Ogni anno una sintesi di quel che è successo in campo, dal primo sussulto di vita vegetativa alla vendemmia; una sinossi desunta dei dati analitici (accuratissimi e serbati qui in appositi registri da generazioni) annotati via via. Tutto scritto rigorosamente a mano, e a stilografica: “Una tradizione di famiglia – scherza l’autore con fine autoironia – che finirà con me, perché mio figlio Gabriele è mancino, e quando cerca di scrivere con la stilo, che è pensata per destrimani, obbrobria di macchie il foglio”. Sarà biro allora, o forse note dettate a una macchina “intelligente” (si fa per dire… e immagino già i commenti del protagonista) che riprodurrà direttamente in stampa con la scrittura del papà le osservazioni del figlio. Intanto, però, i dati plurisecolari (dal 1820 a oggi) tesaurizzzati nella sua casa-cantina-laboratorio-osservatorio su Gran Sasso e Maiella di Loreto da Francesco Paolo Valentini & famiglia (il già citato Gabriele e la moglie e compagna di lavoro Elèna), messi a disposizione della più importante rivista internazionale di settore, hanno costituito la base per un saggio (qui il link) co-firmato dal climatologo e professore di fisica dell’atmosfera Piero Di Carlo e dallo stesso “custode” della documentazione.
In esso l’anticipo progressivo e inequivocabile dei tempi di vendemmia in questa zona e a questo mesoclima diventa la chiave per ribadire e misurare la drammaticità della rivoluzione climatica in corso. Valentini, dal canto suo, ne evince – dal suo punto di vista di agricoltore prima, ma di wine maker artigiano poi – l’impatto finale come una crescente difficoltà, visto l’accorciarsi del ciclo vegetativo della vite, e dunque dell’uva, a centrare le giuste maturità fenoliche senza compromettere, attendendole, altri parametri nodali (acidità, aromi), con una diversità già palatabile tra i vini di oggi e quelli – per dire – di trent’anni fa. Differenza, qui in casa Valentini apprezzabile in concreto, visto che sono ancora degustabili (e commoventi) annate in bianco e in rosso dei Settanta e degli Ottanta.
Intanto, pur nella provata diversità, il lavoro va avanti, coccolato e cesellato come al solito. E nascono – secondo possibilità di natura, il principio cui da sempre casa Valentini s’ispira – i nuovi vini. Senza paura di rinunce.
Eccone pronti, dunque, due. Figlio del 2015 il Trebbiano, che esce quattro anni dopo (!) la vendemmia, e il Cerasuolo 2018 (anno in cui Valentini non imbottiglierà il rosso). Due millesimi sintetizzati nella polaroid scritta a inchiostro (nella foto i due autografi di Francesco Paolo) come segue. Un 2015 dall’estate balzana, a due velocità, che – servisse – sarebbe l’ennesima prova del clima stranito, seguita a un inverno a sua volta anomalo, con un dicembre caldissimo (punte di 20°) e poi forti grandinate in gennaio. La pioggia e la neve di marzo, ristoro per terra e giacimenti idrici, hanno lasciato il posto a un proseguo arduo: giugno e luglio piovosissimi (e festa per peronospora e altri parassiti), agosto e settembre caldi e siccitosi. Risultato: vendemmia ritardata per i bianchi, ma con parametri davvero curiosi: acidità e PH da Champagne (o da 2014 in altre zone, in certe case di Franciacorta ad esempio) a 6,60 e 3,03 rispettivamente. E dunque vini tesi ma stabili (il PH basso, ribadisce Valentini, ne è sigillo), complessi e sicuramente da “garde”. E l’assaggio ribadisce e comprova. Con un vino fine, slanciato, verticale, ma già di quasi miracoloso equilibrio e presa materica al palato. Sarà un successo, e durerà una vita…
Quanto al 2018, padre del Cerasuolo, ha avuto, racconta Francesco Paolo, un’estate davvero fredda e piovosa, condizionando la fase nodale di evoluzione delle uve. Meno complessa alla fine per le bianche, difficile per le rosse, minacciate oltre che dal resto anche dalla Drosophila Suzuki, insetto flagello della frutta rossa da tavola (susine, ciliegie) prima che uva, ma che sempre più spesso fa uova nell’uva rossa, dando vita a composti e deiezioni che attraggono a loro volta altri assalitori (e il risultato è quello che un esperto, bravissimo enologo/cantiniere e amministratore di Montalcino, Andrea Machetti, definisce icasticamente “il brett nel grappolo”). Il lavoro fatto nelle sue vigne – spiega Valentini – è stato essenzialmente preventivo, e ha funzionato: tanto da portare a casa uve sane al tempo giusto. Ma con contenuti e maturità fenolica non da grande rosso. Abbandonato, dunque, come progetto per l’annata, riservando al rosato la miglior materia disponibile. Risultato: 13,8°, 6,70 di acidità e 3,13 di PH… Attendere dunque che il Cerasuolo diffonda nel bicchiere in sequenza il suo profumo identitario e campagnard, tipico della sua storia, e poi tiri fuori un frutto decisamente maschio al naso ma sorprendentemente aereo (pur con finale di media caloricità) al palato, dove il vino volteggia sapido e pulente, a chiudere con un ritorno di ciliegia chiara. Dice l’autore che il rosato in genere, e il suo anche, non è fatto per durare, ma per essere bevuto. Perfettamente d’accordo sul secondo punto, quanto al primo non vorrei (o meglio: vorrei eccome…) che il ragazzino targato ’18 dia al papà in futuro qualche amena sorpresa…
P.S.: a ribadire lo spirito che aleggia qui, e che è fondamentale per fare – e capire – il miracolo dei vini che vi si producono, l’ultima notazione (sulla porta, agli arrivederci) di Francesco Paolo: “Ah,a proposito, ci siano dotati di un nuovo strumento tecnologico, una fascettatrice, io l’ho disegnata e mio figlio l’ha realizzata. Vuoi vederla all’opera?”. Certo che sì… Segue filmato. Guardatelo, per favore, e… sorridete…
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