Da qualche anno l’enologo Vincenzo Mercurio è alla guida di un grande progetto ambizioso volto alla valorizzazione dei vigneti appartenenti alla storica Cooperativa di Solopaca (BN), una delle aziende più grandi della Campania, fondata nel 1966 dagli iniziali 25 Soci.
Il Progetto IDENTITAS, partito nel 2019, prevede una macro-zonazione dei 1100 ettari di vigneti, appartenenti agli attuali 600 soci viticoltori, e la vinificazione separata delle uve da essi provenienti. L’obiettivo è quello di operare una particolare selezione di queste vigne in base alla matrice geo-pedologica, studiare le diverse espressioni e potenzialità di invecchiamento, attraverso l’utilizzo di ceppi di lieviti territoriali, evidenziando le variabili genetiche e ambientali che determinano la qualità dell’uva, operando scelte di processo e funzionali a modulare aspetti qualitativi dei vini.
Dopo diverse prove sperimentali, con la vendemmia 2021 si è giunti alla realizzazione della linea “Selezione ORO” – che ho avuto la possibilità di assaggiare allo stand della Cantina all’interno del festival – identitaria di un territorio, dotata di grande forza stilistica.
Identitas – Assemblaggio di Falanghina del Sannio.
In occasione della XI Edizione del Paestum Wine Festival organizzato a marzo nell’Ex Tabacchificio SAIM di Borgo Cafasso da Angelo Zarra, Ceo di Zeta Enoteca e fondatore di Divini Assaggi Magazine, abbiamo avuto il piacere di partecipare non solo ai numerosi banchi d’assaggio ma a diversi incontri con esperti del settore.
Ingresso al Paestum Wine Festival
La Masterclass “La ricchezza della falanghina e la diversità dei suoli. In anteprima nazionale i risultati delle microvinificazioni alla Cantina di Solopaca” di cui vi parleremo, condotta da Luciano Pignataro, giornalista enogastronomico, Vincenzo Mercurio, Enologo e Consulente della Cantina Solopaca e Rosa Falluto, esperta sommelier, ha mostrato quelli che sono i continui esperimenti fatti in quest’area, nella fattispecie della Falanghina del Sannio.
Dalle parole introduttive di Luciano Pignataro: “Quella che presentiamo stasera è una degustazione sperimentale, si tratta di capire come la Falanghina modifica il proprio atteggiamento nel corso della vinificazione rispetto al territorio in cui viene prodotta.”
I Relatori presenti alla Masterclass: da sx Rosa Falluto, Vincenzo Mercurio e Luciano Pignataro
La Falanghina è sicuramente un vitigno delicato, non perché non abbia la forza di resistere allo stress, ma è capace con la sua sensibilità di trasmettere quella che è l’influenza del suolo e del suo clima. È il vitigno della Campania che riesce – e questa degustazione ha sortito l’effetto – a leggere il territorio in cui è cresciuta.
Vincenzo Mercurio racconta: “Sono quattro le Falanghina impiegate nella sperimentazione che abbiamo condotto nell’ ARS – Centro di Ricerca e Sviluppo della Cantina di Solopaca, una Cantina importante che ha la responsabilità di tracciare una strada e di fare ricerca, di studiare il territorio per valorizzarlo e per consentire soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici di poter modificare le tecniche viticole ed enologiche in modo da contrastare tutto quello che sta accadendo. Nella cantina sperimentale ci sono molti vini, ma oggi abbiamo ritenuto interessante condividere con voi quello che potremmo definire una sintesi di questo progetto.”
Sono esempi di Falanghina che nascono in ambienti tipici di Solopaca perché, in questa fase degli studi, i vigneti coinvolti sono tutti all’interno di questo Comune. È una microzonazione comunale. Sono state operate lunghe macerazioni sulle bucce che hanno portato a colori molto intensi, ad una estrazione della componente tannica che è stata la chiave di lettura di questa degustazione. Vini estremamente puliti, eleganti, vivaci nel colore, e questo fa capire quanta cura c’è in primis nelle vigne. Hanno tutte lo stesso procedimento enologico e non fanno passaggio in legno; ci sono elementi comuni che caratterizzano i quattro calici: dai sentori classici di banana alla frutta esotica, con una bella freschezza gustativa, una trama tannica sottile, un equilibrio tra acidità, sapidità e tannini, differenze sostanziali che aiutano a riconoscere questi vini anche alla cieca.
