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LE SFIDE DEGLI ENOLOGI ITALIANI RIUNITI IN SARDEGNA PER IL 77esimo CONGRESSO DI ASSOENOLOGI

C’è una potenza onirica tutta italiana, percepita all’estero, che si ricerca anche quando si stappa una bottiglia. Avere questa consapevolezza significa prendere atto che per fare vino oggi occorrono competenze trasversali, ricerca costante della sostenibilità e valorizzazione della biodiversità, conoscenza dei mercati (ora maggiormente curiosi davanti a territorialità e vitigni autoctoni) accanto all’ammissione che i mutamenti degli stili di vita fanno preferire bianchi e sparkling a rossi.

Gli enologi riuniti a Cagliari per il 77esimo congresso Assoenologi, il 30 e 31 maggio 2024, intascano queste e altre indicazioni. Tra gli oltre 4 mila tecnici vitivinicoli in associazione (di cui oltre 500 donne, un dato in crescita rispetto al passato), 515 sono gli iscritti accorsi in Sardegna per il confronto sulle sfide future in un frangente di incertezza internazionale. Hanno assistito a interventi di alto livello sotto la regia attenta del presidente Riccardo Cotarella, salito sul palco della bella galleria del Bastione Saint Remy forte della consapevolezza che l’associazione goda di massima stima e riconosciuta professionalità.

Oggi è chiaro a tutti che la categoria degli enologi ha dato il via a una rivoluzione copernicana del vino italiano”, afferma. Ci tiene a dire che non si vive di rendita e il nuovo mantra è conoscere i mercati, “perché senza non abbiamo futuro”. E capire cosa vuole il consumatore, a volte spigoloso e non esperto, diventando imprenditori in possesso di una cultura profonda e non solo di tipo scientifico. “Oggi i vini buoni si fanno ovunque – spiega –. Quello che non hanno gli altri è la nostra storia, la nostra cultura, la plusvalenza nell’arte”. Sulla diatriba consumo-produzione ricorda che i consumi, da anni, viaggiano tra i 29 e i 31 litri pro capite ma nel mondo si produce troppo vino rispetto al passato. Sarebbe meglio diminuire la produzione e spingere la qualità ulteriormente verso l’alto.

Di consumo si parla negli interventi successivi, in particolare nei mercati tedesco, americano, anglosassone e cinese (il giorno dopo). Antonio Galloni, fondatore di Vinous, con lettori per metà negli Usa e metà dal resto del pianeta, ha richiamato le aziende all’adattamento al mercato senza scivolare nella sua schiavitù. Non crede al pessimismo che vede in giro ma guarda ai cambiamenti del consumatore, mosso da curiosità (meglio assaggiare sei vini diversi che comprare sei bottiglie dello stesso) e che, privo di cantina domestica, acquista solo nel momento in cui vuole bere. Punta su consumatori giovani e interessati e sulle donne, con un approccio al vino diverso dal passato. Il vino riflette l’attualità gastronomica di piatti meno pesanti: la domanda è per vini più freschi e forse più sottili. Agli enologi il compito di dare maggiore enfasi al territorio e ai vitigni autoctoni che esprimono l’identità del luogo. L’Italia ha il vantaggio del made in Italy. Il mondo vuole in bottiglia un pezzo del sogno italiano fatto di moda, design, cinema, arte. I produttori devono quindi avere più fiducia ed essere maggiormente presenti nel mercato.

Mariano Murru

Anche nella seconda giornata si tornerà sull’intenzione forte di stipare tutti valori di italianità in una valigia da sfoggiare in giro. Lo fanno nel loro intervento anche i tre Master of Wine italiani, Gabriele Gorelli, Andrea Lonardi e Pietro Russo, ribadendo la necessità di competenze trasversali fra settori differenti secondo l’approccio contemporaneo. Molti i premi del congresso 2024, fra cui un sentito omaggio all’enologo artefice del rinascimento enologico italiano, Giacomo Tachis, a otto anni dalla scomparsa. La figlia Ilaria ricorda il legame con la Sardegna: era “patria dell’animo di mio padre”, che considerava il mare un ponte per tornare nell’isola e alle radici vegetali e umane. A sottolineare lo spessore di Tachis, che diede lustro alla figura dell’enologo, ci pensa, il presidente regionale dell’associazione e padrone di casa. Orgoglioso della vetrina cittadina del congresso, appositamente adornato di flora endemica e barbatelle di vite, dice in apertura che “La Sardegna è un’isola ma anche un piccolo continente con tanta diversità”. E il giorno seguente ricorderà l’altissima qualità del sughero isolano.

