Visitare la Tenuta Quintodecimo del Professor Luigi Moio, dove vive e lavora con la moglie Laura ed i figli, in una bella giornata di maggio è uno spettacolo per gli occhi. In un momento di massimo rigoglio delle piante ci si ritrova immersi in un mare verde, un colore declinato in tutte le sue possibili sfumature; una vista che rigenera lo spirito e migliora l’umore.
Le viti sono schierate a rittochino come un battaglione sull’attenti. Il terreno tra le viti è pulito, con un tappeto di erbette e fiori di campo al centro. Un cespuglio di rose è posto all’inizio di ogni filare, retaggio di tradizioni contadine che ancor oggi hanno una ragion d’essere: la rosa è una pianta molto più delicata della vite ed all’insorgere di qualche fenomeno infestante e potenzialmente dannoso per le viti sarebbe la prima a manifestare segni di malessere, mettendo sull’avviso il vigneron, che avrebbe così il tempo di intervenire nel vigneto prima che le piante subiscano danni. La sensazione di ordine e pulizia che traspare dall’insieme delle piante e del terreno, fa intuire la salubrità delle uve che ne verranno fuori. Il benessere delle viti è generato e governato attraverso una gestione rigorosamente rispettosa della natura: a breve tutti i 30 ettari della tenuta otterranno la certificazione biologica, ci spiega il Professore.
Luigi Moio è un professore e ricercatore universitario, ma anche e soprattutto una autorità riconosciuta a livello mondiale nel campo del vino (è per esempio vice presidente della OIV, Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino). Dai suoi interventi in contesti pubblici si percepisce grande rigore e competenza scientifica. Ma davanti alla distesa verde delle sue “creature” l’eloquio cambia: si arricchisce di passione nella descrizione delle pratiche, degli sforzi e delle mille accortezze e attenzioni che un vignaiolo deve mettere continuamente in campo per ottenere la massima qualità nelle sue uve.
Il clima in cui si svolge l’incontro diventa poi franco e conviviale (ma senza rinunciare alla scientificità e competenza del discorso) nel momento della degustazione dei vini. La bellissima sala di degustazione è dotata di grandi vetrate poste di fronte ai terreni vitati, cosicché mentre si degusta un Taurasi si possono contemporaneamente osservare le viti da cui provengono le uve che lo hanno generato.
Uno degli assunti principali di Luigi Moio è che per fare il vigneron bisogna prima di tutto possedere robuste conoscenze tecniche di natura agronomica ed in secondo luogo avere in mente un progetto ben definito del tipo di vino che si vuole ottenere, ovviamente un vino che sia reale espressione della vigna e del contesto pedoclimatico in cui essa vegeta assistita dagli uomini. Da lì, ci dice, bisogna partire nel realizzare tutte le fasi della filiera produttiva che porteranno ad ottenere alla fine il prodotto voluto.
Un altro dei pilastri su cui si fonda la sua filosofia produttiva è che il vino di grande qualità parte da grappoli d’uva perfettamente idonei all’obiettivo finale. Ossia da grappoli la cui composizione biochimica naturale è in perfetto equilibrio e completamente funzionale all’obiettivo finale e l’uomo ha un peso determinante nel progettare quei grappoli. A dirlo sembra facile ma mettere in pratica realmente questi concetti, con la rigorosità e puntigliosità di uno scienziato del vino non è cosa semplice e tanto meno comune. Significa, ad esempio, evitare al massimo l’uso di qualunque “trattamento” delle piante, fare in modo che le viti acquisiscano il più possibile da sole la capacità di difendersi dai parassiti e dalle malattie. Questa filosofia produttiva si applica ancora di più nella lavorazione delle uve, nella attenzione quasi maniacale con cui i raspi e i vinaccioli delle uve vengono trattati, per fare in modo che non si danneggino durante la pigiatura e diraspatura rilasciando tannini “verdi” e amari nel mosto. Una metodologia che prevede l’utilizzo della barrique come uno strumento tecnico e non come un semplice contenitore, per completare i processi di trasformazione dell’uva in vino, senza che il legno alteri gli aromi originali e varietali contenuti nel mosto. La grande cura nella gestione delle uve e nelle fasi di produzione e lavorazione del mosto si riflette nel prodotto finale.
I vini di Moio si distinguono soprattutto per la grande nettezza e pulizia del sorso, poi per la ricchezza degli aromi ed infine per il grande equilibrio delle componenti gustative, che genera altrettanta grande eleganza. I tannini sono evidenti ma perfettamente integrati con il frutto e l’acidità: non sentirete mai nei vini di Moio quelle forti sensazioni astringenti e asciuganti che a volte, specialmente per le annate appena uscite, si possono percepire nei vini a base Aglianico.
Potremmo parlare ancora a lungo degli altri importanti concetti che fanno parte del “progetto” che Luigi Moio persegue nella realizzazione dei suoi vini. Ne accenniamo solamente alcuni riservandoci di approfondirli seguito:
– il grande potenziale enologico dell’areale irpino va sfruttato concentrandosi sulla produzione dei tre grandi vitigni bianchi, Fiano, Greco e Falanghina e del grande rosso, l’Aglianico, o per meglio dire il Taurasi.
