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Damilano, un “viaggio” nel Barolo

Verticale di Riserva 1752 e “orizzontale” dei cru alla scoperta del volto attuale di un’azienda storica

 

L’avo iniziatore di cognome faceva Borgogno; il suo primo continuatore fu anche il primo Damilano, Giacomo. Data di partenza, quando il Novecento non era ancora iniziato. Azienda storica dunque, dal corso lungo e – come sempre in questi casi – la spinta di grandi onde e qualche inevitabile reflusso. A raccontare dove (e quanto in alto) surfa oggi Damilano, due dei “capitani“ odierni, Paolo, nipote di Giacomo, e Guido. Con loro, un po’ nostromo e un po’ fidato pilota, Alessandro Bonelli, l’enologo.

da sx Alessandro Bonelli, Paolo e Guido Damilano

A lui il compito di illustrare il dettaglio tecnico dei vini presentati (un incrocio eloquente e intrigante tra la linea verticale del 1752, la Riserva fatta nel cuore di Cannubi e nata nel 2008, primo punto di svolta “contemporaneo” della casa, e quella orizzontale dei 2016 da cinque cru diversi: resto del Cannubi controllato o posseduto, ben 10 ettari in tutto, e con lui Raviole, Brunate, Cerequio e Liste).

A Rudi Travagli, direttore e wine man dell’Enoteca La Torre (teatro della degustazione romana e adeguatissima deuteragonista grazie ai piatti al solito rifinitissimi e intensi di Domenico Stile, abbinati a tavola ai 2016) il piacere di dirigerne e scandirne, tra sue e altrui impressioni, l’assaggio.

Via, dunque, alla francese, dal primo nato:

Il 1752 targato 2008. Che, fedele alla carta d’identità, risulta anche il più legato al suo tempo. Meno facile e immediato da leggere, tannini imponenti, strada lunga di sicuro, “barolità” garantita, quota di piacevolezza finale da scoprire nel tempo.

Subito intuibile invece nel bel 2009 ( un Cannubi ampio e accogliente allo stesso tempo, senza concessioni smodate ma neanche asperità scoraggianti per i meno consapevoli e coraggiosi) e nel quasi perfetto per equilibri 2010, serio ma per nulla imbronciato, fresco ma non asciutto: completo, insomma, e davvero più che notevole.

Storia a sé il 2011: più tenue e corredato di lieve, ma tangibile, souvenir dei fiori d’antan (la rosa ma non solo), beva serena ma non della stessa statura.

Che (saltato il 2012, non prodotto come il 2014 perché questa Riserva esce solo nelle annate più propizie) invece rivendica – stupendo anche un po’ e andando oltre la crosta più superficiale della sua fama – il 2013, in cui il frutto trionfa e in qualche modo – pur nella assoluta continuità di metodi e principi di fondo, tre settimane in media di fermentazione, un mese in tutto di macerazione con sistema tradizionale ma cum grano salis, anni 5 di legno grande e anni 2 di “buona condotta” in vetro per tutti i 1752 – affiora una angolazione di visione diversa, una ricerca di polpa, viva e vivace, ma sempre più sorridente.

Il 2015, con la sua stamina sicura e la sua setosità (non pesa, ma al palato tiene per tempi extralunghi) ribadisce pur con personalità tutta sua l’indirizzo.

E così il 2016, dal non comune ma gradevole e appena easy Raviole alla interpretazione classica di Brunate e Cerequio, centrati a dovere nelle rispettive tipologie, fino alla grinta di Liste e alla altra faccia (un bel remind di quanto apprezzato nelle Riserve, ma anche una giusta conferma del perché loro lo siano davvero) dell’amato Cannubi.

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