Un nome che sembra straniero per un prodotto italianissimo. Glorioso, iconico, poi dimenticato per qualche decennio, che torna oggi a rivivere grazie alla creatività di una nuova generazione di produttori artigianali. Stiamo parlando del vermouth o, più semplicemente, vermut. Era il 1786 quando, dentro la liquoreria di Piazza Castello a Torino, Benedetto Carpano, distillatore ed erborista, inventò la formula “ufficiale” di questo vino fortificato, miscelando moscato con erbe aromatiche e spezie. Il passo dalla bottega di Carpano alle corti della famiglia reale fu breve, e da lì il vermut divenne un prodotto regale e aristocratico, ricercato ed apprezzato da personaggi del calibro di Cavour, Giuseppe Verdi e Massimo D’Azeglio.
Nasce quindi come digestivo, moderatamente dolce, erbaceo, dal colore prevalentemente scuro. Si diffondono subito versioni più leggere e secche, dal colore più chiaro. Diviene in poco tempo un celebre aperitivo e poi un ingrediente fondamentale di alcuni dei più famosi cocktail del mondo (nomi come Negroni, Manhattan, Martini Dry vi dicono qualcosa?). Per legge il termine Vermouth, Vermout o Vermut – il cui nome pare derivi dal tedesco “wermut”, che indica l’artemisia, erba medicinale molto diffusa in Piemonte – è riservato a un prodotto “composto da almeno il 75% di vino, dolcificato e aromatizzato con una infusione alcolica composta da varie piante aromatiche, la cui principale risulta essere l’assenzio nelle sue varietà Pontico e Romano. I biotipi di uva potranno essere sia a bacca bianca che rossa”. La provenienza non è disciplinata, pertanto per la sua produzione si possono usare anche vini di provenienza straniera.
Non esiste una ricetta codificata. Oltre all’assenzio, altri ingredienti tipici sono la genziana, erbe officinali ed aromatiche di vario genere, ma anche cannella, cardamomo, china, coriandolo, noce moscata, rabarbaro, vaniglia e così via, con un elenco che può superare anche le 40 botaniche.
Ne esistono vari stili, in genere distinti per colore (il bianco è quello naturale, poi c’è l’ambrato e il rosso, solitamente con aggiunta di caramello) o per gusto (dolce, secco, extra secco e chinato, a seconda del residuo zuccherino).
Pur restando uno dei vanti piemontesi, ormai il vermut è prodotto in tutta Italia, sulla scia di un fenomeno simile a quello delle birre o dei gin artigianali. Da qualche anno si moltiplicano infatti piccole aziende specializzate, che fanno ricerca e sperimentazione continua, con botaniche di territorio o di origine esotica, combinando tradizione e gusto moderno. Come dicevamo in apertura, una vera e propria rinascita per questo glorioso prodotto.
Detto che per decreto la zona di produzione del Vermouth di Torino è ristretta al solo Piemonte (una sorta di Doc come accade nel vino) e che nella dizione “Superiore” si determina anche la provenienza del vino e della maggioranza delle botaniche dalla stessa regione, io mi diverto a segnalarvi alcune chicche d’autore che ho avuto il piacere di testare negli ultimi mesi. Prodotti raffinati, intelligenti e universalmente buoni. Senza dubbio all’apice della piramide qualitativa e da provare senza indugi!
DEL PROFESSORE – VERMOUTH DI TORINO ROSSO
Nasce da un’idea del Jerry Thomas Project di Roma (nome stranoto del mondo mixology) in collaborazione, per la parte produttiva, con l’Antica Distilleria Quaglia, piccola realtà artigiana con sede in provincia di Asti. Un prodotto elegante e raffinato, che incarna la più genuina tradizione piemontese. La base vinosa è un blend di vini accuratamente selezionato, a cui è stato aggiunto alcool purissimo. Gran parte delle botaniche (una quindicina, tra erbe aromatiche ed officinali) provengono dalle montagne regionali. A questi si aggiungono spezie esotiche, come da tradizione. Dopo l’aggiunta di zuccheri aromatici ed periodo di affinamento, il prodotto viene messo in bottiglia. Di primo impatto ti travolge con una sensazione di freschezza incredibile, veicolata da note balsamiche e mentolate nettissime. Poi un ventaglio di profumi, in cui giocano un ruolo di contrasto le sensazioni amare di genziana e rabarbaro. Queste cose le trovi anche in bocca, dove la morbidezza iniziale è presto sovrastata dalle note erbacee e speziate e dal finale amarognolo. A me è piaciuto da solo, con un po’ di ghiaccio e una scorza d’arancia, come splendido aperitivo.
RISERVA CARLO ALBERTO – VERMOUTH BIANCO, ROSSO, EXTRA DRY
Chiamato così in onore del Re d’Italia, che amava questa tipologia di bevanda. Che sia Bianco, Rosso, o Extra Dry, non fa differenza: sono uno più buono dell’altro. Intanto la bottiglia: di grande fascino si ispira all’armonia senza tempo dei colonnati degli antichi templi. La ricetta originale è del 1837 ed è rimasta praticamente immutata. La base vino è data da un mix di Erbaluce di Caluso e di mosto parzialmente fermentato di uve Moscato. La macerazione vede protagoniste, nelle varie versioni, un numero imprecisato di botaniche, tra erbe, bacche, spezie, inflorescenze e frutti (siamo oltre le quaranta). Il derivato viene lievemente filtrato e decanta in fusti piemontesi per un periodo dai 3 ai 6 mesi, di cui si valuta con costanza la perfetta maturazione. La complessità aromatica ti conquista al primo sorso. Un prodotto adatto a palati esigenti, ma anche ad un bere giovane e spensierato. Io preferisco il bianco e il rosso lisci, belli freddi, con un cubetto di ghiaccio e una scorza di limone o arancia (e perchè no un’oliva a una fogliolina di menta). Con l’extra dry suggerisco invece un uso in miscelazione.
SILVIO CARTA VERMOUTH BIANCO E ROSSO
Parlare della produzione dell’azienda sarda Silvio Carta è impresa ardua. Una fucina di idee originali e sorprendenti, con continui slanci, innovazioni, reintrepretazioni. Non fai in tempo a provare l’ultimo prodotto che ne spunta un altro, più intrigante e fantasioso del precedente. Sui vermut fanno un gran lavoro da diversi anni. La base vino è ovviamente la Vernaccia, di cui i Carta sono fedeli custodi. Utilizzano una ricetta antica, in cui le botaniche parlano uno stretto dialetto isolano: macchia mediterranea, rosmarino, alloro, aghi di pino, resine e pinoli. Il Bianco è delicato e morbido, come la vernaccia giovane da cui nasce, e lascia una sensazione fresca che ricorda la battigia al mattino presto. Il Rosso (che viende da una Vernaccia invecchiata 10 anni) è più intenso, rotondo, alcolico, ricco di ritorni tra erbe e frutta matura, con un finale deciso e lungo, piacevolmente minerale. Prodotti molto versatili, buoni sia assoluti che in miscelazione, in base ai gusti.
(nella foto di copertina Elio Carta con i suoi due Vermouth)
Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).
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