Rosa Falluto afferma: “È bellissimo il lavoro che stiamo facendo con Vincenzo perchè stiamo lavorando su un progetto specifico di zonazione per vedere come la Falanghina possa cambiare espressione in base all’altitudine, ai terreni, al clima. State assistendo ad una degustazione mai vista finora.”
Ma veniamo alla descrizione del territorio e all’analisi nel dettaglio dei vini assaggiati:
Siamo ai piedi del Monte Taburno Camposauro, due giganti che guardano al matese in una splendida valle percorsa dal fiume Calore che disegna in maniera gentile un flusso sinusoidale con delle belle anse. C’è una distribuzione di suoli che è influenzata da un lato dal Monte Taburno e dall’altro dal fiume. Due elementi importanti che ritroviamo nel calice.
Campione F20 Padulo Falanghina Benevento Igp 2021
Campione proveniente dalla vinificazione di uve coltivate nella bassa Valle Telesina detta del Calore, nella zona di Padulo.
I delicati sentori di banana manifesti acquistano complessità con i fiori gialli come la ginestra e la mimosa, per ritrovarsi su note di frutta dolce, più evoluta, a polpa gialla come il mango. Il suo sorso fresco mostra un leggero tannino dolce seguito da una bella sapidità durevole e tenace. La nota fruttata che si percepisce nell’immediatezza con il passare del tempo diventa cedro candito accompagnato da un finale di nocciola.
Campione F14 Falanghina Benevento Igp 2021
Saliamo di altitudine, a circa 200 metri di altitudine, stesso versante/esposizione: dal fiume verso il Monte Taburno ci sono due livelli di terrazzamenti; i primi, Creta Santianni e Sant’Andrea, dai quali arriva questo secondo calice, derivano da una forte componente ciottolosa, ben drenati, con una grande presenza di materiale vulcanico. Sono suoli sabbiosi sciolti con ceneri, ghiaiosi che rappresentano una traccia comune di questi vini.
Rispetto al precedente campione, al naso la frutta a polpa gialla è stata sormontata da un ventaglio di erbe aromatiche marcate (soprattutto il timo) dovute oltre ad un motivo geologico anche alla presenza su queste montagne di tantissime erbe officinali e medicinali. Erbe medicamentose che secondo antiche leggende erano impiegate nelle pratiche magiche delle Janare, le streghe beneventane che erano solite incontrarsi su questi Monti per preparare degli unguenti come il “Sussurro delle streghe”, che permetteva loro di diventare incorporee come il vento.
Tornando più volte al calice la natura aromatica delle erbette officinali si fonde con una bellissima nota leggermente affumicata che regala piacevolezza e profondità. La sua beva presenta struttura e acidità importanti, tannini dolcemente palpabili e una costanza nel tempo che non si esaurisce.
Campione F13 Falanghina Benevento Igp 2021
Saliamo fino a vini più estremi: siamo nella Contrada Cerro del Duca Tazzi, al di sopra di Solopaca, ad un’altitudine superiore, con una componente ghiaiosa più abbondante, terreni che danno una maggior freschezza. A partire dai suoi caratteristici sentori di frutta, la sensazione olfattiva declina verso sfumature più evolute di erbe aromatiche ed evolve in maniera decisa sulla nota affumicata. È un bianco con l’anima di un rosso dall’impronta color oro luminoso e dai tannini importanti ma armonici e garbati.
Campione F16 BAGNO – TORE Falanghina Benevento Igp
Ci troviamo in un’altra zona costituita da tufo che risale a 39000 anni fa, giovane dal punto di vista geologico, e terreno fluviale, dove c’è stress idrico. Tutto questo porta nel calice una componente più sapida che domina, facilmente riconoscibile e distintiva rispetto agli altri campioni, più potassio (si hanno reazioni totalmente diverse della Falanghina), un tannino più spigoloso, più presente, pungente.
In questo quarto calice ha la meglio la nota citrina di lime e la salinità accentuata che accompagna un’acidità tale da impartire una piacevole sensazione di freschezza gustativa ben equilibrata che vivacizza l’intero quadro organolettico. Un sorso dalle tante sfaccettature di Falanghina che invoglia ad una seconda beva.
Completamente diverso dagli altri tre campioni, risente della presenza delle tante eruzioni nel corso dei millenni, la maggioranza delle quali sono avvenute alle spalle del Vesuvio depositandosi sull’Irpinia e sul Beneventano. Fenomeno eruttivo diverso da quello che distrusse Pompei dove collassò la colonna di 20000 metri in pochi minuti verso la costa.
