In occasione delle recenti Anteprime Toscane, grazie al gentile invito di Laura Ruggieri, cui va il mio ringraziamento, chi Vi scrive ha avuto il piacere e l’onore di essere invitato a una degustazione del Vino Nobile di Montepulciano Riserva di Carpineto. Trattasi di vino e azienda attualmente sulla cresta dell’onda, poiché le ultime annate sono state incluse per ben due volte nella Top 100 (ovvero la classifica dei migliori 100 vini al mondo) del prestigioso wine magazine americano Wine Spectator, con grande giovamento per tutta l’immagine del vino poliziano.
Carpineto, fondato dalle famiglie Sacchet e Zaccheo 50 anni fa, è gruppo di grandi dimensioni, con cinque tenute nelle aree di produzione vinicola toscane di riferimento: Chianti Classico – due aziende -, Montalcino, Maremma e appunto Montepulciano, ove ben 85 ettari di vigna circa. sono piantati a Sangiovese e altre varietà. L’orientamento è quello a una produzione di qualità senza compromessi, e in conseguenza dello sforzo profuso in questo caso non si tratta di una frase fatta: vedasi la densità di impianto che giunge fino a 8.500 ceppi/ettaro, l’accurata selezione di cloni e portainnesti in forza delle singole tipologie di terreno (sistematicamente studiate), un protocollo di lavoro orientato verso la sostenibilità delle pratiche di vigna e di cantina, con tanto di certificazioni di organismi indipendenti a corredo, ecc. La sede aziendale consta di un grande casale del ‘700, abbinato a un nuovo, moderno complesso con tanto di piccolo museo di antichi attrezzi agricoli, e tetto lamellare coperto di pannelli solari per le necessità energetiche interne. Da un ex-tino di fermentazione in acciaio, “riciclato” come torre di osservazione panoramica, è impressionante la vista dei vigneti, uniti senza soluzione di continuità in un corpus singolo di decine di ettari, il più grande a Montepulciano. Sin dall’inizio la decisione fu quella di produrre ESCLUSIVAMENTE Vino Nobile Riserva, cui successivamente è seguita la selezione da singolo vigneto Poggio Sant’Enrico, che molto mi aveva impressionato negli assaggi dell’Anteprima dello scorso anno. I vini escono con ritardo rispetto ad altre aziende, solo quando sono ritenuti del tutto pronti.
La verticale è stata preceduta dalla degustazione di altre etichette aziendali della linea Farnito: uno Chardonnay spumante brut metodo Charmat “lungo” (otto mesi sui lieviti) di buona cremosità e immediatezza fruttata; un altro Chardonnay vinificato in legno (annata 2017), adeguatamente avvolgente, con acidità ben integrata nel corpo del vino e rovere ancora non del tutto assorbito; un Cabernet Sauvignon 2013 di bella gioventù nel colore e nella fragranza dell’espressione varietale, di allungo rilevante, forse leggermente in difetto di articolazione aromatica al palato. A seguire, il Supertuscan Camponibbio 2010, taglio ormai toscano “classico” tra Sangiovese, Cabernet e Merlot, dal colore compatto, finemente terziarizzato al naso (confettura di prugna ma anche cuoio), bocca di tannino ambizioso e rinfrescante acidità.
Poi, dulcis in fundo, il Vino Nobile Riserva. L’ospitalità aziendale, rimarcata da una tentazione gastronomica di affettati e formaggi cui il recente pranzo presso il Consorzio del Vino Nobile non mi ha impedito di fare onore, ci ha consentito di assaggiare e riassaggiare i vari campioni, apprezzandone l’evoluzione nel bicchiere. Nel contesto di un’identità di terroir che si esprime in vini potenti e potenzialmente assai longevi, è stato interessante individuare quelle che mi sono apparse differenze e analogie di impostazione produttiva tra le annate più recenti e quelle più datate. L’analogia è la ricerca di una struttura importante: evidente, non tanto nel sottile e profondo 1989, bensì nel 1995: millesimo regolare, dalla maturazione pertanto prolungata e dalla raccolta ritardata, che ha consentito la piena maturazione fenolica e quindi un’estrazione ambiziosa. Idem dicasi per il materico 2007, sincero figlio di un’annata opulenta, e negli ultimi, blasonati 2011 e 2013, ove la maggiore età dei vigneti e la più avveduta esperienza in vigna e cantina si rispecchiano in una trama tannica più rifinita, di bella presa: l’acidità alleggerisce il corpo e slancia la beva, il frutto non è ancora del tutto disteso in vini evidentemente dal grande futuro. E’ proprio questa citata tessitura al palato che maggiormente marca la distanza tra i millesimi più evoluti e quelli tuttora in divenire: almeno fino a un certo punto, i primi sono figli di un’altra enologia, nella quale le rese per ettaro non erano quelle di oggi, si tendeva a raccogliere leggermente in anticipo per evitare complicazioni con l’imminente autunno, i cloni e i portainnesti erano determinati anche (non solo) da esigenze quantitative, ecc. Adesso, la scelta dell’epoca vendemmiale è calibrata sulla ricerca dell’equilibrio tra acidità, grado zuccherino e maturazione delle bucce, e in termini di estrazione del tannino le tecniche sono più soft, cosicché al sorso la pienezza prevale sull’aggressività.
In sintesi: il gioiello della corona di Carpineto esibisce un corpo imponente che è figlio del territorio dove nasce, e un’eleganza e una longevità da ascrivere all’intelligenza e alla sensibilità di chi detto territorio interpreta. Sempre più, per un complesso di motivi, le ultime annate garantiscono una godibilità più immediata, ma sarebbe davvero un peccato non attendere pazientemente un vino il cui futuro ha davvero molto da raccontare.
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