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Un Barbaresco Cortese… ma non troppo – VINODABERE – Esperienze nel mondo del vino, della gastronomia e della ristorazione
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Aziende

Un Barbaresco Cortese… ma non troppo

” …in te si correggono le austere doti…., a te non sono misurati i calici come convensi ai pesanti e capitosi tuoi rivali, a te ogni ora è propizia ed ogni vivanda buona compagna….”

dall’”Ode al Barbaresco”, 1897, Domizio Cavazza

Apriamo il racconto di questa visita nella terra del Barbaresco con una citazione dell’enologo che viene considerato un po’ il “papà” di questo vino di Langa, sempre un po’ in ombra a causa dell’ingombrante rivale Barolo, ma che da decenni ormai non ha nulla da temere e può giocarsi il “derby” alla pari.
E questo vale in particolare per i migliori produttori. Tra cui non può mancare l’azienda di Giuseppe Cortese, che di vendemmia in vendemmia riesce a proporre Barbaresco di grande livello e a coniugare, con equilibrio e sobrietà, l’eleganza del Nebbiolo e la potenza di un cru di prima classe: il Rabajà. In genere più “maschio”, vigoroso e terragno dei confinanti Martinenga e Asili, è situato tra i 260 e i 315 metri di altezza, con vantaggiosa esposizione a sud-sudovest e terreni composti di marne bluastre di matrice calcarea misti a sabbia e limo.

 

Le Botti con il Barbaresco Rabajà

Ci accoglie Gabriele Occhetti, marito di Tiziana Cortese e genero del capostipite, e ci riassume un po’ il passato della cantina, una delle prime, a parte i nomi storici, a scegliere di imbottigliare ed etichettare i propri vini, dopo una lunga storia di conferitori. La scommessa fu vinta nel 1971, con il primo Barbaresco fatto con le uve della zona Rabajà. Pian piano furono acquisiti nuovi vigneti nello stesso cru e nella zona Trifolera, lì accanto, dove vennero piantati Dolcetto, Barbera e Chardonnay. Oggi l’azienda conta otto ettari di proprietà e una produzione di 50-60mila bottiglie annue (più di un terzo di Barbaresco).

Gabriele Occhetti, e i vini degustati


I VINI

Langhe Chardonnay Scapulin 2016 – Da quest’anno ha intrapreso una strada nuova: nato, come molti Chardonnay della zona, seguendo lo stile dei bianchi borgognoni (cioè con affinamento in legno piccolo), oggi Cortese propone un vino singolare, che nasce da una frazione elevata in anfora che poi viene assemblata alla massa restante. Molto salino e minerale, il sorso è già piuttosto rotondo. 1.200 bottiglie.

Dolcetto d’Alba 2016. Vigna nella Trifolera (esposizione a est e nord), affina in acciaio. Simpatico, vinoso, fruttatissimo (fragola, noce fresca). Tannini abbondanti e un po’ ruvidi, buona freschezza. Il classico vino da merenda, da pane e salame. Diecimila bottiglie circa.

Barbera d’Alba 2016. Vinificata e affinata in inox, poi sei mesi in vetro. Anche qui le uve provengono dalla Trifolera (esposizione ovest). Speziata e minerale, con sentori di erbe officinali; bella seconda parte di bocca, con la nota alcolica che viene bilanciata da freschezza e sapidità restituendo grande bevibilità,  ed un ritorno di note fruttate che resta a lungo. Cinquemila bottiglie circa.

Barbera d’Alba Morassina 2014. Questa invece è figlia di una singola vigna (la Morassina) all’interno della zona Trifolera; fa un anno e mezzo in barrique nuove per un terzo. Naso più timido (spezie e pepe) e bocca più rigida del vino precedente, mentre è simile il finale fruttato. Seimila bottiglie circa.

Barbera d’Alba Morassina 2015. Quasi esplosiva: olfatto preso in ostaggio dai frutti di bosco maturi, con accenni di nocciola e di vaniglia (anche se “sente” il legno meno della 2014). Molta polpa, frutto dolce, giovanissima, crescerà con un altro po’ di vetro.

