Un fenomeno che ha accompagnato la crescita complessiva della qualità dei vini italiani negli ultimi trent’anni è senza dubbio l’affermazione del concetto di cru. Pressoché sconosciuta fino agli anni Ottanta, pian piano ha preso piede (in particolare nelle Langhe nobili del Barolo e del Barbaresco) la scelta di isolare il raccolto di una o più specifiche vigne, considerate le migliori dal produttore di turno, per farne, appunto, cru della denominazione da collocare anche commercialmente al di sopra del vino di “annata” e a volte anche della Riserva. Negli anni successivi l’abitudine ha preso piede anche in Toscana, a partire dal Chianti Classico.
Le Ragnaie
Oggi la questione è stata accolta ufficialmente all’interno della Docg Barolo con le MGA, Menzioni geografiche aggiuntive (provvedimento discusso e senz’altro discutibile nella forma, ma non è questa la sede per sviscerare la questione). Alcuni sollecitano una classificazione simile anche per il Brunello di Montalcino. Effettivamente, qui negli ultimi anni le etichette che riportano il nome della singola vigna si sono moltiplicate, andando di pari passo con i progressi negli studi e negli approfondimenti sulle tante differenze di terreni ed esposizioni nel vasto territorio della Docg. E molte delle aziende nate in tempi relativamente recenti hanno visto la propria fama accrescersi proprio grazie a questi vini “di vigna”, che tentano, spesso con risultati eccellenti, di valorizzare gli specifici terroir di una mattonella benedetta da Bacco quale è quella di Montalcino.
Una di queste aziende è Le Ragnaie di Riccardo Campinoti. Un marchio che in pochissimi anni è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante nell’affollato panorama brunellista, visto che Riccardo acquistò un podere vicino al Passo del Lume Spento solo nel 2002, in uno dei punti più alti (siamo a circa 600 metri) del Comune. Col senno di poi, visto l’inesorabile aumento delle temperature nelle ultime vendemmie, possedere vigne a quell’altezza è stata una delle chiavi di volta del successo delle Ragnaie.
L’altra, e torniamo al discorso iniziale, è stata la scelta di produrre fin da subito o quasi (dalla 2007) due cru di Brunello oltre all’annata. Cru molto diversi: il primo, Vecchie Vigne (V.V. in etichetta), nasce da un impianto del 1968 presso la proprietà, sede anche di un bell’agriturismo, ed è appunto un singolare esempio di Brunello “d’altura”. Il secondo, Fornace, arriva da vigne coltivate più in basso (a 400 metri) e una zona un po’ più calda, nei pressi di Castelnuovo dell’Abate.
Siamo tornati a visitare Le Ragnaie, e come sempre abbiamo trovato ad accoglierci Agustin Sabatè braccio destro e sinistro di Riccardo. Niente assaggi dalla botte, ma in compenso Agustin ci ha proposto un interessante giochino, al quale ci siamo prestati volentieri, confrontando alcuni vini aperti da due giorni e lasciati a temperatura ambiente con le stesse etichette appena stappate (esclusi i cru, che invece erano aperti da tre giorni ma stazionavano nella cantina frigo).
Troncone Toscana Rosso Igt 2015. Premessa: è un vino dalla storia piuttosto singolare. Fino al 2013 era etichettato come Chianti Colli Senesi, perché proveniente da vigne al di sopra dei 600 metri e quindi escluso dal disciplinare del Brunello e del Rosso di Montalcino. L’edizione 2014 venne esclusa dalla competente (?) commissione dalla Docg, ennesima puntata del campionario di “stranezze” italiche sul conferimento delle fascette rosa e verdi (ormai c’è materiale a sufficienza per scrivere un libro…). L’azienda decise quindi di farlo uscire come Igt con un nome “di fantasia”. Nel frattempo il disciplinare ha cambiato le regole sulle quote degli impianti, ma Campinoti ha deciso che il vino continuerà la sua storia in questa nuova veste.
La bottiglia aperta da due giorni ha un naso tipicamente floreale (vien quasi da scrivere “chiantigiano”) e anche balsamico, una beva scorrevole e sapida, un bel finale fresco e succoso. Quella appena stappata ha note più scure, spezie orientali, terra, cenere, un tannino dolce ma presente e molto frutto: sembra più in linea con il carattere caldo e generoso dell’annata.
Rosso di Montalcino 2015. Le uve provengono dagli impianti di Castelnuovo dell’Abate. Da diversi anni segue un protocollo diverso da molti pari categoria: resta in botte per 24 mesi ed esce in commercio circa tre anni dopo la vendemmia. Il flacone già aperto regala un olfatto minerale, segnato dalla cenere spenta e dalla terra del sottobosco, ha grande struttura (per una volta non sembra improprio chiamarlo “piccolo Brunello”) ed è molto persistente. La bottiglia nuova ha sentori prevalentemente speziati e di ciliegia e un assetto molto potente al palato, dalla carrozzeria extra-large. Mi lascia l’impressione di un vino un po’ fuori scala rispetto allo stile solitamente elegante delle Ragnaie.
Brunello di Montalcino 2013. Bella speziatura, nota floreale, china, agile, dal tannino setoso e gran finale agrumato: la bottiglia aperta da due giorni è un vecchio amico con cui dialoghi amabilmente. Grande complessità, tannini morbidi, il sale in chiusura è infinito, fa salivare, gongolare e dissetare. Al confronto il campione appena stappato è meno godurioso: ha un naso abbastanza esplicito, con una traccia casearia, poi incenso e liquirizia. Bocca cremosa, struttura notevole, sembra ben integrato, arioso, leggermente asciugante nella persistenza tipicamente agrumata; ma è meno beverino di quello già aperto. Comunque due campioni di tipicità.
Rosso di Montalcino Petroso 2014. Riccardo ha deciso di non produrre Brunello nel 2014, annata fredda e piovosa, come universalmente noto. Per cui nel 2017 sono uscite tre diverse versioni del Rosso, il Vecchie Vigne, l’annata e questo Petroso, da uve raccolte in località Scarnacuoia (appena fuori città, in zona ovest), che di solito vanno a comporre il Brunello “annata”. Profumi lievemente fruttati e minerali, grande beva e acidità, assetto da Pinot Nero, qui si torna allo stile tipico, fresco, sapido e amarognolo in chiusura.
Per finire, i due cru, aperti da tre giorni ma conservati in cantina-frigo. Brunello di Montalcino Vecchie Vigne (V.V.) 2013. Balsamico e minerale all’olfatto, con cuoio, corteccia, ciliegia matura ed erbe aromatiche; molto equilibrato, tannino succoso, al palato coniuga ricchezza, eleganza e freschezza, chiude su bacche nere del bosco, frutta secca e bergamotto. Come sempre dà l’impressione di non essere ancora pronto ma di avere un gran futuro davanti a sé.
Brunello di Montalcino Fornace 2013. Naso più esplicito e dolce, tostatura, vaniglia, ginepro, sangue, macchia mediterranea. In bocca più rotondo e denso del V.V., frutto esuberante e carnoso, beva travolgente e di gran progressione, davvero buonissimo, con lieve scodata amarognola che dà ritmo in persistenza. Per l’ennesima volta dimostra di essere più pronto e “disponibile” rispetto al gemello, e conferma la nostra predilezione: quasi sempre, all’anteprima di febbraio, lo preferiamo all’altro ed è puntualmente uno dei migliori nel nostro “personalissimo taccuino”.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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