Francesco Sedilesu, autore dei vini della sua cantina familiare Giuseppe Sedilesu e presidente dell’associazione di viticoltori del suo paese Mamojà (Mamoiada), fa parte del movimento dei vini naturali. Ci spiega in questa intervista rilasciata a Vinodabere, a titolo personale, le sue perplessità sul movimento stesso.
Vinodabere: A quali associazioni di vini naturali hai aderito finora e perché?
Francesco: In passato ho aderito a Vinnatur oggi aderisco a Vi.Te. Perché ho aderito? Perchè ho riconosciuto al movimento una importante funzione che è quella di tracciare una nuova strada rispetto al vino industrializzato, convenzionale o come lo vogliamo chiamare, comunque ridotto da tecniche di vinificazione molto invasive a semplice bevanda che non esprime la vitalità del vino così come io lo intendo, avendo fin da piccolo conosciuto il vino del mio paese fatto da mio nonno e poi mio padre, ottenuto da buona uva senza coadiuvanti e quindi completamente naturale, cioè con un fare e uno spirito molto simile a quello proposto teoricamente da questo movimento.
Vinodabere: I vini naturali per certi versi costituiscono anche un filone specifico di marketing. Non pensi che questo possa mettere a rischio gli obiettivi dichiarati dalle associazioni stesse di riferimento?
Francesco: Il problema commerciale è sempre quello che mette a rischio tutte le cosiddette “buone intenzioni”. Già nel vino industriale la necessità di produrre grosse quantità a basso prezzo, di fare un vino stabile che non dia problemi in bottiglia, di fare un vino dal gusto omologato sul consumatore medio, ha prodotto lo snaturamento del vino. Nel vino naturale lo slogan è di produrre un vino tra modernità e tradizione, un vino sano, genuino, non perfetto, ecco appunto non perfetto, questo è forse il punto di forza commerciale dei vini naturali. Confrontandosi a parità di prezzo con vini convenzionali comunque di “qualità”, perfetti, giocati magistralmente sul frutto o sul legno come distinguersi? Ecco il vino naturale ha eletto il difetto a carattere distintivo; puzze legate al brett e volatili alte vanno per la maggiore, di difetto si è fatta virtù. I mercati asiatici che non sono ancora maturi vanno pazzi per questi vini così diversi ma anche nei mercati più tradizionali i nuovi consumatori conquistati dal messaggio culturale del vino no global intendono questi vini difettati come la vera essenza del vino. E poi questi difetti hanno anche altri vantaggi.
Vinodabere: Quali altri vantaggi?
Francesco: Come detto l’industria del vino convenzionale ha tutta una serie di strumenti per stabilizzare un vino, stabilizzazione tartarica, chiarifica organica, filtrazioni spinte, solfiti in grande quantità. Il vino cosiddetto naturale ha in questi difetti l’asso nella manica dal punto di vista tecnico, perchè essendo sviluppata in maniera abnorme una parte della vita contenuta naturalmente in un vino, non lascia spazio ad altri sviluppi ed ecco quindi un vino che nel suo genere è perfettamente stabile e ripetibile. L’aspetto negativo e invece che questi difetti nascondono completamente il carattere territoriale di un vino e che il movimento difende blandamente. Il no global per sua natura dovrebbe invece valorizzare il territorio particolare, portatore di valenze naturali, sociali, culturali, uniche da preservare in special modo attraverso il vino. Nel movimento che è composto nelle varie associazioni, da produttori provenienti da diversi territori in ordine sparso, che ne fanno parte per scelta ideologica personale, la ricaduta maggiore è direttamente sull’azienda. Il vino naturale dovrebbe essere invece legato al territorio, sia dal punto di vista organizzativo, in quanto ogni territorio ha le sue specifiche di coltivazione e di trasformazione ma, soprattutto dal punto di vista del vino che non deve cercare scorciatoie commerciali ma deve affrontare a viso aperto, nel suo territorio, le denominazioni per ora sede del vino convenzionale. Per fare un esempio altisonante vorrei vedere, se non c’è già, un Barolo naturale a livello della qualità massima di questa denominazione, anzi se vogliamo con una connotazione territoriale ancora più marcata, più autentica, fuori dalla logica commerciale della barrique ma, anche da quella del brett e dello spunto acetico “tattico”. Il produttore di questo vino avrebbe l’autorità e il dovere di creare in quella denominazione una vera svolta culturale e non fittizia, che coinvolge non ideologicamente ma, territorialmente tanti produttori e che poeticamente potremo definire di amore al vino, al territorio e a se stessi come persone in quanto con piena dignità e liberi da bieche scelte commerciali. Solo il territorio può essere garante di un vero vino naturale. Un insieme di territori possono, collaborando, creare una svolta nel mondo del vino globale.
Vinodabere: Questa è l’esperienza nel vostro territorio?
Francesco:Si è chiaro che non parlo di un’idea, la vivo ogni giorno e ne vedo sempre più la bellezza. Facciamo vino in un territorio naturale più che bio: Mamoiada (n.d.r.: in Barbagia) un paese di 2500 abitanti, viticoltura a tratti arcaica e sistemi di trasformazione naturali e siamo venti cantine a oggi su trecento ettari di vigneto e i viticoltori, circa ottanta soci, riuniti in un’associazione culturale denominata Mamojà, che ha un suo marchio territoriale apposto in tutte le bottiglie e un disciplinare di produzione . Senza investimenti e con una struttura giuridica leggera, abbiamo realizzato una nostra denominazione grazie alla collaborazione fra tutti, che si può fregiare del titolo “Naturale”.
