In un mondo in cui un subdolo e spesso cinico senso del marketing e uno strano complesso nazionale (legato probabilmente all’invecchiamento della popolazione) ci spinge sovente a vivere con la testa voltata all’indietro, e fa sì, ad esempio, che si chiami Antica Focacceria una piadineria qualsiasi, senza Dna né pedigree, aperta da chissà chi in centro da una settimana, è una gioia e un rivincita intellettuale degustare un vino che si chiama Tenuta Nuova, rivendicando fin dal battesimo la sua carica innovativa, e che nel frattempo però ha appena compiuto vent’anni. Tenuta Nuova è il ‘giovane’ fiore all’occhiello di Casanova di Neri, la proprietà della famiglia Neri a Montalcino il cui ben noto e preesistente gioiello è il Cerretalto. E aprendo le danze della degustazione “all vintages” con cui lui e suo figlio Giovanni (che lo affianca ormai totalmente nell’opera) hanno voluto festeggiare, ma insieme anche ‘esplorare’ con un gruppo selezionato di critici italiani e non il lavoro di un ventennio sul Tenuta Nuova, Giacomo Neri ha appunto ricordato – con commozione – quanto sia difficile convincere della bellezza e dell’inesplorato anche chi ci è più vicino, e ci stima e vuol bene di più.
<Quando ho portato, strafelice, la mia mamma qui a vedere la ‘cosa’ che avevo appena preso (ed era ancora ovviamente un insieme di forra, macchia, bosco e terra, tutto da fare e a cui dar forma), lei per primo impatto m’ha detto: figlio mio, ma che cavolo hai comprato? Sei impazzito? Con quello che già hai di bello a cominciare da Cerretalto… Poi anni dopo, tornata a casa da un giro qui, mi ha detto: sai che là c’è una luce, dei profumi , qualcosa di davvero speciale? Oggi sarebbe orgogliosa di vederci e vedervi tutti qua, ad assaggiare i venti anni di Tenuta>.
Morale? Ci vuole tempo per metabolizzare il cambiamento. Nuovo è una parola che spaventa qualcuno e respinge d’un colpo i retori del ‘era sempre meglio prima’. Qualche volta ci sta. In linea di massima è una sciocchezza. Pensiamo solo a salute, vita, medicina. Se oggi possiamo lagnarci fino a 80 e passa anni, in media, di quanto è duro il presente e com’era figo il passato, è grazie proprio a questo presente che snobbiamo, quando non calunniamo. Così, dopo la mamma, Neri ha accortamente (e pur con levità) ricordato le critiche ricevute dal suo vino all’inizio perché ‘moderno’. E ora divenuto a Montalcino – ha rivendicato – una nuova e apprezzata tradizione. Riconosciuta nel mondo con premi e strapunteggi a raffica. Ovviamente – aggiunge il sottoscritto – non tutto, sempre e subito è perfetto, quando si intraprende una nuova via. Ma questo è normale. Meno normale invece, e fa davvero il suo, e intriga e convince, è l’occasione di una full immersion in un ventennio di Brunello da single vineyard e nato con l’intento esplicito di segnare un proprio e nuovo stile.
In dettaglio, dunque, e nel bicchiere: si parlasse di pittura (un’analogia che nella mia percezione e nel motore profondo del mio gusto ha stretti legami, non saprei nemmeno dir perché, col vino) gli anni ‘90 di Tenuta sarebbero quelli del colore (e non in metafora ma in concreto, perché a una fittezza d’antociani e a un diverso e profondo timbro di rosso rispetto alle tinteggiature meno intense e vivide di molti dei Brunello più tradizionali venne data da subito un’esplicita e dichiarata attenzione); la prima parte degli anni Duemila quelli della forma (vini, spinti dalla vigna in crescita ma anche dal clima in sempre più netta evoluzione e dalle scelte operate, più michelangioleschi e plastici, dalla sostanza palese e orgogliosa); e gli ultimi, per me quelli dal 2008 in poi, gli anni della luce, della nitidezza evidente e scintillante, e della precisione sempre più raffinata, sostenuta dalla piena maturazione, in parallelo, e della pianta che fa l’uva e dell’esperienza (che qualche difficoltà e contraddizione aiuta e arricchisce) di chi la trasforma e ne fissa gli obiettivi. Andando alle annate: nel primo periodo (fuori gioco il ‘94, bottiglia unica superstite e non fortunata, e un ‘99 con qualche chiaroscuro da un calice all’altro) esemplari per contrasto la grazia nervosa e snella di un sorprendente 1996 e la rotonda opulenta bevibilità del godurioso 1997. Nel secondo spezzone, invece, orfano del 2002 saltato per scelta all’epoca, notizie complessivamente belle da tutte le annate, dal cioccolatoso e ricco 2001 e da un 2003 sopravvissuto pieno e sano alla caldaccia d’annata fino al 2007 di immediata e generosa soddisfazione; ma con in mezzo un derby stretto e intrigante tra un sorprendente, impressionante 2005, dal frutto prepotente e appena scuro, e un 2006 dalla seriosa, ferma classicità. L’ultimo periodo – la luce – è collettivamente bellissimo. Il migliore, e questo la dice chiara e lunga sul futuro dell’etichetta. A voler o dover scegliere, con il monumentale 2010 che si profila a lunga gittata e da attendere con serenità un po’ ancora, e poi scintille dall’eleganza raffinata del 2008, e altro duello a strettissima ed entusiasmante vicinanza tra il 2012 e il 2013. Sull’annata in genere a Montalcino e per il Brunello deciderà il tasting che i colleghi radunati a Roma stavano giusto iniziando, credo, mentre io scrivevo queste righe, e di cui leggerete l’esito prestissimo su Vinodabere.it ; ma intanto qui, per me, il ‘13 segna, pur di misura e dopo un tostissimo challenge, un gran bel goal. E allora… qui Tenuta Nuova, a voi studio…
Ps per la cronaca, e come se fossero le ultime notizie dagli spogliatoi: a cena, firmata in trasferta da Pinchiorri, Cerretalto 2012, 2006 e 1999, certo non scelti a caso, a confermare (il 2006, per me, stavolta uber alles) la assoluta classe del fratello maggiore di Tenuta. E infine un commovente Brunello etichetta bianca 1979, vegeto e ancora reattivo, e appena un po’ imbronciato e ispido, proprio come certi anziani dal carattere sui generis, a regalare il meritato punto della consolazione ai fan irrimediabili del tempo che fu…
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