Con il nuovo capitolo della saga Parker/The Wine Advocate va in scena… la probabile uscita di scena di Robert M. Parker Jr. dall’Advocate, con l’acquisizione del 100% della testata da parte del gruppo Michelin. Ovviamente si parla subito di quelli che potrebbero essere i nuovi equilibri nel mondo della critica del vino a valle di questa mossa, quali gli impatti sul mercato… e poi ci si chiede, ancora una volta, come sempre: ma Parker è stato un bene o un male per il mondo del vino?
Va subito detto che:
- L’operazione ha tutta l’aria di una monetizzazione di asset effettuata con sapiente tempismo;
- non è affatto scontato che Parker abbandonando l’Advocate lasci di fatto anche il mondo del vino, anzi, sono pronto a scommettere il contrario;
- il volume di degustazioni cui Parker ha partecipato negli ultimi anni è andato diminuendo, dunque, pur rimanendo la sua “firma” in realtà ormai la maggior parte degli assaggi viene oggi effettuato da esperti di sua fiducia;
- il nostro eroe ha comunque superato i 70 anni e, sebbene sicuramente le sue qualità olfattive e degustative siano al di sopra alla media, inizierà sicuramente anche per lui una fase “calante”.
Quindi che Parker riduca la sua attività ha senso sotto diversi aspetti, ma probabilmente dobbiamo aspettarci che rimanga sul palcoscenico ancora per un po’.
Dico subito che, a mio modesto avviso e da avido lettore (fino a circa 15 anni fa…) dei suoi libri e della sua rivista, Parker ha dato un enorme impulso al miglioramento della qualità del vino, sebbene oggi i suoi giudizi ed i parametri utilizzati sono, almeno sempre a mio avviso, un po’ obsoleti. Vedi per esempio l’assenza di posizioni chiare sui vini naturali o biodinamici. In ogni caso la sua metodologia (i.e. punteggio in centesimi, distribuito tra colore, profumo e sapore) è stata però assai rivoluzionaria, e ha permesso di creare un metro piuttosto omogeneo e quasi “oggettivo” per definire la qualità dei vini. Ora che questo approccio privilegi vini iperconcentrati, ipercolorati e iperlegnosi è probabilmente frutto di una reazione proprio agli anni in cui il nostro “si è fatto le ossa”, tra il 1967 ed il 1981. In queste annate sono stati prodotti in generale vini spesso piuttosto scialbi ed incolori, in particolare sulla Garonna, a causa di rendimenti comunque generosi e all’uso di botti di non elevato livello qualitativo. In realtà un riassaggio odierno di annate al tempo considerate mediocri come quelle appunto degli anni ’70 (vedi per esempio il 1975, o il 1979) fa capire che la capacità di “leggere” le annate difficili a lungo termine è sicuramente venuta in seguito, e che in quest’ambito Broadbent è in generale sicuramente più affidabile di Parker.
Fughiamo subito un luogo comune: la figura di “gran maestro” del mercato del vino, attribuita a Parker in negativo soprattutto negli ultimi anni, gli sta molto stretta. Parker, come da amici appassionati che lo hanno conosciuto in prima persona, è anche lui un vero appassionato di vino. Tra l’altro, se analizziamo con attenzione la sua carriera, non ha mai utilizzato la sua influenza in modo spregiudicato, come invece per esempio La Revue du Vin de France che ha creato poi un proprio sito di aste di vino online, o Wine Spectator che ha attribuito punteggi stratosferici a favore di grosse società americane (vedi l’affaire Ornellaia/Mondavi…). Parker è stato sempre ben lontano da queste prassi. Ora è anche vero che il Nostro ha ricevuto in Francia la Legion d’Onore ed in Italia il titolo di Commendatore, per gli innegabili benefici che ha portato al mercato del vino delle rispettive nazioni, ma sicuramente da tutto ciò non ha tratto vantaggi diretti, tranne in termine di aumento del proprio prestigio negli ambienti del vino.
Viceversa, è stato il primo a dare risalto alle degustazioni “omogenee” di vini “alla cieca”, stessa annata, stessa regione, etc. – in particolare a Bordeaux con gli “en primeur”, ma anche con verticali analitiche dei migliori Château, e non necessariamente dei soli Premiers Grands Crus, promuovendo quindi tutta una serie di produttori considerati un tempo “minori” ed ora richiestissimi in virtù di un rapporto qualità/prezzo particolarmente favorevole, ad es. Leoville Las Cases o Lynch Bages.
Un limite di Parker – tra l’altro comprensibilissimo – è stato forse non riuscire a estendere la sua passione a tutti i luoghi dove si fanno inconfutabilmente grandissimi vini, prima tra tutti la Borgogna. La sua guida qui ha mostrato molti limiti, e sicuramente – almeno nella prima parte della sua carriera – un minor gusto per questa tipologia di prodotto. Tuttavia, in virtù anche della sua onestà intellettuale, non ha mai nascosto la questione e ha sempre evitato polemiche a riguardo.
I punteggi di Parker hanno avuto da subito una consistenza senza eguali, essendo il frutto di decine di migliaia di assaggi effettuati dalla medesima persona, supportata tra l’altro da una memoria ferrea e da una capacità di confronto estremamente costante nel tempo. Questo ha garantito l’affidabilità dei suoi giudizi, ed ha inevitabilmente portato ad una rilevante crescita della qualità dei vini e ad un ancora più significativo aumento dei prezzi delle bottiglie più quotate, aiutato in questo dall’improvviso interesse dei mercati orientali per il prodotto vino alla fine degli anni ‘90, prodotto per la prima volta a quel tempo visto anche come investimento finanziario.
Oggi la pervasività della sua opera è evidente un po’ ovunque, per esempio su tutti i siti di vendita online, dove spesso ad ogni bottiglia è associato il “punteggio Parker” a garanzia di qualità del prodotto. È abbastanza evidente che così tanto successo, e così largamente diffuso, ha sicuramente generato invidie e numerosi detrattori. Niente potrà però cambiare l’incredibile mole e la sostanziale serietà del suo lavoro, che può contare pochissimi eguali a livello mondiale, ma con risultati che sicuramente nessuno ha mai raggiunto in termini di promozione del vino e della sua qualità a tutto tondo.
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