Città di Castello chiama il mondo intero. Un Festival di-vino, l’occasione per confrontarsi con molteplici realtà del settore enologico. Dal marchio di punta pluripremiato, al piccolo produttore di pochi ettari, fino alle aziende (tantissime) create dall’ingegno e dal sacrificio dei giovani under 30.
Un padiglione dedicato agli “International”, selezione curata personalmente da Luca Martini, magnetico sommelier di fama mondiale e, per la prima volta, un intero spazio destinato ai vini rosè.
Ma il vero clou è senza dubbio a Palazzo Bufalini, su un’area dislocata su due piani si presentano al cospetto del foltissimo pubblico diviso tra professionisti e semplici appassionati, con aziende provenienti da ogni angolo di Italia.
Senza ulteriori indugi vi segnaliamo dunque gli assaggi più interessanti, rimandando ad ulteriore articolo il focus inerente l’estero.
LEONARDO BUSSOLETTI: come descrivere in poche righe i suoi capolavori? Non v’è traccia di difetto, neanche a cercarlo col lanternino. Piuttosto semmai, la difficoltà per il sottoscritto nell’individuare il prodotto che meglio rappresenti la sua filosofia aziendale, basata su ricerche, micro vinificazioni, raccolte anticipate (perché per Leonardo il PH è tutto), collaborazioni con Università di Milano e via dicendo. Padrone di casa il Ciliegiolo, le cui origini e parentele con il Sangiovese non sono del tutto chiarite (figlio o padre?). Qui viene presentato sia in versione rosato dalla insolita struttura, che in tre versioni rosse: lo “05035” richiamante il CAP di Narni, più beverino e gioviale; il premiatissimo “Ramici” da vigne di oltre 50 anni cresciute su terreni sabbiosi che lo rendono carico di freschezze agrumate e spezie intense. Infine il “Brecciano” 2017 su cui voglio soffermarmi. Giusto mix tra acciaio e legni grandi rendono perfettamente equilibrato il figliol prodigo di casa Bussoletti.
VITTORINI: Nico Speranza con i suoi vin de garage provenienti dalla provincia di Fermo ci ricorda quanto sia importante non soltanto la quantità, ma soprattutto la qualità, la fantasia fatta di genio e sregolatezza. Il “Crocifisso 2017” è per metà Pecorino e per l’altra Sangiovese vinificato in bianco. Alla freschezza propria del primo si unisce il carattere e una leggera mordenza del secondo, fenomeno ripetuto all’ennesima potenza nel Vittorini “Edizione 2013”, che sosta ben 20 mesi a contatto con le fecce esprimendo note salmastre, balsamiche, minerali (di affumicatura e cherosene) unite a gusto pieno, mieloso ed orzato.
CANTINA BETTALUNGA: molta grazia ed eleganza nei vini di Alessandro Lanterna. Inevitabile pertanto la dovuta menzione tra i big, troppo spesso concentrati su prospettive evolutive da dimenticare il concetto stesso di bevibilità. Il suo “Grechetto” 2017 maturato solo in fermentino inox rappresenta proprio questo: una bocca pulita, pronta ad assaporare un nuovo sorso, preceduta da naso fine di pera e pesca bianca ed erbe officinali. What else? Interessante anche il Trebbiano sempre in purezza da cloni di Procanico.
TERRE NERE: se ne parlerà a lungo di Francesca Vallone da Castelnuovo dell’Abate (Montalcino). Il padre Pasquale ha fatto il percorso inverso del Checco Zalone di Quo Vado: dal posto fisso in banca passò al ruolo di viticoltore ritornando alle origini seguite dalla famiglia. Ben 10 ettari acquisiti in una zona dal terreno vulcanico coriaceo, unito a galestro scuro da cui il nome stesso dell’azienda. Nomi evocativi per le sue vigne (Sasso, Capanna, Capriolo, Fiume), fermentazioni spontanee e malolattica non forzata assolutamente in botti grandi, col minimo intervento possibile. La Riserva di Brunello 2013 ebbi modo di assaggiarla alle anteprime toscane restando letteralmente a bocca aperta. Ora è il momento del Brunello 2014, elegante, fine, all’apparenza magro ma ben delineato in ciascuna delle sensazioni gusto-olfattive. Rispecchia l’annata complessa. Di ottimo livello il Rosso di Montalcino 2016, maturato 8 mesi in legno richiama memorie transalpine da Pinot Noir, rammentando a chi degusta che il focus non è il vitigno bensì il terroir.