Dalle parole di Luciano Pignataro: “Gli antichi romani avevano diviso la zona di produzione del Falerno del Massico in tre fasce: la fascia bassa, la fascia media costituita dal campione 2 e 3, e la fascia alta. Il vino più pregiato era nella fascia media perché le altre due fasce costituivano due estremi tra di loro completamente differenti.
A prescindere dai gusti, io berrei il quarto tutta la vita ma da un punto di vista commerciale dobbiamo sempre pensare a quello che piace alla maggioranza delle persone. È chiaro che oggi un blend tra il secondo e il terzo calice della fascia media sarebbe in una degustazione alla cieca probabilmente quello vincente.”
Come sappiamo la maggior parte della Campania è formata da suolo vulcanico ma nella zona di Solopaca inizia un’altra geologia, quella dolomitica, di rocce emerse. Questo fa sì che i vini provenienti da queste zone vulcaniche abbiano un preciso riscontro, una nota amara caratteristica nel finale e soprattutto l’aspetto salino che contraddistingue il quarto vino.
Gli studi sperimentali finora operati dalla Cantina di Solopaca servono ad individuare la strada da intraprendere per indirizzare la propria produzione e permettono di fare delle selezioni che solo le aziende di grandi dimensioni possono fare sfatando il detto (o il pensiero) di chi dice che “ciò che è piccolo è buono, vero, onesto”.
In questo caso è proprio la grandezza e la grande disponibilità di ettari su cui lavorare che dà la possibilità di fare questo tipo di selezione.
A questo punto ci domandiamo: quale sarà la prospettiva di questo studio sperimentale? Qual è lo scenario che possiamo immaginare?
Vincenzo Mercurio ci toglie qualche dubbio: “Le prospettive intanto sono quelle di indirizzare il socio verso un certo tipo di viticoltura e per la Cantina l’opportunità di accogliere in momenti differenti e vinificare con tecniche diverse le uve provenienti da zone caratterizzate da fattori comuni come la pedologia e la geologia. Quindi una mappatura che ci consente di applicare delle conoscenze anche su un vino come per esempio “Identitas”, costituito da un assemblaggio di circa 20 territori di Falanghina che rappresenta un sunto di tutte queste zone ovviamente con un’altra tecnica, un’altra filosofia produttiva. Sono stili diversi di un prodotto che riesce a raccontare questo territorio perché ci sono vitigni che sono molto più prepotenti mentre la Falanghina è estremamente sensibile. Ci sono differenze abissali in questi quattro calici, per cui tutto questo ci induce a lavorare con maggiore attenzione in vigna e poi in Cantina. Molti precursori di aromi sono inattivi in gioventù, quindi non percepibili, ma lo diventano poi con il tempo; quindi l’idea di intuire dove ci sono le maggiori concentrazioni di questi aromi e con quali tecniche agronomiche possono essere valorizzati per noi rappresenta un grande traguardo da raggiungere.”
Dalle evidenze emerse durante la degustazione, premesso il grande lavoro di partenza e i risultati raggiunti finora, per chiudere il cerchio dovremmo attendere eventuali sviluppi futuri.
Dopo aver assaggiato i quattro campioni abbiamo la certezza che la strada è buona, da percorrere in continuità come anche ci auspichiamo che queste falanghine trovino il giusto compromesso, tassello dopo tassello a comporre un puzzle costruito sulla base delle caratteristiche peculiari e della loro qualità in ottica di un mercato sempre più concentrato sui vitigni autoctoni in purezza.
Sicuramente la tecnologia aiuta in un percorso di qualità ma la natura ha sempre l’ultima parola. Non la natura astratta ma le condizioni pedoclimatiche che qualificano questo territorio da una parte e la natura umana che valorizza la viticoltura sannita dall’altra.
Sono un'Archivista Digitale nel campo editoriale, dedico la mia vita ai libri perché come dice Kafka "un libro rompe il mare ghiacciato che è dentro di noi". Così lo è anche il vino. Lui mi ha sempre convinto in qualsiasi occasione ed è per questo che dal 2018 sono una Sommelier Fisar, scrivo e racconto con passione sui miei canali e in varie testate giornalistiche la storia dei territori, gli aneddoti e il duro lavoro dei Produttori in vigna e in Cantina. Ho seguito un corso Arsial al Gambero Rosso Academy sulle eccellenze enogastronomiche del Lazio e presto servizio in varie eventi per il Consorzio Roma Doc e per il Consorzio Tutela Vini Maremma. Inserita con orgoglio in Commissione Crea Lab. Velletri come membro esterno per le degustazioni, sogno e aspiro a diventare con il tempo una vera giornalista.
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