Vinodabere: È tutto abbastanza chiaro. Premesso che la mia esperienza di assaggio negli ultimi anni mi porta a dire che si è ridotto significativamente il numero di vini difettati prodotti dalle aziende aderenti a queste associazioni, tu non pensi che un vino difettato (non semplicemente imperfetto, l’imperfezione ci può essere) non dovrebbe essere messo in vendita?
Francesco: Non sono d’accordo che si siano ridotti i difetti, chiarisco anch’io che ci sono produttori naturali che fanno vini perfetti da sempre e sono bravissimi e bevo i loro vini e se capita usufruisco dei loro consigli. Ce ne sono però altri che fanno il vino e per inesperienza o per errore, capita a tutti anche a me, viene fuori il difetto e allora che fare? Non venderlo? La scelta è personale. In questo caso è giustificabile ma il produttore non deve nascondersi dietro false giustificazioni, deve essere onesto e diretto : questo è il mio vino in questa annata, ha difetti ma io lo bevo, se ti piace compralo è comunque naturale-. Non giustifico invece chi invece sotto la bandiera del vino naturale fa strumentalmente vini difettati ogni annata perchè così vuole il mercato. Oppure dovrei dire che non sanno fare il vino, non so cosa sia più offensivo. Io credo che un vino naturale lo si possa fare perfetto senza difetti, chiarisco “naturale” per me significa assolutamente da uve bio o più che bio e da fermentazioni alcolica e malolattica spontanee, con pochi solfiti oppure niente se si è bravi, questi sono i capisaldi il resto è saper fare con rispetto. Un vino perfetto è quello che nell’equilibrio dei suoi componenti chimici e biologici non coperti dal legno, esprime la vera anima del suo territorio. Quest’anima non è spesso misurabile ma è perfettamente riconoscibile dalla comunità in un dato territorio prima che dai cosiddetti addetti ai lavori. Da noi si dice subito all’assaggio questo è un vino di Mamoiada e quest’altro è un vino di Oliena, se è un vino di un territorio più lontano per macroaree, questo è dell’ Ogliastra l’altro del Mandrolisai. Se non è riconosciuto dalla comunità significa che non è un vino del territorio. Solo che il vino perfetto, ha un difetto.
Vinodabere: Quale sarebbe?
Francesco: Non è stabile e neppure facilmente ripetibile. Se non è dentro una cassaforma di legno e non ha l’aiuto di coadiuvanti, senza tecniche invasive o difetti omologanti, risulta pur riconoscibile, sempre diverso, a volte se pur buono, scontato, semplice. Ma se lo becchi nel momento giusto ecco lo stupore, meraviglioso spiazzante per complessità e bellezza, un assaggio così non sempre lo si può fare, ma vale per tutte le altre volte solo ordinarie. Niente di diverso dai problemi messi in conto per chi assaggia vini di grandi denominazioni pur di grande annata, però a questi vini gli si può perdonare, visto che sono assaggiati di solito da appassionati consapevoli o da chi ha pagato molti soldi e quindi l’emozione c’è di regola a prescindere. Il vino perfetto naturale e territoriale ha bisogno, se non ha grosse denominazioni alle spalle, di educare il proprio consumatore a capire che bere il vino è un’esperienza di vita di solito bellissima e gioiosa se hai occhi per guardare, a volte complessa, spiazzante, senza sicurezze, ti può anche deludere ma domani è un altro giorno… Questa credo sia un’opera meritevole e che può dare anche soddisfazioni sul mercato.
Vinodabere: Un’ultima domanda: pensi che la certificazione biologica e/o biodinamica possano aiutare a fare vini naturali che non abbiano difetti e che rappresentino il territorio?
Francesco: La certificazione come sappiamo è la garanzia di base per il consumatore, è come la divisa per un poliziotto lo vedi da lontano e sai già qual è la sua funzione ma la qualità del suo operato è solo indicativa. Alcuni scelgono di non averla e non dichiarano neanche di seguire tecniche ad esempio biodinamiche come Romanèe Conti, per non distogliere l’attenzione dal vino credo, che deve stare sempre al centro, senza etichette particolari. Io non sono così purista, forse perché non posso permettermelo, però credo come loro che il vino di un territorio, è la prima cosa da tutelare, senza mistificazioni di alcun genere. Vino al vino!
Giornalista enogastronomico, una laurea cum laude in Economia e Commercio all'Università La Sapienza di Roma, giudice in diversi concorsi internazionali, docente F.I.S.A.R.. Ha una storia che comprende collaborazioni con Guide di settore. Per citare solo le ultime : Slow Wine (Responsabile per la Sardegna edizioni 2015 e 2016), I Vini de L'Espresso (vice-curatore e coordinatore nazionale edizioni 2017 e 2018), I Ristoranti d'Italia de L'Espresso (edizioni dalla 2010 alla 2018). Collabora con le testate: www.lucianopignataro.it , www.repubblica.it/sapori. Ha scritto alcuni articoli sul quotidiano "Il Mattino" e su www.slowine.it. Ha una passione sfrenata per quel piccolo continente che prende il nome di "Sardegna", per le sue terre e per la sua gente.
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