Dove non arriva il cuore arriva lo studio. Claudio Cipressi aveva in mente un altro futuro ben lontano dai campi e dalla viticoltura. Non bastava, tuttavia, l’esser pragmatici mettendo nero su bianco il proprio avvenire. La non costanza di Claudio per i libri universitari lo ha presto condotto verso altri porti sicuri, ad un piccolo emporio di paese grande come un monolocale moderno.
Quarant’anni fa le cambiali erano il metodo utilizzato per determinate operazioni imprenditoriali, specie nel profondo sud Italia. Il padre, mente caparbia di San Felice del Molise, che ben conosceva il valore della terra e del sacrificio, non fece sconti all’erede da poco maggiorenne, costringendolo a rimboccarsi le maniche, per combattere la concorrenza, in un comune di poche migliaia d’anime che già vedeva la presenza di tre negozi identici.
Cipressi puntò, dunque, sulla qualità delle materie prime, nel campo alimentare e nei suoi metodi produttivi, in particolare di salumi e cereali con annessa rivendita agricola per prodotti fitosanitari. Ecco il riavvicinarsi alle idee di famiglia, nella gestione dei quasi 6 ettari di terreni in proprietà. Poi lo spunto per un ulteriore passaggio, avuto da una vecchia Cooperativa sociale ormai in declino che produceva vino dagli anni ’70. La Tintilia Nera, qui da sempre protetta, è una bestia difficile da lavorare per via delle acinellature nei grappoli che rendono basse le rese negli appezzamenti di collina.
Molti espiantarono bellissime vecchie viti ad alberello, spostando la zona produttiva verso i fertili terreni della costa, con inevitabile calo della qualità e conseguente deprezzamento del prodotto finale. L’impoverimento ampelografico dell’area non scoraggiò il giovane imprenditore, aiutato dalla saggezza di un anziano del luogo nel ritrovare alcuni ceppi madre di Tintilia. Seguirono successive selezioni in campo e in cantina, per evitare la contaminazione di altre varietà ed ottenerne la purezza.
In loco esisteva infatti “u’ prodotto”, uva utilizzata per fornire maggiore densità ai colori del vino: si trattava, probabilmente, del Tintore campano. Anche la Tintilia ha condiviso lo stesso destino del vitigno storico di Tramonti: non era autorizzata in Regione e neppure conosciuta nei registri ufficiali. Per sopperire a tale lacuna consentendo la riproduzione delle barbatelle nei vivai, si ricorse allo stratagemma di dare un altro nome, paragonandola, erroneamente per anni, al Bovale spagnolo.
Finalmente arrivò la genetica ad assistere i produttori per uscire dall’impasse comunicativo e, nel 2001, la tanto agognata Denominazione d’Origine Controllata con un disciplinare che include un’estesa zona di altimetrie e suoli diversi. Questione dirimente ancora tutta sul campo, è proprio il caso di dire, da affrontare quanto prima per l’intero settore.
Nel 2012 la scelta di Cipressi di proseguire da solo, senza soci e con una nuova cantina creata nel rispetto degli standard architettonici minimalisti a basso impatto ambientale. Continuano tutt’oggi le parcellizzazioni dei 15 ettari di cui ben 13 riservati all’autoctono molisano a bacca scura.
La Tintilia sa resistere alla siccità anche estrema e alle malattie, regalando vini ricchi di personalità, freschezza e note speziate longeve. Si presta bene nella tipologia spumantizzata, magari Metodo Classico, oltreché nelle versioni in rosa e classica da rossi evoluti. Inizia da qui la degustazione di una varietà rimasta in silenzio per troppo tempo e che ha invece tanto da raccontare.
Non Bermi 2024 è il rosato insolito, nato dalla raccolta anticipata delle uve e dal diradamento di una parte del prodotto di punta aziendale. Succoso e soffuso, racconta di fiori dolci e piccoli frutti di bosco dalla grande piacevolezza.
Collequinto 2024 gode di maggior maturazione ed espressività, intriso di essenze di ribes, noce moscata e mirto. La polpa è il marchio di fabbrica tale da renderlo perfetto nell’abbinamento gastronomico.
Settevigne 2018 figlio di una delle poche annate fresche degli ultimi lustri, dimostra la sua verve erbacea con una punta ulteriore di acidità e speziatura al gusto di liquirizia e tamarindo. Gioventù… per nulla bruciata.
Macchiarossa 2019 è per coloro che amano struttura e spessore. L’arancia sanguinella rincorre una scia iodata marina, unita a caffè e pepe verde in grani. Memorabile.
’66 2019 dalle piante più anziane e da 36 mesi di sosta in legno. L’ottima annata non può esprimersi al meglio, compressa dalle nuance di boiserie, ma la corsa promette un lontano traguardo davanti a sé per le sensazioni balsamiche e tostate all’assaggio.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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