Centodue anni appena compiuti, una lunghissima storia alle spalle, un presente più che consolidato,
La Scolca – guidata con mano agile quanto ferma da Chiara Soldati- ci ha ormai abituato a muoversi in modo per qualche verso simile alle più avvedute e tecnologicamente dotate tra le nuove auto: puntuale navigatore, cioè, che anticipa e traccia la rotta verso il futuro, ma anche (ci si passi l’accostamento) provvida telecamera posteriore che offre una visione altrettanto nitida, preziosa e puntuale del backstage.
Tradotto in modalità di degustazione: il nuovo (o i nuovi, secondo occasioni e tempistiche) vino a proscenio della casa a far da primattore, ma sempre accompagnato da un “fratello” più grande d’età da confrontare. Quella visione posteriore, cioè, che aiuta a capire meglio dove si sta andando, e suffraga con prove tangibili (e palatabili) i presagi che il neonato in bottiglia sa evocare.
È andata così anche l’ultima volta, la prima dopo la presentazione del “vino del secolo”, quel 2019 che rappresentava e ricordava in etichetta, appunto, i cento anni di storia aziendale avviata nel 1919.
È toccato dunque alla 2020 del Gavi dei Gavi Etichetta Nera aprire il “secolo novo” della Scolca. E a fargli da chaperon per l’ingresso ufficiale nel mondo del vino nazionale d’élite Chiara ha scelto una bottiglia del 2013. Scelta ovviamente non fatta a caso.
Analogie vendemmiali legano i due millesimi, l’ultimo (atteso e poi valutato come di gran pregio, sorta di parziale risarcimento danni gestito da mamma natura e papà vigneto a tutti i guai capitati nel frattempo) e quello di sette anni avanti, anch’esso marcato da un mix bilanciato di potenza (poi tradotta in complessità) e finezza del pantone olfattivo. Che nel “ragazzo” debuttante sciorina in sequenza accordi floreali e note agrumate (verdi ma non aspre, anzi golose) che si ampliano e fondono al palato in nuance cedrate e di frutta bianca fresca e saporita. Mentre nel rodato compagno di assaggio evolvono in scorze d’agrume confit, ricordi “rocciosi” di quella che i francesi chiamano pittorescamente “pierre à fucil” e pennellate di albicocca e frutta secca a gratificare e allungare il gusto. Dipingendo un affresco futuribile in parte (perché poi ogni millesimo e ogni vino ha, si sa, storia a sé) presagibile, almeno quanto a qualità percepita e attitudine all’evoluzione, anche per il 2020: come in una sorta di joiceiano “Ritratto dell’artista da giovane” o, se preferite, in una versione da calice del wildiano “Ritratto di Dorian Gray”.