Abbiamo più volte parlato della capacità di certi vini bianchi di superare l’esame del tempo.
Uno di questi bianchi è senza dubbio il Massifitti di Suavia, cantina veneta di Soave.
La cantina Suavia nasce nel 1982 per volontà di Giovanni e Rosetta Tessari che decidono di iniziare a vinificare in proprio e imbottigliare i vini prodotti; i loro genitori già producevano per uso familiare conferendo però la maggior parte delle uve. Oggi sono le figlie, Alessandra, Meri e Valentina a gestire la cantina.
Suavia è l’antico nome di Soave e, nomen omen, la cantina si dedica principalmente alla produzione di questo vino anche se con qualche divagazione, in ogni caso solo vini bianchi da uve Garganega e Trebbiano di Soave.
Il Trebbiano di Soave, era un vitigno quasi scomparso ed è grazie alla famiglia Tessari se oggi ha trovato nuovo interesse tra i viticoltori.
Negli anni ’70 del secolo scorso era una varietà grandemente coltivata in Veneto, insieme alla Garganega. Ma, mentre la Garganega è un vitigno vigoroso, dalle alte rese, il Trebbiano di Soave, al contrario, è un vitigno dalle basse rese e dal grappolo serrato che, per sua natura, è portatore di problematiche in vigneto. Inoltre, si vendemmia una quindicina di giorni prima della Garganega. Quindi le sue caratteristiche hanno portato i vignaioli ad abbandonarlo nel giro di una ventina d’anni anche sotto la spinta delle grosse cantine che domandavano sempre più uve in quantità visto il successo del vino sui mercati.
Il Trebbiano di Soave, strettamente imparentato con il Trebbiano di Lugana e il Verdicchio, fu così in gran parte espiantato e relegato in alta collina dove, a causa delle pendenze e dell’asperità del terreno, non era così conveniente rifare i vigneti. Furono solo i vignaioli più anziani, ormai in pensione, a dedicarsi alla sua coltivazione.
Il progetto di recupero del Trebbiano di Soave parte da Milano; quando Valentina frequenta l’Università di Milano conosce il prof. Attilio Scienza e con lui inizia il progetto. Utilizzando le vecchie piante presenti nella zona vengono piantati 15 cloni in un vigneto sperimentale. Dalle successive analisi e dalla selezione che ne è seguita sono stati identificati 3 cloni come autentici. Da qui si è proceduto alla selezione massale per mantenere intatte le caratteristiche dell’antico vitigno.
Massifitti è un Trebbiano di Soave in purezza; non può pertanto giovarsi della denominazione Soave DOC in quanto non prevede la quota di Garganega (minimo 70%) prevista dal disciplinare.
La bottiglia, dalla forma caratteristica, è stata concepita per questo vino anche se poi è stata utilizzata anche per gli altri vini dell’azienda: un modo per essere riconoscibili così come lo sono le etichette che avvolgono tutta la bottiglia.
Il pensiero delle produttrici rispetto al Trebbiamo di Soave e a Massifitti è ben sintetizzato: “ci siamo trovate fra le mani un piccolo tesoro di tradizione e identità, l’abbiamo riconosciuto e l’abbiamo riportato alla luce”.
La verticale
Le nove annate proposte in degustazione hanno, evidentemente, molte caratteristiche in comune seppure nella specificità di ogni annata. Innanzitutto, la luminosità del vino nel calice che si tinge di un color giallo paglierino dai toni non troppo marcati nelle annate più recenti per poi infittirsi e assumere note dorate di maggior spessore. Il naso è sempre elegante giocato sui toni della frutta con la componente erbacea e quella minerale che si alternano nei millesimi. Il palato è caratterizzato da una ottima spalla acida inscalfibile negli anni anche se in grado di assumere toni differenti.
Iniziamo il nostro percorso a ritroso negli anni dall’annata in commercio, la 2019, che si presenta in tutta la sua giovinezza con un finale lungo e piacevolmente sferzato dalla freschezza. Una maggiore rotondità di bocca contraddistingue la 2018, annata buona e generosa, che non delude anche se meno incisiva della precedente.
Si salta alla 2015 che assume alla vista striature verdoline a fronte di una maggiore compostezza di bocca con un lungo finale di agrume. La 2014, degustata in magnum, si avvantaggia del formato esprimendo un perfetto equilibrio tra morbidezza e acidità che resta comunque decisa e persistente. Emergono leggere note di idrocarburo ed erbe officinali e un colore che assume tonalità maggiormente dorate.
La 2013 si lascia ammirare per la sua estrema eleganza, sottile e in perfetto equilibrio nelle componenti; un vino da ricordare. Nella 2011 le note minerali si integrano con l’acidità che rimanda a sentori di buccia di agrume. Il colore dorato prende il sopravvento nella 2010 che, al sorso, inizia a mostrare i segni del trascorrere del tempo con note di chiusura particolarmente morbide.
Lungo e pulito il sorso della 2009 caratterizzato da buona sapidità e da ritorni di frutta matura percepibili distintamente al naso insieme ad una componente floreale e di idrocarburo. Per finire, la prima annata prodotta, la 2008 che stupisce e ammalia. Perfetta in eleganza, ringiovanisce nel colore che ritorna ad accenni verdolini; un vino equilibrato in morbidezza, fresco e pieno nel corpo, lunghissimo nella persistenza con un finale che riporta al minerale e alla roccia appena accennati al naso, con preciso connubio di frutta e fiori.
Dopo una trentennale brillante carriera in ambito amministrativo finanziario all’interno di un noto gruppo multinazionale, dal maggio 2018 si dedica totalmente al mondo del vino del quale è appassionato partecipe da oltre quindici anni. Sommelier dal 2005 e degustatore Associazione Italiana Sommelier, assaggiatore di formaggi ONAF, assaggiatore di grappe e acqueviti ANAG e degustatore professionista di birre ADB, è relatore in enologia nei corsi per sommelier. È stato responsabile redazionale del sito internet della delegazione AIS di Milano e ha collaborato alla stesura delle guide Vitae e Viniplus. È redattore per la rivista Viniplus di Lombardia, per la quale cura due rubriche, è inoltre autore per la rivista Barolo & Co e per le testate on-line vinodabere.it, e aislombardia.it.
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