Nebbiolo d’Alba 2015. Dalle vigne più giovani del Rabajà (10-12 anni), fa un anno in botte grande. Tabacco e fiori (rose e viole), molto aderente al varietale. Tannino molto giovane ma di estrema finezza, bella scia sapida e fruttata. Ottima struttura che non pregiudica l’eleganza: davvero buonissimo. Un piccolo-grande campione di Langa a un prezzo invitante. Seimila bottiglie circa.

Barbaresco Rabajà 2015 (anteprima). Tutti i Nebbiolo di Cortese svolgono fermentazioni spontanee in vasche di acciaio, poi vanno in cemento a svolgere la malolattica. Segue il passaggio in legno, solo grandi botti in rovere di Slavonia, non tostate ed usate in media attorno ai 10 anni, con punte di oltre 30, e capacità da 16 a 25 ettolitri. I tempi di macerazione variano di anno in anno ma sono in genere significativi. La versione “annata” di solito resta circa due anni in botte e uno in bottiglia. Questo 2015 è frutto di tutte le piante di età medio-alta del Rabajà (40 anni in media con punte di 60), in quanto non si farà la Riserva. Profuma di liquirizia, pepe, cioccolato. È polputo, ha un’acidità spiccata e un bellissimo frutto giustamente maturo. Le spezie avvertite al naso tornano in persistenza, con cenni mentolati e agrumati. Sembra l’inizio di una storia luminosa. 17.000 bottiglie circa.

Barbaresco Rabajà Riserva 2011. Prodotto solo nelle annate più classiche, ma dipende anche dalle circostanze: la 2015, per esempio, non sarà prodotta perché per la Riserva si usano solo tre botti, sempre quelle, e bisognava far posto alla 2016, più promettente. Si usano solo i grappoli della vigna più vecchia (60 anni circa), è vinificato con una permanenza di 40 mesi in botti ed un successivo affinamento in bottiglia di 3 anni (quando il disciplinare chiede un minimo di 50 mesi totali). Al naso sangue, ciliegie sotto spirito, terra bagnata, alloro. Bocca molto fresca nonostante l’annata, sorso solenne e profondo, tannini saporiti. Potente più che elegante, Rabajà più che Cortese. Potenziale di invecchiamento quasi infinito, un piccolo monumento. Circa 5-6mila bottiglie.


Barbaresco Rabajà Riserva 2013 (anteprima). Dritto e verticale, floreale, stilizzato ma molto promettente, acidità sempre in primo piano. Più in linea con lo stile della casa e forse, in prospettiva, superiore al pur buonissimo 2011.

Barbaresco Rabajà 1998

Barbaresco Rabajà 1998. Bell’olfatto con tabacco e pepe, balsamico, cuoio e frutta secca, perfino un pizzico di tostatura. Ancora vispi i tannini in bocca, molta acidità, ma il sorso è leggermente asciutto e manca un po’ di slancio nel finale.  

Bonus: pochi giorni dopo abbiamo avuto la possibilità di incontrare nuovamente Gabriele, stavolta a Roma, e abbiamo potuto assaggiare altre due annate di Barbaresco. Eccole.

Barbaresco Rabajà 2014 (ormai esaurito in cantina, va cercato in enoteca o al ristorante). Naso etereo, viola, lavanda, con fragole e menta che affiancano le “solite” spezie. In bocca è davvero “spaziale”, per usare un’iperbole, verticale, di beva trascinante e acidità esuberante in chiusura (arancia rossa), ancora non in pieno equilibrio ma molto promettente.

Barbaresco Rabajà 2003. Una bestia strana da un’annata torrida: profumi di goudron, grande struttura e dolcezza ma in miracoloso equilibrio grazie alla sua impalcatura acido-tannica. Ora è in beva ottimale, sapido e cremoso, di sicuro ancora molto vispo e tutt’altro che al capolinea.

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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