È l’ultimo arrivato nell’arcipelago di Collemassari, un’azienda di Montalcino fondata nel 1982 e venduta ai Tipa tre anni fa da Guido Folonari. Le vigne, 25 ettari tra 250 e 400 metri s.l.m., si trovano a Castelnuovo dell’Abate, non lontano da Poggio di Sotto e dal Castello di Velona. I terreni sono ricchi di scheletro con argille e tufo. Sessantamila pezzi l’anno. Per le due aziende di Montalcino l’enologo consulente è Federico Staderini.
Rosso di Montalcino Doc Ciampoleto 2017. Invecchia per un anno in botti di rovere di Slavonia. Profumi autunnali, ghianda, terra e alloro. Sorso caldo, carnoso, sensuale, tannino leggermente sabbioso. Molto indietro nello sviluppo della trama, sembra pagare oltremodo i limiti di un’annata poco brillante.
Rosso di Montalcino Doc Ciampoleto 2016. Ultima vendemmia della vecchia gestione, ma vinificato dalla coppia Staderini-Marrone. Odora di ginepro e ciliegia, con toni balsamici, bel vino, un po’ calligrafico, buona chiusura di frutta rossa non matura, fresco e agile. Può crescere.
Brunello di Montalcino Docg Ugolforte 2014. Tre anni in botte grande. Naso sottile, etereo, mineralità soffusa, roccia di fiume, cenni floreali. Beva molto godibile, giocata in sottrazione, tannini eleganti e chiusura piacevole e salina anche se un po’ sbrigativa. Un Brunello diverso da un’annata magra, snello e stilizzato.
POGGIO DI SOTTO
È l’azienda di punta del gruppo, comprata nel 2011 dallo storico fondatore Piero Palmucci, che l’aveva resa celebre grazie a vini eleganti e profondi creati assieme al mitico “Bicchierino”, Giulio Gambelli, dettando quello che oggi è lo stile prevalente per i Rosso e i Brunello di Montalcino. L’abilità dei Tipa è stata riuscire a non snaturare quello stile, esaltandolo anzi anno dopo anno. Sedici ettari di vigneti piantati a cordone speronato tra i 200 e i 400 metri s.l.m., su terreni ricchi di scheletro, galestro e argilla, la tenuta gode di un microclima unico grazie alla “protezione” del monte Amiata, alla vicinanza del fiume Orcia e alla carezza dei venti che arrivano dal Tirreno. Rese di 30-35 q/ha, grappoli selezionatissimi, botti di rovere da 30 hl, mai troppo vecchie, affinamento di due anni per il Rosso, quattro per il Brunello e cinque per la Riserva. Circa trentamila bottiglie (costose e molto ricercate).
Rosso di Montalcino Doc 2016. Un mix inebriante di profumi floreali, fruttati (fragolina di bosco) e balsamici, di grande intensità, con cenni fumè, precede un sorso intenso, continuo, progressivo, aereo, in perfetto equilibrio tra ricchezza e leggerezza, nella migliore tradizione della casa. Tannini succosi, deliziosi, persistenza quasi interminabile con tanto sale e agrumi rossi. Anche qui siamo tranquillamente sui 95 punti…
Brunello di Montalcino Docg 2014. La vendemmia difficile ha indotto il team di enologi a ridurre la permanenza in botte, tre anni invece dei soliti quattro, e nel contempo ad allungare l’affinamento in vetro. Singolari note affumicate al naso, con resina, spezie orientali, menta, cannella e carne cruda, e una bocca non troppo diversa dall’Ugolforte di pari annata, con un plus di sostanza e garbo, un po’ sbilanciata, forse ancora alla ricerca di un equilibrio tra acidità e tannini. Migliora decisamente nel bicchiere, a contatto con l’aria, superando l’iniziale disorientamento. Ma per ora sembra meno tonico delle precedenti edizioni di questa prestigiosa etichetta, tanto da far pensare a una bottiglia sfortunata.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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