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Champagne – Paillard Assemblage 2012: il fascino della diversità

Un’annata profonda e speciale resa con fedeltà
accettando lo scostamento dallo “style maison”

L’ineluttabilità della diversità. Se fai le cose come vanno fatte. Se accordi – pur producendo vini che della tekné, la capacità di elaborazione dell’autore, la sua “cultura” operativa, fanno uno dei pilastri principali – il triangolo annata-territorio-prodotto finale senza forzarne, deformandolo, nessuno dei tre lati.

Dunque, il Millesimé 2012 “assemblage” targato Paillard è una deviazione – consapevolmente accompagnata a dama – dalla linea abituale della tipologia, dallo stile prevalente della casa.

Lo spiega da par suo Alice Paillard (da anni ormai, e più che mai in Italia, ambasciatrice deliziosa dell’“impresa” sciampagnista fondata quattro decenni decenni fa da suo papà Bruno) nella ante-anteprima del vino, ambientata in una serata da gita al faro e tende bianche sul Lido a Jesolo,

Terrazza Mare (fratello costiero del Marcandole), Veneto dunque, patria e feudo del socio distributore Luca Cuzziol, fidato compagno di tanti progetti e avventure.

 

Puntualizzando – lei, Alice – che nel millesimo che debutta si è lavorato appunto “con fedeltà sulla diversità”. In una annata dialettica, bifronte, dal debutto gelido, con i “meno dieci” ripetuti a raffica in inverno, poi l’intervallo di una primavera addolcita ma piovosa, quindi alcune frustate dalla grandine e infine lo stress test terminale di un’estate decisamente secca, che ha messo alla prova le riserve accumulate nei mesi precedenti. Esito: poca quantità; e uva di maturità alta, ma piccola e concentrata.

E non “cotta” o sfatta.
Alla apertura di gioco imposta dal ciclo naturale, i Paillard hanno risposto – come a un tavolo da bridge – calando i loro quadri e i loro cuori. E hanno raccolto fiori. Perché il vino, potente e ampio, solido e ancora in cammino, che ne è venuto fuori attacca satrapico nel calice con profumi mediorientali quasi (o da giugno a Sidi Bou Said) e stracolmi di gelsomino, per coprire poi completamente il palato, scorrere con imponenza da grande fiume (qui niente ruscello di montagna) per rimodularne in ultimo le sensazioni finali come fosse all’ingresso di un delta marino. Perché la vena che chiude la beva è imperiosamente, gastronomicamente sapida.
Un vino da bere – oggi di sicuro insieme a… – ma anche, volendo, da rispettare ancora per un po’, perché affusoli e modelli ulteriormente in bottiglia (sette anni di lieviti e uno di vetro fin qui il suo passato evolutivo) la sua struttura imperiosa e profonda. Cui è ispirata (si chiama non a caso “il solco”) l’etichetta d’artista creata stavolta per Paillard da Claude Vaillat.

Quanto alla composizione dell’Assemblage, che conta chez Paillard su una tavolozza di 35 cru di prestigio (parte in mano a vigneron fornitori fedeli da oltre 30 anni, ma per più di metà, cioè oltre 16 ettari tra Grand e Premier Cru, proprietà della maison), sulla delicatezza della prima spremitura (50 centilitri, i primi ottenuti, per ogni chilo di uva), su un apporto sempre importante di vini di riserva (fino al 50%) e su una vinificazione mista (al 20% in vecchie barrique e resto in acciaio), stavolta prevede un 60% di Pinot Noir e un 40% di Chardonnay ed è, al solito, dosato con mano leggera: 4,5 grammi litro.


Divertente e coinvolgente il gioco di confrontare a tavola il neonato con altre annate fuoriscala presentate in magnum: il 2009, a sua volta voce ampia e fuori dal coro; il seduttivo gioco del 1999, mousse satrapica e aggraziata insieme; il finale barocco, giocato tra spezia e confit, del 1989 (sboccatura 2008) servito argutamente su una selezione – giustamente pesata e commisurata – di formaggi del mitico altopiano del Cansiglio.

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