Ero stato da lui, come tutti credo, in pellegrinaggio, e poi folgorato dalla scoperta, dal contesto e dalla profusione di bellezza e d’arte in sala (altrimenti poco più di un sottoscala e stop) a Bonvesin della Riva. Quando, dopo l’avventura infelice dei prodotti a marchio (un genio creativo non è per forza un gran ‘commerciale’ e men che mai un gran commercialista) chiuse Milano (intanto dalle sue squadre e dalle sue intuizioni erano usciti non solo i piatti, ma anche l’80 per cento dei giovani cuochi che avrebbero fatto la storia tra poco) e si trasferì ad Erbusco, in condizioni diametralmente diverse, ma gestite almeno in apparenza e all’epoca con souplesse e arguzia, ho avuto il privilegio della prima intervista in assoluto, per il mio giornale di allora, a un anno esatto dallo sbarco in Franciacorta.
La facemmo nello studiolo dove teneva parte delle cose preziose ‘esportate’ da Milano. Lì ha risposto per un’ora alle mie domande. Poi mi ha detto: ‘Senta (ci si dava del lei, professionalmente: ma poi in quello stesso pomeriggio si è passati al tu…) stanno arrivando tre suoi colleghi, ma di magazine, non quotidiano. Le spiace se a pranzo (perché lei si ferma, vero?) vi metto allo stesso tavolo?’. Risposta automatica e doverosa: ovviamente no! Trattavasi dello stato maggiore del Gambero Ristoranti di allora, Arrigoni, Bonilli, Mantovano in rigoroso ordine alfabetico. Ci guardò, una volta a tavola, con l’occhio tra l’ironia e la lieve, tranciante malignità che era sua (vivida come la sua intelligenza) e chiese: posso fare io, o volete scegliere? Risposta scontata… E allora… dopo un po’ di minuti arriva un piatto tondo, disegnato come una ruota di carro. I raggi, riso diversamente condito e colorato: tra loro, crostacei sgusciati, frutti di mare appena scottati, piccolissimi calamari… E l’annuncio, ovviamente ironico: ‘A dei palati come voi, cosa potevo preparare? Quello che le mogli lasciano ai mariti quando vanno in vacanza: insalata di riso…’. Seguirono poi ovviamente tutti i classici. Ma la rasoiata era data…
Ecco. Marchesi potrei – potremmo – raccontarlo in milioni di modi, tra scienza, enfasi, cronaca (non sempre facile) e storia. Io mi fermo qui. Penso basti… e penso basti citare Guccini, quello della ‘Canzone per un’amica’:
‘Voglio però ricordarti com’eri, senza che il pianto ravvivi; e voglio pensare che ancora mi ascolti, e come allora sorridi…’.