Qualche tempo fa siamo stati invitati dagli amici di Vinario4 ad un incontro degustazione molto interessante presso il Mercato Centrale di Roma con un’Azienda vitivinicola giovane della zona dell’Oltrepò Pavese.
Il progetto imprenditoriale dell’Azienda Biologica La Casaia è nato dall’amicizia dei due protagonisti coniugando l’esperienza di Vittorio Caramella, proveniente da un altro settore, quello della consulenza manageriale per grandi aziende con quella di Roberto Lozza, viticoltore alla terza generazione.
La curiosità di approfondire questo areale unico nel suo genere ci ha portati a conoscere più da vicino la crescita di questa porzione di terra, dove i vitigni internazionali, come il Pinot Nero e lo Chardonnay, hanno trovato il loro habitat ideale. Oggi qui se possiamo degustare degli ottimi Pinot Nero è grazie a Carlo Gancia di Canelli che più di 160 anni fa ha avuto l’intuizione di coltivare questa varietà e nel 1865 insieme al Conte Giorgi di Vistarino di creare il primo spumante Metodo Classico.
Dalle parole di Vittorio: “Siamo una piccola realtà tipicamente familiare, produciamo tra le 55000 e le 65000 bottiglie per darvi un’idea, quindi piccola produzione, l’azienda è nostra, i terreni sono nostri, quindi filiera garantita dalla terra all’imbottigliamento. Siamo biologici oramai da quasi 15 anni e per fortuna anche tutti gli amici che hanno aziende intorno alla nostra zona si sono convertiti, ne manca ancora uno che è in corso di conversione però quasi tutta l’area è ritornata ad essere biologica ormai da 7/8 anni. Per fortuna la natura sa come ricucire i danni fatti dall’uomo e infatti sentirete poi nel vino dei profumi, dei sentori che solo un terreno sano e solo un’agricoltura biologica vera possono portarvi, perché non c’è altro modo per fare un vino.”
In realtà altri modi per fare il vino ci sono, con risultati più o meno soddisfacenti di questa modalità.
Il nome “La Casaia”, che si rifà a quei sani principi che “i custodi della tradizione” hanno tramandato, deriva da una piccola costruzione (che poteva essere in legno, in paglia o in mattoni) realizzata nei primi anni del ‘900 e adoperata per vari scopi. Al mattino quando si usciva per andare in vigna a lavorare, non si tornava a casa per l’ora di pranzo (anche perché le distanze non erano così gestibili) e la pausa veniva consumata all’interno della casaia. La struttura veniva utilizzata anche per ripararsi da un temporale improvviso, per custodire gli attrezzi che venivano lasciati a distanza per non essere trasportati continuamente, costituendo un piccolo rifugio che poteva servire giusto per mangiare, per bere, per rifocillarsi, ma anche ripararsi dalla calura o scaldarsi un po’ l’inverno.
L’azienda di Vittorio e Roberto si trova all’interno di una bellissima regione che ad osservarla dalla cartina sembra un triangolo equilatero rovesciato, posizionato nella provincia di Pavia, la cui base confina con l’area sud del Po, a ovest con il Tortonese piemontese, ad est con l’Emilia Romagna con la provincia di Piacenza, fino ad arrivare alla Liguria. Un panorama collinare incantevole segnato da vigne terrazzate interrotte da villaggi contadini e da montagne le cui vette raggiungono grandi altitudini, costituite da un terreno fortemente calcareo-argilloso e costantemente ventilate da quel flusso d’aria che soffia di sera dalla Liguria.
Sono più di un migliaio i viticoltori che producono in quest’area che si aggira intorno ai 15000 ettari vitati portando avanti una tradizione antica di secoli e promuovendo al meglio la bellezza e le potenzialità delle colline lombarde non molto conosciute ai più.
Nel 1884 l’Oltrepò Pavese vantava ben 225 vitigni autoctoni, un numero elevato di varietà che piano piano si è andato a ridurre e intorno alla metà dell’800 è comparso per la prima volta il Pinot Nero che è arrivato a dare i suoi frutti poi con la DOCG del 2007.
Ad oggi sono dieci i vitigni fra quelli conservati e riscoperti: oltre al Pinot nero, troviamo la Barbera che arriva direttamente dal Piemonte, la Croatina, il Riesling (sia quello Italico sia quello Renano) diffuso in molte parti d’Italia ma che in questo territorio ha una grande produzione di ottimo livello, in più tutta una serie di varietà che tra l’altro sono un po’ nella fase di riscoperta come la Vespolina, con la tendenza da parte di alcuni produttori a recuperare cultivar antichi come l’Uva della Cascina e la Moradella.
