È stato un lungo percorso, pieno di episodi, esplorazioni, novità e avventure quello targato Luce, progetto (e prodotto) di punta della premiata e plurisecolare label dei Marchesi Frescobaldi. Un cammino iniziato in forma di joint venture (iniziata da una sorta di incontro tra capi famiglia, Vittorio Frescobaldi e Robert Mondavi, tycoon dell’omonimo brand, un’alleanza in parte dal sapore patriarcale ma per il resto, e un resto abbondante, giocata come un doppio completamento di presa sul mercato: per la storica casata toscana attraverso l’internazionalizzazione e lo sbarco vieppiù rutilante sulla portaerei del mercato Usa, e per il partner californiano, ma di origini italiane, il poter piantare e rivendicare una radice nobile e nobilitante in uno dei terroir più prestigiosi al mondo: Montalcino).
Ma le alleanze, si sa, sono un po’ come i taxi. O meglio, per fare un passo avanti, i “car sharing”. Si fa un pezzo del percorso insieme. Poi qualcuno decide di scendere. E l’altro passeggero continua la corsa.
Quando Mondavi (per motivi complessi legati alla struttura dell’azienda e dei suoi rapporti con il mercato dei capitali negli Stati Uniti) ha cambiato rotta, Frescobaldi ha fatto suo il refrain di un vecchio, straordinario hit d Bob Dylan: bringing it all back home, e si è riportata, appunto, tutto a casa.
E a 25 anni dal debutto, oggi Luce (con in suo poulain Lucente, il secondo vino della tenuta che rovescia nella sua composizione, rispetto al top wine, il rapporto tra Sangiovese ilcinese e Merlot a favore del secondo) “è – spiega Lamberto Frescobaldi, che è ormai da tempo al timone del vascello di famiglia – un indiscutibile successo. Con esiti anche in parte imprevisti”. Esempio? Per un vino nato con metà targa (e dunque destinazione presunta) americana, diventare un’icona di italianità del gusto su quello – esigentissimo – giapponese che oggi – spiega ancora Lamberto – è il suo primo approdo di mercato.
Il “25 anni” targato 2017 è stato, per l’occasione, vestito da un container e una bottiglia speciali e coloratissimi: sotto il simbolo solare e ormai famoso del vino (che ricorda anche il modo in cui trovò nome, buttato lì dalla moglie di Mondavi, Margareth, abbagliata e conquistata dalla solarità del mezzodì di Montalcino nella sua prima visita) e sopra la scritta-memorandum che ne solennizza il numero progressivo, è incisa una frase di Vittorio Frescobaldi: “Qui c’è la memoria della vigna e del lavoro, della terra e e del sole, dell’ascolto del tempo e del canato delle stagioni”. Una epigrafe sentita e suggestiva, che potrebbe volendo vestire e interpretare buona parte del pensiero e del cammino fatto dalla fetta migliore dell’enomondo italiano dai giorni e gli anni della sua rinascita.
All’assaggio, il Luce delle nozze d’argento, vinificato in cemento, poi passato in piccoli fusti per l’85% nuovi e assemblato nel 2019,dopo due ani circa di affinamento, si dimostra estremamente importante, e decisamente – quanto scontatamente – giovane. Già appagante, però, malgrado l’incisività toscanissima di tannini misurati, elegantissimi, ma ben presenti. Il frutto è denso e masticabile. La testura imponente ma scorrevole
Altra stoffa (e altra pasta) per il Lucente 2018, che gli fa da scudiero. Qui i piccoli frutti scuri festeggiano appena si mette il naso nel bicchiere.
Sorprende poi il palato – “merito delle argille fredde di Montalcino, e delle nostre vigne, che tengono il Merlot ben composto e con il sederino al fresco”, spiega sapidamente Lamberto Frescobaldi – per gustosa e saporita assenza delle morbidezze smodate, e di converso però anche delle erbaceità immature, cui questo vitigno “trasversale” ogni tanto sottopone da noi a chi lo sperimenta in assaggio. Merito, ancora una volta – oltre che del ragionato ruolo del “partner” Sangiovese – del territorio, che stampa deciso la sua marca sull’uva (qualsiasi uva, o quasi) se chi lo, e la, lavora sa come assecondarlo.
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