Segnalo un paio di spumanti di ottima fattura prima di proseguire il viaggio spostandoci dal Centro Italia al resto della Penisola. COLLE UNCINANO propone un Metodo Charmat da uve Trebbiano Spoletino molto gradevole come aperitivo e con crudités di mare, mentre DECUGNANO DE’ BARBI presenta uno Zero Dosage da Pinot Nero e Chardonnay e ben 48 mesi sur lie, per ogni esigenza e palato.
FERRARIS AGRICOLA: Luca e Chiara Ferraris SONO il Ruchè con la loro storia e gli oltre 20 ettari coltivati. La “Vigna del Parroco” fu piantata nel lontano 1964, unica vigna menzionabile nell’intera denominazione. Frutta scura in cottura, grande struttura e speziatura lo rendono una leggenda del gusto. Il “Sant’Eufemia” 2017 invece col bassissimo residuo zuccherino, vendemmia anticipata e impiego soltanto di contenitori inox regala grande freschezza agrumata e di ciliegia tipica del vitigno.
CANTINA COMERO: Vespolina in purezza cercasi disperatamente. Paolo Cominoli risponde alla grande con un prodotto annata 2016 che esprime cento per cento il territorio delle Colline Novaresi. Omologo del Pelaverga esprime al meglio sentori di spezie aromatiche come chiodi di garofano e un floreale intenso di petali di violetta. Rigorosamente in acciaio. Nel Sizzano 2013 invece, affinato 24 mesi in botte grande, emerge un frutto più denso e cremoso da marmellata di more e un tannino panciuto ben integrato nella sua trama. Protagonista questa volta, come potrete intuire, è sua Maestà il Nebbiolo che comunemente viene definito in queste zone “spanna”.
ELENA FUCCI: Titolo festeggia quest’anno con una selezione speciale, quella del “Ventennale”. Dell’Aglianico in purezza di Elena Fucci di Barile (PZ) si sono sprecati fiumi di parole. Ciò che si dimentica spesso di evidenziare è la bontà stessa del prodotto, fatto di puro succo di mirtilli, di macchia mediterranea, di tannini potenti ma mai invadenti. La bravura e la classe di Elena si notano in ogni fase, dalla terra alla bottiglia. A breve entro l’estate pronta una avveniristica sala degustazione ove poter assaggiare al meglio questa e tante altre annate storiche. Il Sud è più che mai vivo!
Concludiamo questa lunga dissertazione con due storie che hanno dell’incredibile.
La prima riguarda un salto nell’antichità grazie a Francesco Gabriele Bafaro di ACRONEO. Nel recuperare antiche metodologie usate nel Bruzio (la vecchia Enotria), dopo un complesso studio paleobotanico oggetto di tesi di laurea, i suoi vini difficili a primo acchito rivelano sentori sopiti nella memoria e perduti nel tempo. Il “Vino dell’Archeologo” dedicato al padre, maturato in antiche anfore, dona emozioni uniche con note di elicriso, affumicatura, pasta di olive e persino acciughe. Sorso pieno, deciso, balsamico, importante. Forse più da meditazione pura che da abbinamento.
La seconda ha come protagonista Alessandro Ramilli della TENUTA IL PLINO da San Carlo (FC) ed il suo “Plino della Taverna”, un bianco nato per puro caso, dopo aver osservato che alcuni grappoli erano diversi dai soliti di Albana, grazie a una variazione genetica dei cloni. Attualmente, nonostante tante sperimentazioni, non è stato possibile accertare con precisione l’esatto vitigno di origine. Fatto sta che Alessandro decide lo stesso di vinificare l’“ignoto” con risultati prodigiosi. Naso da frutta tropicale, balsamicità e tostatura di mandorla sul finale. Bocca sorprendente per freschezze di cedro e persistenza quasi salina. Peccato per l’esigua quantità di bottiglie che lo rendono pressoché introvabile. Interessante anche il “Mufato” ben equilibrato tra morbidezze ed acidità tipiche dell’areale.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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