Vittorio racconta: “Se ci fosse qua mio nonno buonanima vi direbbe che l’Oltrepò è il posto più famoso del mondo dove si fa un sacco di uva, un sacco di vino venduto a tutti, a basso costo. Questo purtroppo a un certo punto ci è ritornato come un boomerang. Perché siamo stati sempre una zona dove il vino era di bassa qualità, con enormi produzioni vendute nella maggior parte dei casi ai milanesi. Ricordo ancora che mio nonno mi raccontava che si andava giù a cavallo con il carretto e ci voleva un giorno per andare in città. Partivano con 40 damigiane (che era il massimo che il cavallo riusciva a trascinare), scaricavano e ritornavano su per caricarne altre proprio perché questo era il business.”
Continua il suo racconto: “La grande città vicino alla piccola zona ti dà un vantaggio ma poi in qualche modo il nostro territorio non si è sviluppato e c’è ancora chi pensa che l’azienda possa prosperare semplicemente avendo grandi volumi e grandi quantità di vino. Noi in realtà abbiamo fatto una scelta totalmente diversa ovvero quella di produrre poche bottiglie, pochi prodotti, tutti di altissima qualità, proprio perché siamo profondamente convinti che le aziende piccole come le nostre possono stare sul mercato unicamente con questa modalità. Non possiamo misurarci con i numeri del Prosecco o del Trentodoc e onestamente non mi va nemmeno di competere, ma dobbiamo concorrere con la massima qualità e la massima trasparenza per voi potenziali consumatori. La produzione per ettaro è bassissima e potremmo fare tre volte le bottiglie che produciamo con i terreni e la produzione che abbiamo. Durante la potatura, ci dispiace anche buttare grappoli che a vederli potrebbero crescere in modo assolutamente sano e vigoroso, però è chiaro che devi per forza rinunciare a qualcosa altrimenti nella bottiglia non hai questo risultato.”
Il piccolo paese di Santa Giuletta, ove è ubicata a 300 metri di altitudine La Casaia, si trova al centro dell’Oltrepò Pavese, nel punto d’inizio dell’Appennino Ligure e della fine della Pianura Padana. Si tratta di un microcosmo di 128 abitanti, soprattutto persone anziane che sono rimaste a vivere lì anche dopo l’esodo della popolazione verso la pianura dovuto alla nascita delle prime industrie. Case svendute o abbandonate dalle nuove generazioni e terreni incolti che fortunatamente sono stati in parte recuperati anche da questa realtà vitivinicola. Ma da qualche anno a questa parte c’è stata una leggera inversione con la presenza dei giovani nelle aziende del territorio.
La mentalità non è tuttora molto aperta e ci vorrà ancora un p0′ di tempo ma si è presa coscienza del valore dell’area con tutti i suoi migliori ingredienti: i vini, il territorio, il buon cibo, le bellezze naturali e quelle storiche. Purtroppo l’unica cosa che manca ancora sono le strutture per l’ospitalità anche se ci sono due o tre associazioni locali che stanno provando a fare una sorta di incoming.
La Casaia, dal suo canto, sta cercando in ogni modo di valorizzare i suoi punti di forza con l’accoglienza e l’enoturismo e con la sua speciale ubicazione sull’asse del 45° parallelo che passa nelle zone più vocate alla coltivazione del Pinot Nero e che accomuna le grandi zone vinicole mondiali, dalla Napa Valley alla Georgia.
A tal riguardo, proprio per valorizzarne il significato che, sul sentiero che si percorre a piedi, troviamo una panchina e un cartello scritto a mano e firmato con la spiegazione del parallelo affinché il viandante comprenda la posizione.
Ma veniamo alla degustazione con le nostre impressioni di rito. Con una unica barbatella vengono create quattro tipologie di vino diverse: il metodo classico, il rosato, il Pinot Bianco e il Pinot Nero vinificato in rosso che rappresenta il top di gamma.
Dei 90000 ettari di Pinot Nero sparsi nel mondo, poco più di 5000 ettari sono coltivati in Italia di cui 3000 solo nell’Oltrepò. Quindi è veramente la casa italiana del Pinot Nero, il terzo territorio per la sua produzione dopo la Champagne e la Borgogna. Gli altri ettari sono diffusi dalla Francia, alle nuove frontiere del mondo, come la Nuova Zelanda e il Sud Africa, una parte dell’Oregon negli Stati Uniti e in Argentina; anche nell’Europa dell’Est comincia a trovarsi, però in percentuali minori.
