Proprio di questi tempi in una estate altrettanto torrida di dieci anni fa, conobbi folgorato sulla via di Damasco la bontà dei vini di Luigi Maffini.
Ero ancora un “pulcino” del mondo enologico (non che adesso mi senta un gallo cedrone), ma, fidatevi, all’epoca la mia conoscenza dei vini a base di uve Fiano ricadeva per la quasi totalità soltanto sui classici prodotti irpini più blasonati.
Rimasi pertanto piuttosto perplesso nell’apprendere che questo vitigno, nella storia letteralmente salvato dall’estinzione grazie a Mastroberardino, era coltivato anche in altre zone campane, ed in particolare nel Cilento
Due territori, due microclimi e, come Natura insegna, due vini completamente differenti. A tutto ciò va aggiunta la grande variabile umana; come recita il motto di casa Maffini: tre sono le cose importanti da tenere in considerazione per raggiungere le vette della qualità, il terreno, l’uomo e il vitigno.
La curiosità è rimasta tale, fino a venerdì scorso, quando trovandomi in zona ho provato a contattare direttamente la cantina per conoscere questo personaggio autoctono DOC come il sottoscritto.
A dirla tutta qualche timore reverenziale c’era, sia per la sua importanza, sia per delle voci in merito al presunto carattere non facile. Vera la prima parte, assolutamente falsa la seconda. Luigi è una persona schietta e fiera di ciò che ha costruito passo dopo passo, che ha deciso di vivere accanto alle proprie vigne, cosa piuttosto inconsueta in Italia.
“Casa e putea”, ovvero casa e bottega. Ed è proprio così, calcolando che la casa è una bellissima villa posta in cima al loro CRU più prestigioso, quello del Pietraincatenata da dove si domina con lo sguardo l’intera valle sottostante.
Dalla macchia e dagli alberi cresciuti in totale abbandono ora ci sono ettari ed ettari di vigneti curatissimi e soprattutto amati! Lo si capisce dallo stato di salute delle piante e dagli occhi lucidi di Maffini quando ripercorre la storia della sua attività, cominciata ben 40 anni or sono nelle vigne di famiglia.
Il padre, di origine emiliana, innamorato della zona di Castellabate, coltivava la vite alla vecchia maniera. Promiscuità varietali al cui interno, dopo numerose ricerche, venne individuato un ceppo antico di Fiano proveniente ancora dall’Istituto Agrario di Avellino e su cui si sta effettuando una particolare selezione clonale, profondamente diverso dagli altri provenienti da Rauscedo.
La vera svolta avvenne nel 1994 grazie all’incontro con un altro Luigi, il prof. Moio, che suggerisce di eliminare Trebbiano e Sangiovese, per concentrarsi piuttosto su Aglianico e Fiano, a “km zero”.
Grandi sacrifici per partire con la prima vendemmia in bottiglia del Kratos, datata 1996. All’epoca non si ragionava ancora in purezza, preferendo utilizzare un 15/20% di altre uve.
Altro passaggio delicato è stato l’acquisto dei terreni a Giungano, con la costruzione ex novo di una cantina moderna su più livelli, progettata con le modifiche apportate dallo stesso Maffini, ragionando su multipli liquidi di mosto. Direte voi una cosa stranissima…mica tanto!
Le vinificazioni infatti avvengono per parcelle ben definite che producono normalmente un tot quantitativo di mosto. I tini di stoccaggio da 65 hl sono stati creati appositamente in base a tale numero e quelli di affinamento corrispondono a multipli di esso (130 e 260 hl), per consentire i minori travasi possibili in fase di assemblaggio. Un genio assoluto.
A corredo di quanto detto si aggiunge la stanza delle botti (troppo riduttivo chiamarla “bottaia”), dove poter degustare in completo agio i top di gamma, nel silenzio più assoluto, al chiarore di una fioca luce led.