A margine dei lavori Murru riferirà a Vinodabere: “C’è una grande attenzione sui vini della Sardegna che rappresenta un piccolo continente con tante sfaccettature e tradizioni fortissime. Un qualcosa di unico che possiamo dare”. Sull’isola avverte che, al di là delle mode, c’è sempre grande rispetto per quanto la natura offre e grande repulsione per la chimica. Lo chiarisce: “Il clima ci crea problemi di siccità ma per contro permette di fare un terzo dei trattamenti fatti in altre regioni del nord. Questo non lo sa nessuno e quindi bisogna comunicarlo”.

Più in generale l’attenzione degli enologi alla sostenibilità è molto elevata e si continua a crescere: “Oltre trent’anni fa i chiarificanti in enologia erano usati in dosaggi altissimi. Oggi si è ridotto tantissimo, si utilizzano prodotti sempre più naturali, di origine vegetale e c’è tanta attenzione anche alla riduzione dei solfiti”. L’enologo precisa: “L’obiettivo è diventare tutti più rispettosi dell’ambiente e del consumatore. Non è facile raggiungerlo in breve tempo e bisogna lavorare uniti. L’Italia non può autoimporsi regole fortissime e vedersi arrivare prodotti da altre parti del mondo dove non esistono controlli mentre nel nostro Paese sono numerose le verifiche dei vari organismi”.

Tra i diversi riconoscimenti Assoenologi assegna a Francesca Violardo il premio di laurea Marco Accordini, in memoria del giovane enologo scomparso due anni fa. Quelli per la comunicazione Italia e Internazionale vanno rispettivamente a Luciano Pignataro e al tedesco Jens Priewe. Invece il riconoscimento del personaggio dell’anno viene conferito a Brunello Cucinelli, celebre imprenditore umanista e ora produttore di vino. Nell’intervista con la giornalista Anna Scafuri lo stilista sostiene il coraggio che porta a credere nella qualità e, in quel caso, nell’innalzamento dei prezzi. L’intelligenza artificiale spaventa ma sarà di supporto anche nella vitivinicoltura, sempre che non si perda di vista la centralità del lavoro. Snocciola la sua declinazione di sostenibilità: climatica, culturale, spirituale, tecnologica e naturalmente economica, possibile solo se il lavoro è remunerativo. Si chiede chi andrà a zappare le nostre vigne e i nostri oliveti se non ci saranno diverse e più generose condizioni lavorative. Trasmette che dare più stima alle persone favorisce l’assunzione di responsabilità e stimola la creatività. D’altronde la creatività è uno di valori vanto del Belpaese a cui il resto del mondo s’inchina.

In chiusura del primo giorno arriva Francesco Lollobrigida, titolare del Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste. Il ministro non solo riporta alla centralità del vino nella ristorazione ma ne eleva l’abito identitario: cita Enotria quale centro della cultura del vino, a sua volta emblema dello stile di vita che comprende anche arte, cultura e bellezza. Difende Dop e Igp come modello contro la standardizzazione e auspica un’Europa che rimetta al centro l’agricoltura, senza la quale non c’è sicurezza alimentare.

Nella seconda e ultima giornata si torna a parlare di consumi (“Gli enologi fanno vino e devono finalizzare al consumo”, ribadisce Cotarella alla platea) ma si lascia spazio ad alcune degustazioni guidate.

Non è invece possibile assaggiare i vini della Cantina Cremisan, sorta con i Salesiani nel 1885 tra Israele e Palestina, a pochi chilometri da Betlemme. C’è un conflitto in corso e le casse non sono mai partite ma la mancata degustazione nulla ha tolto alla forza di questa storia di viticoltura eroica e di integrazione tra popoli narrata dal suo enologo Fadi Batarseh. “Io sono convinto che il vino unisce”, aveva professato nell’introduzione Cotarella, che aveva ricordato ai colleghi anche la sottoscrizione a favore del progetto di una cantina per la Tanzania. Nei primi dieci minuti dall’apertura della raccolta dei fondi erano stati offerti 8 mila euro ma il presidente di Assoenologi non ha svelato il nome del generoso donatore.

Nella tavola rotonda “Il mercato del vino italiano tra Horeca, GDO e Comunicazione” si stigmatizza una comunicazione che, pur abbondante sul piano quantitativo, soffre su quello qualitativo. Lo fa per esempio Daniele Colombo, Category manager di Esselunga, che si sofferma sull’orientamento al biologico e alla sostenibilità da parte dei giovani: “Abbiamo un consumatore più consapevole che oggi la grande distribuzione deve saper accompagnare”. Si entra, inoltre, nel discorso sala e ristorazione. “Il rapporto con il cliente deve essere diverso, noi dobbiamo ascoltare”, sottolinea Valentina Bertini, Wine manager del Gruppo Langosteria, e aggiunge che “la sommellerie ha sbagliato modo di porsi per tanti anni”. Va perciò rivista la modalità di vendere vino all’interno del ristorante.

