L’incontro presso il ristorante 53 Untitled a Roma con Matteo Garrone, enologo delle Cantine Garrone, quarta generazione, insieme al fratello Marco, ci permette di approfondire la viticoltura del territorio ossolano, di cui l’azienda è un punto di riferimento.
“Le Valli Ossolane, che rappresentano il territorio più a nord del Piemonte, nate dal ritiro di un grande ghiacciaio e dal costante lavoro di erosione dei fiumi, sono caratterizzate da un microclima dove la rigidità, dovuta alla presenza delle montagne alpine, è mitigata dai vicini laghi Maggiore, d’Orta e di Megozzo. Ciò ha permesso, su terreni difficili, di ricavare grazie ai terrazzamenti, e dar vita ad una viticoltura di altissimo livello che vede nella famiglia Garrone la “condottiera” di un gruppo di audaci viticoltori che con fatica e passione lavorano giorno dopo giorno queste terre impervie.”
Un territorio che nell’ultimo secolo ha visto estirpare le vigne, forse per la difficoltà di coltivarle. Si è passati da oltre 1.000 ettari vitati dell’inizio secolo a circa 40, e oggi quasi la metà vede la famiglia Garrone esserne il gestore (in modo diretto di circa 3 ettari, e in modo indiretto, attraverso 60 microviticoltori che gestiscono uno spazio vinicolo di circa 11 ettari).
Un patrimonio culturale e ambientale allo stesso tempo, con vigne di media età di circa 60 anni, con punte che superano, in alcuni casi, il centinaio. I terreni, di matrice rocciosa carbonatica si che trovano ad altezze che vanno dai 450 a 600 metri diventano il luogo dove il Nebbiolo o più precisamente il Prunet (clone antico del vitigno piemontese) in prevalenza, viene prevalentemente allevato a Topia, una “pergola” locale che vede in alcuni casi grandi monoliti di sasso essere utilizzati per dar vita all’impianto.
Nel 2009 è stata inoltre istituita la Doc Valli Ossolane, che regolamenta la produzione di tre tipologie: Bianco, Rosso, Nebbiolo. Le uve impiegate sono Nebbiolo, Croatina, Merlot e Chardonnay.
Un territorio costante meta del turismo svizzero che ha sempre apprezzato la qualità del vino prodotto, ma che oggi vuole far conoscere la sua qualità anche lontano da una zona che da sola assorbe quasi il 60% della produzione.
Per l’incontro con i vini Garrone, la chef del ristorante romano 53 Untitled, Cecilia Moro, ben coadiuvata in sala da Mariangela Castellana, ha deciso di fare omaggio alla cucina del territorio ossolano, reinterpretando o replicando le ricette di quel territorio.
Abbiamo iniziato con il Munaloss 2020 (80% Nebbiolo, 20% Croatina) a cui è stato abbinato un vitello tonnato e fondo bruno.
Il vino più semplice dell’azienda, ma non per questo il meno interessante. Una settimana di macerazione sulle bucce poi solo acciaio, il “vino da salumi” lo definisce Matteo, ma visto il piatto associato con cui non è andato male forse si può osare di più. Note di frutta si accompagnano ad un profumo di talco. Sapido, fresco, profondo, termina su note di ciliegia accattivanti.
Passiamo al Cà d’Maté 2020 (80% Nebbiolo, 20% Croatina), l’evoluzione del Munaloss, 12 giorni di macerazione poi acciaio per tutto l’inverno, seguito da un anno di botte di rovere del Jura. Da vigneti più vecchi che mostra una buona bevibilità e pulizia del sorso, accompagnata da una nota di talco che sembra essere la cifra dei vini Garrone.
Lo chef Cecilia in onore al territorio dove vengono i vini ci propone Agnolotti del plin al tovagliolo ripieni di sugo all’amatriciana accompagnati da una crema di pecorino romano DOP. Un ottimo piatto che ,riportando le parole di Matteo, nulla ha da invidiare a quelli piemontesi e noi oltre a confermarlo aggiungiamo che anche l’abbinamento con il vino non era niente male.
Continuiamo il nostro percorso con il Prünent 2020, 100% Nebbiolo del nord Piemonte, qui la ricchezza si fonde con rotondità e freschezza, il tutto avvolto da un frutto maturo che termina in note speziate accattivanti ed esplosive.
L’abbinamento con il Dumpling di coda alla vaccinara su crema di pecorino, fondo bruno ed angostura, permette a questo vino di mettersi appieno in mostra.
Gran finale con il vino di punta dell’azienda appena 2.600 bottiglie, vigne vecchie e 2 settimane di fermentazione spontanea prima di finire in botte per 24 mesi. Parliamo del Prünent Diecibrente 2019 (100% Nebbiolo piemontese), prende il suo nome dalla Brenta un recipiente tipico da 50 litri e dal fatto che il primo anno ne vennero fatte appena 10, oggi si è arrivati a 40, ma il nome rimane.
Abbiamo cambiato passo anche se ne percepiamo ancora la giovinezza, si presenta con note di spezie dolci e frutta matura, il sorso ci evidenzia un tannino masticabile ma ancora molto giovane a cui si accompagna tanta ricchezza. Un vino che tra qualche anno ci farà sognare ma che oggi è ancora leggermente indietro.
L’abbinamento con l’uovo morbido 63°, funghi porcini, topinambur e spuma di formaggio bruno, seppur buono, non riesce a stare al passo del vino, che sa di essere di un altro spessore. Ma siamo soddisfatti lo stesso.
Ha fondato Vinodabere nel 2014. Laureato in Economia e Commercio specializzazione mercati finanziari, si è dedicato negli ultimi dieci anni anima e corpo al mondo del vino. Vanta diverse esperienze nell'ambito enologico quali la collaborazione con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso (edizioni 2017 e 2018), e la collaborazione con la guida Slow Wine (edizioni 2015 e 2016). Assaggiatore internazionale di caffè ha partecipato a diversi corsi di analisi sensoriale del miele. Aver collaborato nella pasticceria di famiglia per un lunghissimo periodo gli garantisce una notevole professionalità in questo ambito.
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