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In casa Velenosi nasce una Ninfa e il Ludi in verticale non delude – Presentata a Roma la nuova etichetta e festeggiati i 20 anni del vino top

Si chiama Ninfa: ed è un rosso da 14,5° di alcol.

Un errore? Una svista? No. Anzi! Una scelta programmata e riuscita (con dentro quel drive intelligente, ma non arrendente, al mercato che è da sempre nelle corde della casa) e un battesimo anticipatore dello stile del vino – accogliente, leggiadro, seduttivo, privo di asperità frenanti – che va incontro alle tendenze transnazionali del gusto e insieme ricolloca e rivalorizza i vitigni per semplicità definiti “internazionali” che, nella trama delle scelte dell’azienda, usati, ma sovrastati dal Montepulciano nel vino di maggior prestigio e incalzati dalla spinta delle altre varietà indigene, erano un filo fuori proscenio.


Angela e Marianna Velenosi (madre e figlia, con l’altro rampollo della famiglia assente nell’occasione, ma presente sempre più in cantina) hanno scelto la premiata ditta romana Pipero come sede del debutto.

Alessandro Pipero e Marianna Velenosi

E al di là della affettuosa quanto facile battuta sulla partnership – in una serie sugli abitanti dell’Olimpo e dintorni Alessandro Pipero potrebbe facilmente interpretare, a scelta, o l’attivissimo Efesto o il gran cerimoniere dei satiri capitolini – la cucina della casa con i vini nuovi e vecchi (nell’occasione si sono celebrati anche i vent’anni dall’uscita del primo Ludi, evoluto nel frattempo da Rosso delle Marche a figlio orgoglioso della Docg Offida, con una verticale dalla prima edizione appunto (la 1998) fino alla attuale in rampa (la 2018) ha marciato, è il caso di dire, da dio.


A contorno, e ad aprire, altri florilegi della truppa nutrita e assortita (oltre due milioni di pezzi in media all’anno) che è ormai la produzione targata Velenosi: le bolle di lungo corso della Grand Cuvée Gold 2010; il sorso centrato dell’altro pilastro ormai storico della gamma, il Roggio del Filare Rosso Piceno DOC Superiore 2018; il bianco Rêve Offida DOCG Pecorino 2019 e il back home” (Angela è abruzzese, nata sul versante teramano de Tronto e poi “migrata”oltre il fiume) Verso Sera Colline Teramane Docg 2019 (e quindi Montepulciano d’Abruzzo 100%).
Quanto alla neonata, la Ninfa Marche IGT Rosso 2019, blend a dosaggio annualmente variabile di Cabernet Sauvignon, Merlot,  Montepulciano e Syrah fermentati separatamente in acciaio, elevati in fusti da 300 litri per periodi compresi tra l’anno e mezzo e i due, e quindi assemblati e ulteriormente affinati in vetro, nel calice interpreta a puntino il ruolo cui è destinata: accogliente e “fruttosa”, speziata al punto giusto e rinfrescata da una misurata vena balsamica, si beve con facilità, ma non in modo superficiale. Fatta per piacere, piacerà. Ma è fatta gran bene. E ha un prezzo “leggero” come la figura evocata dal nome.
Quanto ai Ludi, non deludono. Altra stoffa, altro calibro, altro destino ovviamente. Con il 1998, il grande vecchio, a fare bravamente il suo 23 anni dopo la vendemmia, e a nobilitare il blend originario (Syrah, Montepulciano, Cabernet e Merlot) con espressioni evolute ma perfettamente bilanciate tra cioccolata, spezie, frutta secca, disidratata e in confettura, e tenendo in bocca la nota per una lunghezza da tenore.
Sorprendente il 2002 (annata sulla carta certo non da… campionato) ma ancora in forma. Già “alleggerito” del Syrah, Montepulciano all’85%, bordolese fifty-fifty per il restante 15%, marca alcune delle stimmate di un millesimo meno propizio, ma le riscatta “girando” su espressioni più terrose e “boscose”, e nuance di tabacco scuro. Regge la beva, e anche il confronto a tavola. Che anzi gli giova.
L’asticella risale – e non di poco – con il morbido e solido 2010, annata – al contrario – di grazia, madre di un Ludi avvolgente e di stoffa insieme morbida e solida. Il blend è praticamente identico al precedente (stessa dose di Montepulciano, praticamente simile quella dei due alloctoni) ma l’esito è decisamente più fascinoso.
Quanto all’ultimo nato, il 2018, stessa ricetta dei due precedenti, barrique per un anno a fissarne le forme, è uno di quei vini per cui di primo acchito è facile sentire commenti tipo “tanta roba”. Perché ce n’è. E molto assortita. La spezia scura evidente, la nota balsamica di contrasto, il frutto intenso e denso del Montepulciano, la nota calda, alcolica (ma integrata, e con tannini importanti ma non esagerati, evidentemente assistiti da sufficiente acidità) che è quasi inevitabile stimmata delle ultime annate; e però anche un refolo profumato di frutta rossa più chiara che rifinisce la beva. Già pronto, e con strada. Come vuole il copione dei rossi territoriali ma contemporanei, aperti da subito al confronto a tutto campo.

 

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