Luigi e la moglie Raffaella mi accolgono come si conviene a chi ama la propria terra natia e la rispetta; il mio compito non è fare del terrorismo nozionistico, quanto piuttosto semplicemente ascoltare. Storie, episodi belli e brutti, ostacoli e gioie, tutto quanto serva a capire che la vita dell’imprenditore agricolo è fatta di lacrime e sangue, ma anche di soddisfazioni impagabili.
Saliamo sul pick-up per sentieri impervi, immergendoci nella bellezza di vigneti pressoché perfetti. Osservo da un terreno ricco di sassi in stile Rodano la crescita delle baby piantine di Aglianico; apprezzo la diversità degli innesti più antichi di Fiano rispetto a quelli moderni, con punte di vigoria nettamente superiori per i primi.
Giunti quasi alla fine di questo tortuoso sali scendi, ecco apparire tra le macchie di ginestra lo spettacolo della “Vigna degli sposi”, posta a forma quasi di anfiteatro, che cattura la mia iride restandone indelebilmente impressa.
Il tempo scorre, io scrivo tutto, devo essere rapido o Luigi che è un fiume in piena passa subito all’argomento successivo. Dobbiamo accelerare, incombe ormai il tramonto (e una festa di matrimonio) e ci caracolliamo all’assaggio finale dei vini.
Si inizia con il KRATOS 2018, Fiano dalla grande possenza agrumata-floreale. Il ragazzo è giovane, ma si impegna ed ha carattere, verrà fuori alla distanza come tutti i cavalli di razza che si rispettino. Non conosce legno, ma soltanto una breve sosta di 2 mesi sur lie con relativi rimontaggi. Assaggiata anche la versione vintage 2013 si notano le sapienti mani francesizzanti dell’enologo, con chiari richiami di Borgogna, sentori burrosi, frutta tropicale e scorza di cedro, corredata da bocca orizzontale, piena e robusta.
Passiamo al single wineyard di fiano il PIETRAINCATENATA 2017, con fermentazione mista parte in acciaio e parte in barrique nuove. Assemblato in inox, viene aggiunto un 30% di mosto fermentato in precedenza sempre in acciaio per ampliare il corredo aromatico. Così nasce nel 2002 il più verticale dei vini di Maffini. Taglio decisamente minerale, restringe il campo degli abbinamenti rispetto al precedente, esaltando però piatti notevolmente più complessi sia di terra che di mare, soprattutto salsati. E’ vivo, freschissimo, iodato, su toni di lime e pompelmo, ginestra e acacia, macchia e fiori di sambuco. Sorso secco che crea tensione gustativa. Vibrante.
Intervalliamo la degustazione con il rosato DENAZZANO 2018, Aglianico 100%. Ben 7,2 g/l di acidità, di cui quasi nessuno parla. Un rosato che parla di rosso, con naso chiuso, che si esprime pian piano su fiori di ginestra, viola mammola e fragoline di bosco. La bocca lascia mozzafiato per la persistenza. Nessuna fase astringente a dispetto di un colore più che cerasuolo, nessuna fase melliflua da stanchezza papillare. Equilibrio unico, perenne, da rivedere in una verticale a distanza di oltre un lustro.
Andiamo verso la fase finale con i rossi, il primo dei quali è il KLEOS 2017, uve Aglianico provenienti da vigne di mare e di collina. Legno delicato di secondo e terzo passaggio per quasi dieci mesi e null’altro. La piacevolezza di beva impersonificata nel bicchiere. Peposo e con tannini già pronti, complice anche una annata calorosa, anche se non sono mancate piogge in questo lembo di terra.
Del CENITO 2015 si resta abbagliati per le trasparenze rubine vivide, insolite per un Aglianico in purezza. Frutta rossa matura, spezie morbide, toni caldi e delicati allo stesso tempo, di essenze alla lavanda e bergamotto. Una carezza in un pugno.
Chiudiamo la nostra splendida visita non senza un brevissimo video dove si nota tutta l’abilità, la passione e l’amore che Luigi ripone verso le sue vigne. Ascoltate bene la risposta perentoria alla mia domanda e capirete molto più di lui di mille altre parole scritte.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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