– Non esistono (o meglio sono rarissime) annate che risultano ottime sia per i vini bianchi che per i rossi; nell’ottica di ottenere dei vini di altissima qualità, bisogna quindi considerare il tipo di annata e concentrare gli sforzi produttivi puntando più sui bianchi piuttosto che sui rossi e viceversa.
– la preferenza dell’utilizzo di lieviti selezionati rispetto ad una fermentazione spontanea, ma a questo, per ragioni di spazio e di tempo dedicheremo un articolo ad hoc, intervistando il professore.
Ma passiamo ora all’assaggio dei vini.
Abbiamo degustato i tre grandi bianchi Quintodecimo, tutti del 2018. Il 2018 è stata una annata caratterizzata da abbondanti precipitazioni ma che ha consentito alle viti di procedere verso la maturazione con regolarità, rivelandosi un millesimo molto buono, generando vini bianchi di grande complessità ed altrettanta freschezza.
Fiano di Avellino “Exultet” Docg 2018, 14%. (Fiano 100%). Proveniente da vigneti situati a Lapìo. Fermentato per 70% in acciaio e per 30% in barriques nuove. Grande pulizia al naso, con sentori di agrumi, miele e note minerali. Sorso ricco, secco, con acidità e freschezza in primo piano, molto persistente con note finali balsamiche e mentolate.
Greco di Tufo “Giallo D’Arles” Docg 2018, 14%. (Greco 100%). Proveniente dai vigneti dell’omonima tenuta di proprietà situata a Tufo. Fermentato per 70% in acciaio e per 30% in barriques nuove. Sentori netti e puliti al naso, minerale, con profumi intensi di fiori bianchi e frutta gialla e una nota tostata. Al palato rivela una struttura potente, materico, con note dolci di vaniglia fuse con acidità e alcol. In questa fase dimostra un carattere più definito rispetto al Fiano, con un ventaglio di aromi più intenso.
Irpinia Falanghina “Via del Campo” DOC 2018, 14%. (Falanghina 100%). Proveniente da vigneti piantati a Mirabella Eclano. Fermentato per 70% in acciaio e per 30% in barriques nuove. Ampia gamma di profumi dalla frutta tropicale al miele, con una scia minerale e salina, con lievissima nota fumé. La beva è ricca, con ritorni di frutta tropicale sorretti da una bella acidità.
I rossi assaggiati, tutti a base di Aglianico, sono di diverse annate.
Taurasi Riserva “Vigna Grande Cerzito” Docg 2014, 15%. (Aglianico 100%). Proveniente dall’omonimo vigneto situato nel versante sud della Tenuta Quintodecimo; il terreno è caratterizzato da ceneri di origine vulcanica. Affinato per 18-24 mesi in barriques nuove. Denota grande pulizia al naso, con profumi di fiori rossi e confettura di frutti di bosco, mirtillo in particolare. Sorso materico e succoso, perfetto equilibrio tra acidità, tannino e frutto.
Taurasi Riserva “Vigna Quintodecimo” Docg 2012, 15%. (Aglianico 100%). Proveniente dall’omonimo vigneto situato nel versante nord-ovest della tenuta Quintodecimo; il terreno è caratterizzato rocce argillose e calcaree. Affinato per 18-24 mesi in barriques nuove. Balsamico, floreale e speziato al naso. In bocca emerge una grande pulizia ed equilibrio delle componenti gustative. La beva è succosa, intensa e ricca di aromi. Sensazioni di grande eleganza.
Taurasi Riserva “Vigna Quintodecimo” Docg 2007, 15%. (Aglianico 100%). Affinato per 18-24 mesi in barriques nuove. Profumi di piccoli frutti neri, fiori e spezie. Al palato aromi netti e puliti di frutti neri, spezie e liquirizia. Nonostante l’annata calda la beva è fresca e scorrevole. Si conferma la grande eleganza di questo vino.
Sono un appassionato del mondo del vino, mi piacciono i profumi e i sapori che ogni bottiglia di vino racchiude, le sensazioni e le emozioni che trasmette. Mi piacciono molto anche i distillati, in particolare la grande varietà e specificità del mondo del whisky. Laureato in Fisica, con un passato di marketing manager nel settore Servizi e Innovazione di una società leader di telecomunicazioni, oggi critico enogastronomico per passione. Scrivo di Vino, Distillati ed Olio sulla testata giornalistica Vinodabere (www.vinodabere.it). Collaboro anche con le testate di settore “Luciano Pignataro (www.lucianopignataro.it)”, "Wining (www.wining.it)" ed “Epulae (www.epulaenews.it)”. Giudice per il concorso internazionale Grenaches du Monde. Assaggiatore per la “Guida Flos Olei“ di Marco Oreggia. Ho collaborato per l’edizione 2018 con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso. Sommelier AIS dal 2001, Sommelier AISO dell’Olio e degustatore iscritto all'albo per la Regione Lazio.
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