Il “13 Lune” Metodo Classico, brut da Pinot Nero in purezza, il cui nome deriva appunto dalla permanenza di 13 mesi sui lieviti. Un vino giovane, dalla schiuma abbondante appena versato, defluita in un perlage affascinante e persistente che ha il compito di rendere piacevole la bevuta con il suo ruolo di aperitivo. Studiato per un pubblico mediamente giovane, fa da contraltare agli altri prodotti di ben più volumi, dando sensazioni fresche e profumi totalmente diversi. La sua freschezza e la grande acidità ben accompagnano la morbidezza per un sorso semplice ma intrigante, creato per soddisfare in modo armonico tanti palati. Piacevoli sensazioni di crosta di pane, marker per eccellenza, di frutta fresca a polpa bianca, con un ritorno di note di liquirizia molto gradevole. Sicuramente ogni dettaglio di questo vino è molto interessante, si fa semplicemente bere e la bocca torna pronta al secondo assaggio. Nasce dalla voglia di fare qualcosa di diverso, lontano dai lunghi affinamenti, per essere presentato e abbinato ai piatti della ristorazione locale. Chiaro che, come si può immaginare, per ragioni di mercato, ha un valore diverso dal resto della gamma dei prodotti.
“Una Notte” Pinot Nero 2022 vinificato in rosato. Questo vino viene criorefrigerato per fissare i profumi e i colori che mostra, quindi sosta a -5°C per 36/48 ore. Tornando poi alla sua temperatura ambiente, in modo molto lento, micro filtrato e imbottigliato, in qualche modo fa ancora una sua spontanea piccola rifermentazione e questo gli dona un tono ancora più intrigante, perché non è totalmente fermo. I suoi profumi si spingono tra la mela grattugiata e il lampone con una nota speziata di pepe bianco nel finale non pungente. Il sorso deciso è ricco e molto interessante, segnato da quella mineralità, tipica del terreno calcareo argilloso e dell’esposizione più che del vitigno stesso, che consente di pulire il palato un poco alla volta. In sottofondo manifesta una sensazione di frutta secca e quel tocco di balsamicità a chiudere una beva prontamente fine ed elegante che richiama un secondo calice.
Metodo Classico “Passione” è un metodo classico da Chardonnay con 36 mesi sui lieviti, sicuramente un calice più complesso con un equilibrio naso-bocca sorprendente dopo 6 anni di maturazione. È un vino che riempie di sensazioni, la cui armonia crea una degustazione molto piacevole. Primo spumante prodotto dall’azienda ed è il risultato di una vinificazione iniziata nel 2015 e volutamente non uscita in commercio nei primi tre anni per capirne l’evoluzione. Il colore è ammaliante, i sentori che si percepiscono sono evoluti, il vino è da assaporare in due o tre sorsi per apprezzarlo e capirlo fino in fondo ma comunque vivace, energico. La prima sensazione che arriva è di frutta esotica, poi si aggiungono ricordi di burro fuso, torrone, nocciola tostata. Sul finale ritroviamo anche aromi di sottobosco, di cipria. Dotato di una grande struttura, mostra un bilanciamento incredibile tra la freschezza e l’acidità.
Il vigneto dello Chardonnay è una particella a sé su un quarto di collina non troppo scoscesa che ha un’esposizione a Est/Sud-Est, prende il sole praticamente dalla mattina alla sera e c’è una ventilazione costante che evita il problema delle muffe. Di base c’è sempre una leggera ventilazione serale proveniente dalla Liguria e questo è uno dei motivi che accorda l’armonia e concede un insieme omogeneo di profumi e sentori che affascinano.
Sono un'Archivista Digitale nel campo editoriale, dedico la mia vita ai libri perché come dice Kafka "un libro rompe il mare ghiacciato che è dentro di noi". Così lo è anche il vino. Lui mi ha sempre convinto in qualsiasi occasione ed è per questo che dal 2018 sono una Sommelier Fisar, scrivo e racconto con passione sui miei canali e in varie testate giornalistiche la storia dei territori, gli aneddoti e il duro lavoro dei Produttori in vigna e in Cantina. Ho seguito un corso Arsial al Gambero Rosso Academy sulle eccellenze enogastronomiche del Lazio e presto servizio in varie eventi per il Consorzio Roma Doc e per il Consorzio Tutela Vini Maremma. Inserita con orgoglio in Commissione Crea Lab. Velletri come membro esterno per le degustazioni, sogno e aspiro a diventare con il tempo una vera giornalista.
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