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Degustazione

Piemonte – Monferace e l’evoluzione del Grignolino

Del progetto Monferace ne avevamo già parlato lo scorso anno (vedi qui), ma la presentazione della nuova annata in commercio è stata l’occasione per approfondire ulteriormente questo vino e il vitigno Grignolino che fanno parte, entrambi, della storia enologica del Piemonte.

Il progetto Monferace è figlio dell’omonima associazione nata nel 2016 con lo scopo di rivalorizzare l’antica modalità di produzione del Grignolino, che oggi è principalmente conosciuto come un vino semplice, dalla facile beva e da consumare giovane. In passato però il Grignolino aveva tutto un altro aspetto ed era prodotto secondo le tecniche utilizzate per tutti i grandi vini del Piemonte, era un vino dalla lunga maturazione in botte, maturazione che ne stemperava i toni scalpitanti.

I membri dell’Associazione (attualmente sono 10 le cantine aderenti: Accornero, Alemat, Angelini Paolo, Cascina Faletta, Dario Natta, Liedholm, Tenuta Santa Caterina, Tenuta Tenaglia, Sulin, Vicara) hanno iniziato a produrre una parte del loro Grignolino come avveniva in passato e come definito da uno specifico protocollo di vinificazione da tutti sottoscritto. La produzione di Monferace può avvenire esclusivamente nelle migliori annate, può essere utilizzata solo uva Grignolino in purezza, il vino deve maturare per almeno 40 mesi (calcolato dal 1° novembre dell’anno di vendemmia), di cui almeno 24 mesi in botte di legno.
Le uve devono provenire da vigneti piantati su terreni calcarei – limosi e calcarei – argillosi con un numero di ceppi per ettaro non inferiore a 4.000; la resa massima di uva non deve superare i 70 quintali/ettaro.
Il Monferace non è una denominazione e, in relazione al territorio di produzione, i vini possono ricadere sotto le denominazioni “Grignolino del Monferrato Casalese” o “Grignolino d’Asti”.

L’Associazione Monferace è anche molto attiva nello studio del vitigno e delle sue caratteristiche. Ne sono prova gli interventi che si sono succeduti nel corso del convegno che ha preceduto la presentazione dell’annata 2019.
Uno di questi ha riguardato un interessantissimo studio realizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche circa la genetica dei vitigni del Nord-Ovest d’Italia. La dottoressa Anna Schneider durante la sua presentazione, ha evidenziato come le prime menzioni del Grignolino risalgano al 1249 dove compare la citazione “de bonis vitibus berbexinis” dove berbexinis sta per Barbesino che risulta essere il sinonimo storico di Grignolino. Inoltre, nel 1614 si parla dei vini di Grignolino presenti nella fortezza di Casale.
I documenti storici ci dicono che il Grignolino è il primo vitigno, tra quelli ancor oggi coltivati, citato tra quelli presenti in Piemonte. Quindi un vitigno considerato di elevato valore economico la cui età è senza dubbio ragguardevole.

L’indagine genetica effettuata sui vitigni del Nord-Ovest ha portato a interessanti conclusioni sulle origini del Grignolino.
Durante lo studio sono stati analizzati i DNA di 200 vitigni locali e messi in relazione con quelli di 600 vitigni europei o italiani per trovarne i gradi di parentela: di primo grado (ovvero genitore-figlio) o di secondo grado (fratelli, nonno-nipote, zio-nipote). Questo ha permesso di ricostruire una sorta di albero genealogico. Da questo complicato intreccio di parentele la ricostruzione, ad oggi più attendibile, dice che il Grignolino sia un parente di secondo grado (nonno-nipote) del Nebbiolo. Non è stato trovato ancora l’anello di congiunzione diretto, potrebbe darsi si tratti di un vitigno scomparso.

Il Grignolino è dunque, quasi certamente, un vitigno autoctono piemontese e anche il dubbio ventilato da qualcuno che fa notare come le citazioni del Grignolino siano antecedenti a quelle del Nebbiolo (cosa impossibile visto che il Nebbiolo è “nonno” del Grignolino) ha una spiegazione. Le citazioni del Grignolino sono più vecchie probabilmente perché era molto più diffuso e quindi citato rispetto al Nebbiolo che, a quell’epoca, era coltivato solo in una piccola parte del Piemonte.

A livello globale, la produzione di bottiglie che riportano in etichetta il nome Monferace è di circa 30.000 all’anno e il prezzo medio allo scaffale si posiziona intorno ai 40 euro. Una produzione decisamente ridotta, destinata comunque ad aumentare visto l’impegno dei produttori e il buon riscontro di mercato.
I punti su cui, a livello commerciale, i produttori possono far leva sono sostanzialmente tre: le produzioni limitate e di qualità, il metodo tradizionale di produzione e lo stretto legame tra il vitigno Grignolino e i territori di Asti e Alessandria.

L’annata 2019 ha visto un inizio d’anno abbastanza siccitoso con temperature sopra la media, situazione opposta in primavera. In luglio intense precipitazioni hanno parzialmente riequilibrato l’apporto idrico. La 2019 si è rivelata una tra le annate più calde degli ultimi 20 anni ma con precipitazioni nella media.

I vini degustati dell’annata 2019 sono caratterizzati da un colore di media fittezza, dalla buona luminosità e che, dal colore granato tende verso l’aranciato.
La gioventù del progetto Monferace è evidenziata dalla ancora evidente difformità dei campioni presentati, difformità che può derivare anche dalle differenti pratiche enologiche attuate da ogni singola cantina. Dal punto di vista olfattivo, si spazia da fiori e frutta croccante a versioni nelle quali la maturità e l’evoluzione predominano con sentori di spezie dolci e accenni boisé.  Il livello gusto-olfattivo risente dei diversi stili di produzione con acidità, tannino e sapidità molto diverse tra i campioni assaggiati. Anche la maturazione in legno non in tutti i campioni è risultata equilibrata e integrata nel corpo del vino.

Il Monferace è un vino che ha una bella storia da raccontare ma che deve ancora trovare un’unità di espressioni al fine di potersi proporre in modo univoco, seppure nelle differenze, al pubblico degli appassionati di vino.

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Dopo una trentennale brillante carriera in ambito amministrativo finanziario all’interno di un noto gruppo multinazionale, dal maggio 2018 si dedica totalmente al mondo del vino del quale è appassionato partecipe da oltre quindici anni. Sommelier dal 2005 e degustatore Associazione Italiana Sommelier, assaggiatore di formaggi ONAF, assaggiatore di grappe e acqueviti ANAG e degustatore professionista di birre ADB, è relatore in enologia nei corsi per sommelier. È stato responsabile redazionale del sito internet della delegazione AIS di Milano e ha collaborato alla stesura delle guide Vitae e Viniplus. È redattore per la rivista Viniplus di Lombardia, per la quale cura due rubriche, è inoltre autore per la rivista Barolo & Co e per le testate on-line vinodabere.it, e aislombardia.it.

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