Quote rosa del vino, avanti tutta. Ce lo spiega a puntino, alla fine di un pienissimo Ornellaia day a Milano, una ricerca Censis presentata per l’occasione che certifica come il 22% di superficie agricola italiana in mano ad aziende a guida femminile – e in drastica crescita – produca il 28% del valore totale del comparto, con uno spread tanto positivo da dirla lunga sulle capacità e i saperi acquisiti dalle green ladies.
E ce lo aveva anticipato, a inizio trasmissioni, la scelta – davvero inedita – di Axel Heinz, deus ex macchina in vigna e cantina, sin qui, del brand deluxe bolgherese di casa Frescobaldi, di cedere lo scettro di enologo – ma restando ovviamente supervisor totale e plenipotenziario – e la parola dal palco a Olga Fusari, in squadra (prima stagista, poi nello staff dal 2008 come professionista, e ora in ruolo apicale) da quasi 13 anni. Tocca a lei dunque, esempio vincente di un rimescolamento felice (a proposito: sempre, fonte Censis, l’altro più vistoso spread positivo nella produttività aziendale in Italia è dovuto alle aziende di accoglienza e ristorazione guidate da immigrati, a riprova che è il melting pot a far grandi culture e paesi, come insegna la storia millenaria del Mediterraneo e quella più recente degli Stati Uniti d’America) raccontare i vini a proscenio: i debuttanti Poggio alle Gazze 2017 e soprattutto Ornellaia 2016, con in mezzo e a contorno l’Ornellaia Bianco 2015 (già sul mercato) e i test di confronto dell’Ornellaia 2013 e 2008 (la prima annata “ufficiale” d lavoro di lady Olga). A seguire, come è ormai scintillante tradizione del marchio, ecco la presentazione della etichetta Vendemmia d’Artista, affidata alla americana Shirin Neshat e costruita su un fiabesco, poetico gioco di mani femminili in movimento che accarezzano, avvolgono, schiudono e conchiudono grafemi, parole e versi di Omar Khayyam, celeberrimo poeta persiano del IX secolo e cantore tra i più alti e noti del mito enoico. L’opera di Neshat decorerà 100 Doppie Magnum, 6 imperiali (6 litri) e una Salmanazar (9 litri) – oltre a una bottiglia per ogni cassa da 6 circuitata nel normale “giro” commerciale dell’azienda – che, vendute all’asta, finanzieranno al solito un target “etico” legato al mondo artistico, che vede stavolta Ornellaia partner per tre anni della Fondazione Guggenheim in “Mind’s eye”, un progetto ultra innovativo fondato sulla stimolazione multi sensoriale che punta ad aiutare soggetti con disabilità (in primis ovviamente visive) a “sperimentare” e vivere il rapporto con le opere d’arte, da cui erano sin lì praticamente esclusi. Questo il (ricco) percorso, punteggiato con efficacia dal racconto della storia professionale della Fusari intrecciata a quella dei vini prescelti per l’assaggio.
Quanto a questi ultimi:
Poggio alle Gazze 2017
Figlio di inatteso equilibrio d’una vendemmia torrida e assetata, cominciata in clima quasi emergenziale il 7 agosto (Olga, in vacanza allora <su uno scoglio nel mare di Puglia>, ha raccontato di aver teleguidato via smartphone i raccoglitori e la cantina nei quasi due giorni impiegati a tornare a casa e operativa). Equilibrio quasi miracoloso, si diceva, perché a un naso generoso e decisamente varietale (l’anticipo di raccolta è servito evidentemente a questo) si accompagna una bocca matura e già accogliente, ma per nulla stanca. Fiori bianchi, note esotiche anche un filo di pompelmo e un piccolo cenno metallico guidano a un finale appena caldo d’alcol. 87/100
Ornella Bianco 2015
Grande annata, quasi perfetta, spiega Olga. Da manuale per fasi vegetative e ritmi. Solo Sauvignon (Ci siamo quasi pentiti di averlo scritto>, ha poi ironizzato a giochi chiusi Axel Heinz, alludendo a un’attesa fin troppo “facile” d’aromi tipici, riflesso condizionato piuttosto trasversale quando si sa di assaggiare, appunto, un Sauvignon, mentre in questo ’15 è la complessità a far premio). Frutta elegante, materia tanta, importante, doppio binario tra sensazione tattile e fluire teso (già: teso, a dispetto di una serie di ameni quanto fantasmatici distinguo lessicali con cui una nuova ventata di autoproclamati eno-cruscaioli domenicali, cui si consiglia di applicarsi, ad esempio, sul vocabolario del calcio o dello sport in genere per meglio comprendere come si plasmino e operino le sottocategorie dei linguaggi, vorrebbe bandire questo o quell’aggettivo a seconda di come si son svegliati al mattino) del sorso. Un vino che spinge lungo tutt’e due gli assi un ipotetico grafico delle sensazioni. 91/100
Ornellaia 2016
La parola chiave scelta dalla casa è (guarda un po’… a proposito di vocabolario del vino…) “tensione”. E ci sta. In senso proprio e traslato. Come non iniziare un po’ tesi la prima vendemmia da enologo in capo? Questo è il debutto di Olga al comando, dopo una vendemmia di controstagione in Argentina e ritorno a Bolgheri per cimentarsi col primo Ornellaia tutto suo. In annata classica. Estate soleggiata ma non eccessiva. Stress idrico moderato. E vino allora bello e snello, non muscolare, non chiattone. Fiore e frutta, prugna e cenni scuri, tutto vivace, e zero marmellata. In bocca il vino s’allunga e non pesa troppo. Ha tannini fini. E una nota balsamica, appena mentolata. Lascia ricordi di ribes, mora. E si beve alla grande, migliorando via via nel bicchiere. 94/100
Ornellaia 2013
Un’annata sui generis. Iniziata fredda e tardiva, con un ritardo vegetativo di due settimane (e produzione poi meno ampia). Ma a fine giugno ecco esplodere un’estate importante. Calda. Tosta. Il ritardo iniziale si rivela dunque benefico, perché porta a raccogliere a fase torrida ormai finita, con ultimi grappoli staccati a metà ottobre e inizio il 9 settembre anziché fine agosto per i Merlot. Il vino è pieno, un po’ tosto (ha tannini più “staccati” dalla carne, che pure è tanta, e profuma di frutti neri e molta macchia mediterranea, con balsamicità evidente e finale quasi d’alloro). La beva per il momento è meno coerente e coesa. Ma va atteso un altro po’ prima di un verdetto conclusivo. 92/100
Ornellaia 2008
È pronto e aperto, oggi, il vino dell’anno dello start professionale nella maison di Olga Fusari. Ornellaia da bere senza far peccato. Tondo, ampio, morbido, succo di mirtillo cremoso temperato da una nota appena rocciosa, di tattilità più concreta che affiora dal magma fuso e liscio verso fine sorso. Materia e pienezza. Ma (si può dire?) anche gli stigmi di uno stile diverso, e non solo per via d’annata. Un vino che sa un filo più d’altri modelli. Indiscutibili, ma più “international” e seduttivi secondo una visione da primi anni 2000. Diciamo che si gode, e parecchio, ma si pensa meno e a meno cose. Per qualcuno sarà anche un pregio in più. Per chi scrive, un piccolissimo “minus”. 93/100
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