Il consumo è cambiato. “Chi deve guidare beve al massimo due bicchieri”, precisa lo chef sardo Roberto Serra, patron della trattoria Armidda di Abbasanta (Oristano). Anni fa ha ripreso l’insegna del padre e ha scelto una cucina del luogo. “Mi sono appassionato e ho una carta vini che mi fa piacere aggiornare e tenere sempre in movimento”, riferisce. Sempre oculato nella valorizzazione territoriale propone anche referenze fuori regione. “In ristorante oggi il cliente viene non solo per mangiare ma pure per bere un bel calice anche fuori dal territorio”.

La spinta del mercato richiede competenze e in questa fase esiste una necessità di esposizione mediatica assente in precedenza, rileva Lorenzo Landi, impegnato nell’intervento “L’enologo dagli anni ‘60 ad oggi: l’evoluzione di una professione”. Secondo il tecnico i vini identitari (o di terroir) possono essere una risposta alla globalizzazione ma le grandi sfide sono varie: sostenibilità e cambiamento climatico (da considerare nella possibile modifica dell’identità dei vini), diminuzione del consumo, salute e demonizzazione dell’alcol, vini naturali e vini dealcolati. Servono scienza e conoscenza, rigore o passione. Parte l’applauso quando sui vini naturali dichiara: “È passato il messaggio che rispettino la natura ma la maggior parte di essi distrugge il territorio”.

Al microfono di Vinodabere specifica: “Il vino naturale adesso è inteso come minimo intervento dell’uomo sia in vigna che in cantina nel rispetto dell’ambiente. Trovo che può essere un approccio, però quantitativo e non qualitativo nel senso che c’è effettivamente un minore intervento dell’uomo ma che va a detrimento del territorio. Cioè la maggior parte di questi vini, lasciati un po’ a se stessi, vanno incontro a dei processi generalmente ossidativi e l’ossidazione porta all’omologazione quindi alla distruzione del territorio. Perciò ci può essere un rispetto della natura in termini di non intervento ma c’è una distruzione delle caratteristiche del territorio perché i vini così fatti si assomigliano tutti. E siccome si può pensare che il rispetto della natura passi anche attraverso il rispetto del territorio, trovo una contraddizione in questo”.

I temi della siccità e della sensoristica in vigna vengono affrontati nel pomeriggio dedicato alla regione ospitante, all’interno della la tavola rotonda “La Sardegna, isola della biodiversità, terra madre della vite” con gli interventi dei ricercatori isolani. Tra loro Alberto Angioni, docente del dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente all’Università di Cagliari, puntualizza che l’isola fa da sempre attenzione ai fitofarmaci: “Prima guardavamo se i fitosanitari superavano i limiti di legge, oggi guardiamo se c’è il residuo e nella maggior parte dei casi non lo troviamo, grazie al rapporto tra la ricerca e cantine, oltre che alle condizioni che permettono alla Sardegna di fare pochissimi trattamenti.” E su salute e longevità legati all’alimentazione disserta Gianni Pes, ricercatore della Facoltà di Medicina dell’Università di Sassari.

Guardare alla scienza e collaborare a tutto tondo è un imperativo emerso anche negli interventi dei consorzi di tutela isolani a cui hanno partecipato Francesca Argiolas, presidente del Consorzio vini di Sardegna, Giovanni Pinna, alla guida del Consorzio volontario del Vermentino di Sardegna, Mario Peretto a capo del Consorzio Alghero Doc e Mario Mereu, al vertice del Consorzio volontario Cannonau di Sardegna.

Il vino è “una bellissima occasione per raccontare i nostri territori” anche secondo una star del jazz come Paolo Fresu , collegato per la chiusura. “Il vino ci rappresenta, dietro il vino c’è cultura da conoscere”, sottolinea il musicista che viene dal mondo contadino della piccola Berchidda, diventata celebre grazie al suo festival Time in jazz. Per lui cibo e vino non rappresentano solo una questione di piacere ma anche una riflessione più complessa su dove stiamo andando. Immagina un mondo senza guerre grazie al cibo, al vino e all’arte. E dedica al padre, che fu socio della cantina berchiddese, il titolo di socio onorario di Assoenologi.

Per Fresu è radicamento alla terra e ai valori. E “Il vino: un’isola di valori” era il titolo del congresso numero 77. “È un titolo che rispecchia il vino e la nostra isola ricchissima di valori che abbiamo voluto portare con la biodiversità che ci invidiano tutti, le nostre tradizioni, la nostra storia, le nostre bellezze paesaggistiche e la città di Cagliari”, riassume Mariano Murru a Vinodabere.

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Giornalista professionista, sommelier e nomade alla continua esplorazione dei mondi enogastronomici per raccontare le donne e gli uomini che mettono l’eccellenza sulle nostre tavole.

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