Dal 2004 Nino Barraco è capofila e iniziatore di una vera e propria rinascita del vino marsalese, che, a parte rare eccezioni (la fascia alta della storica Florio, il lavoro sempre puntuale degli eredi di Marco De Bartoli, per fare due esempi), appariva ormai risucchiato da una mediocrità inarrestabile, rassegnato a un destino da “vino per turisti”.
Grazie anzitutto al lavoro di un autentico artigiano come Barraco, sono in tanti oggi ad aver messo impegno, testa, cuore, passione e competenza affinché il vino prodotto in quella che rimane la regione più vitata d’Europa torni ai suoi antichi splendori. “La vera grande sfida della mia azienda – dice Nino – è dimostrare che il vino prodotto a Marsala, dove la vite esiste da migliaia di anni, potrà continuare ad avere un futuro nel salotto buono del vino mondiale”.
Per questo è stato un piacere tornare, dopo un periodo di assenza dovuto ai noti motivi di emergenza sanitaria, a visitare quel piccolo gioiello che è l’efficientissima cantina di Barraco, un parallelepipedo bianco in contrada Bausa, incastonato sulle colline vitate che guardano lo Stagnone e l’isoletta di Mozia, con le Egadi sullo sfondo e il monte Erice a nord.
Nino è sempre irrequieto, in cerca di sfide: quest’anno mi propone un’etichetta uscita per la prima volta nel 2018, che non avevo ancora assaggiato, sta affinando nuove versioni del Metodo Classico, che ha deciso di produrre di nuovo dopo qualche anno di pausa, e segue con la consueta passione la coltivazione e vinificazione di antichi vitigni ormai quasi estinti, come la Catanese Bianca, il Vitraruolo, l’Orisi e la Lucignola, in collaborazione con il vivaio dell’istituto regionale Paulsen (e alcune rare bottiglie sono acquistabili presso la cantina).
Inoltre, da alcuni anni ha creato un’azienda parallela, Halarà, con piccole vigne coltivate nell’entroterra marsalese, assieme ai colleghi Francesco De Franco (‘A Vita, Cirò), Corrado Dottori (La Distesa, Cupramontana), Giovanni Scarfone (Bonavita, Faro), Stefano Amerighi (Amerighi, Cortona), Francesco Ferreri (Tanca Nica, Pantelleria), per produrre un bianco da Catarratto e un rosso dal raro vitigno Parpato.
In vigna e in cantina, poche e semplici regole, affinate grazie agli anni di esperienza: no all’uso di concimi chimici, nessun ricorso all’irrigazione artificiale, potatura corta e raccolta manuale delle uve. E poi nessun impiego del legno né in fase di vinificazione né in fase di maturazione (salvo che per i vini ossidativi e per il bianco Altomare); macerazione sulle bucce anche per i bianchi, rimodulata e ridotta nelle ultime annate; fermentazioni spontanee, e uso limitatissimo di solfiti.
Ma ecco le mie impressioni sulle ultime annate dei vini, assaggiati a fine agosto davanti a un bellissimo tramonto siciliano.
Biancammare 2021. Nuovo nome, si chiamava Vignammare. È un Grillo fresco e scattante che nasce originariamente come base per il Metodo Classico, da vigne giovani coltivate a Petrosino, vicino al mare come intuibile (siamo a trenta metri dal bagnasciuga). Naso splendido, mediterraneo, alghe, ostriche, capperi, curcuma. Bocca molto sapida, da bianco “serio”, e bellissima persistenza di agrumi gialli (pompelmo più che limone). Imbottigliato a marzo, senza solfiti aggiunti.
Rosammare 2021. Da vendemmia anticipata di Nero d’Avola, con macerazione sulle bucce di 18 ore. Stessa storia, era la base dello spumante Rosé. Profumi simili al bianco, anche frutti rossi (fragolina, ciliegia). In bocca sale e acidità tendono a oscurare il frutto. Un po’ sbilanciato ma molto succoso e “gastronomico”.
Catarratto 2021. Vigne di circa trent’anni presso la sede aziendale, in contrada Bausa, allo Stagnone. Molto floreale e fruttato, fumé, accenni di macchia mediterranea ed erbe officinali. Sorso rotondo e succoso, di bella golosità, morbido, dall’acidità meno preponderante, leggermente speziato. Chiusura di frutta gialla matura e mandarino. Vino già pronto.
Bianco G. 2021. Da sempre etichettato come Grillo DOC, quest’anno è stato declassato per problemi con le commissioni di assaggio. Ottenuto da vigne ultraquarantenni coltivate a Castelvetrano. Naso delizioso, lieve tendenza vegetale, cedro, frutta secca (mandorle e pistacchi), miele. Sorso energico ma agile, più del catarratto, salino, componenti già bene integrate e ben disposte a “dialogare” tra loro. Lungo finale di pesca gialla e frutta secca. Funziona, è buonissimo.
Altomare 2019. È già la quarta annata ma lo assaggio per la prima volta. Uve provenienti in parte dalla vigna del Biancammare, in parte del Bianco G., in parte dall’Altogrado. Parzialmente vinificato a grappolo intero. Un anno di botte grande e tonneau, è il primo vino non ossidativo di Nino a fare legno. Naso balsamico, macchia, mirto. Bocca ricca e piena, delicatamente tannica ma fresca e guizzante nel finale. Molto equilibrato, goloso. Un vino importante, con un’ottima gestione del legno, che sarà interessante valutare in termini di evoluzione negli anni.
Zibibbo 2021. Profumatissimo come da tipologia, con scie di frutta secca, capperi, pomodori secchi, scorza d’arancia. Altro vino di grande agilità, ancora non pienamente armonico, ma tonico e speziato (zenzero), dal sapore intenso. Bel finale di agrumi con la “classica” punta amarognola.
Altogrado 2015. Questa annata è stata prodotta col Catarratto invece che col solito Grillo. Uve raccolte tardivamente e vinificate in ossidazione, con formazione di flor ed evaporazione in una botte scolma di castagno per sette anni. In sostanza, come già spiegato in altre occasioni, è un Marsala “pre-british”, cioè non fortificato, come era uso nella tradizione locale prima dell’arrivo di Woodhouse, Ingram e degli altri mercanti che diffusero nel mondo il vino di qui. In quanto tale, oggi non può rientrare nella DOC. A differenza dei contadini del ‘700, Nino ha scelto di fare un millesimato e non un “perpetuo” ottenuto da diverse annate, come l’iconico “Vecchio Samperi” di De Bartoli. Naso complesso e cangiante, affumicato, frutta secca, guscio di crostacei, salamoia, zafferano. Bocca piena di sapore, gioca le sue carte più sull’eleganza che sulla potenza, anzi mostra un’insospettabile freschezza. La persistenza è stellare, riempie tutti gli angoli del palato e si riverbera.
Pignatello 2016. Da uve Perricone. Olive, bottarga, iodio all’olfatto, ma anche ciliegie e scie balsamiche. Sorso energico, ancora scorbutico, tannini rugosi, molto impegnativi, bel frutto. Finale terroso, sottobosco, caffè in polvere, discreta lunghezza.
Nero d’Avola 2018. Un piccolo fuoriclasse di grazia e gentilezza, addirittura borgognone in questa annata. Naso speziato, minerale (cenere spenta), lamponi, cenni ematici e ferrosi. Dal tatto vellutato, è fresco e succosissimo, di grande bevibilità e personalità. In chiusura assieme ai frutti rossi si avvertono sensazioni più complesse di cacao e tabacco.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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