È un dibattito vecchio quanto le cose, l’uomo e, in fondo (ma sì…) quanto la filosofia. Forma e sostanza. Contenuto e contenente. Estetica ed essenza. Metterli d’accordo, farli consonare è un lavoro da designer, o da stilista. La parola che ne media il risultato, tra le più diffuse e significative per chi vende cose (cioè contenuti) è: packaging. Un vestito che anticipi, valorizzi, presenti al meglio (a volte parecchio meglio di quel che è) ciò che veste. Comprensibile lo sforzo, che è misurato sulla posta in palio. Il packaging è decisivo. Fa lui spesso la vendita. Ergo, è spessissimo strumentale. Raro, insomma, che davvero la corrispondenza sia profonda e reale. O, come si dice in matematica, biunivoca. Che l’astuccio cioè venga modellato “a partire” dall’anima del contenuto, dalla sua essenza profonda, e ne sia dunque primo e fedele messaggio, anticipo di verità, e non solo abbigliamento per la festa e per la seduzione.
Cosa c’entra tutto questo col vino, e con lo Champagne in particolare? C’entra, c’entra. Perché proprio la maison più antica di Champagne, cioè Ruinart, ha deciso di provarci. Ha scommesso (per ora una fiche importante, ma presto la posta potrebbe salire ancora) sul riuscire a tradurre in “abito” la rivoluzione di contenuti che sta portando avanti, passo dopo passo, nel modo di fare i suoi vini.
La casa che sforna bottiglie firmate dal 1729 ha scelto come parola guida per il suo nuovo ciclo di lavoro la sostenibilità. Per questo sta applicando via via al ciclo di produzione (dalla campagna, cioè il vigneto, alla cantina) tutte le misure e gli sforzi utili a ridurre la famosa “impronta”, cioè il consumo di pianeta che ogni produzione – bolle di rango incluse – comporta.
Per riuscirvi al meglio, naturalmente, ogni componente del ciclo produttivo è stato analizzato e “misurato” nel suo impatto.
E, sorpresa – ma solo per chi non ha seguito a suo tempo, ad esempio, il processo di costruzione del piano europeo 20-20 sul taglio delle emissioni, progetto poi depotenziato purtroppo lungo la strada da diversi Stati pur firmatari del patto, – il risultato contabile è stato che proprio il packaging e il suo smaltimento, il trasporto merce e in generale la catena dei servizi a valle della produzione vera e propria valgono da soli più di metà del… sacrificio di Terra che l’immissione nel circuito di destinazione di ogni singola bottiglia comporti.
Di qui la scommessa – non facile, anzi quasi un azzardo visti la delicatezza e la specificità del contenuto di cui parliamo, un liquido sensibile e vivo, con dentro un gas disciolto che porta la pressione esercitata a circa 6 atmosfere – di agire drasticamente e in modo assolutamente innovativo su bottiglia e confezione per tagliarne il più possibile il costo ecologico.
Il progetto è stato battezzato “second skin case ”, seconda pelle. Ed è proprio di questo che, anche visivamente – le foto sono più che eloquenti – si parla.
Via scatole e contenitori vari per le cuvée della maison: R, R vintage, Rosé e Blanc de Blancs (resta per ora fuori dal gioco il Dom, ma se ne riparlerà) e al loro posto ecco una veste sottile e leggera con dentro zero plastica, interamente riciclabile, nove volte più leggera, eppure altrettanto protettiva da quello che il francesi chiamano “gout de lumière”, il sentore di ossidazione che un’esposizione sconsiderata alla luce (e chi ha in mente la trasparenza assoluta della bottigla del Blanc de Blancs capisce bene di cosa si parla) può causare allo Champagne e al vino in genere, tanto più quanto più esso è sensibile.
La nuova “pelle” candida con cui gireranno il mondo i Ruinart è fatta di carta, ricavata da legno di foreste europee tenute in cogestione e in modo verificabilmente sostenibile.
Il risultato (figlio di due anni di prove e ricerca e di sei prototipi scartati prima di arrivare a quello giusto) permette di tagliare del 60%, con tanto di certificazione di agenzie ambientali specializzate, la massiccia fetta di impronta carbonica dovuta a imballaggio e trasporto (il minor peso del tutto, con la bottiglia stessa “dimagrita” fin dove la sicurezza lo consente, fa ovviamente diminuire la quantità di energia bruciata e di emissioni).
Il lavoro fatto sulla componente estetica (niente pieghe o angoli, pelle su pelle, curva su curva, chiusura con un solo “bottone” a pressione) è a sua volta un piccolo capolavoro.
Ovviamente, a far felici tutte e tutti noi (oltre alla piccola Greta) c’è il benedetto contenuto delle due epidermidi di chez Ruinart.
Nel caso nostro, il Blanc de Blancs ultima edizione. Uve in gran parte dal cuore della Cote de Blancs e dalla Montagne, tra un quinto e un quarto di vini di riserva, Premier Cru a dominare la scena, sfumature contrapposte ma complementari di “nordicità” e freschezza dalla valle della Veste e di “curvy” dal Sézennais, il vino recita con eleganza il copione cui l’etichetta ci ha abituato: florealità, lievi note cremose ben bilanciate da una composta acidità, tracce aeree di spezia, frutta bianca, finale di pesca, mandarancio e la tattilità nel sorso – gesso fine – che lo Champagne che vale sa sempre regalare.
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