Per chi si fosse perso la prima puntata, questo è il link: https://vinodabere.it/il-cuore-di-uno-chef-il-racconto-noir-di-giovanni-monticelli-prima-puntata/
Seconda Puntata (capitoli 5,6,7,8)
Capitolo 5
Dirigersi a passo lento verso la trattoria da Irma al porto, per il maresciallo Nespeca è gesto naturale, come ordinare il Cacciucco che a lui non piace ma serve per borbottare critiche in dialetto sambenedettese stretto al piatto, nei confronti del suo amato brodetto asprigno con pomodori verdi e peperoni con le giuste varietà di pesce locale adriatico, quelle e basta. In realtà da Irma si sentiva a casa, ma soprattutto trovava un bianco fresco
di produzione isola del Giglio salmastro sapido gradevole, e il pensiero correva al suo amato bianco Falerio di casa.
L’è piaciuto maresciallo?
Bono. È un papparozzu ma è bono.
Caffè? Con un goccio di sambuca grazie.
Nuovo mezzo sigaro toscano, profumato di fresco. Dove era stato buttato in mare il corpo, per arrivare nel porto trascinato dal maestrale dei giorni passati, denunce di scomparsa, ambiente di lavoro. Un ospedaliero, un cuoco, un camice. In apparenza ‘na sciapata. Due parole con il medico legale serviranno sicuramente.
Probabilmente era già morto quando gli hanno aperto il petto. Dichiarò il medico legale mentre sorseggiava il caffè. Abbiamo richiesto ulteriori analisi di alcuni tessuti alla scientifica di Firenze per accertare presenza di sostanze tossiche. Hanno sfondato lo sterno con un attrezzo metallico tagliente ma non affilato, da mano inesperta, il lavoro è stato facilitato dal fatto che era stato già aperto da un intervento chirurgico importante, forse un trapianto, da ciò che è possibile vedere. Ecco accuscì. Vuole un caffè maresciallo? Grazie dottore ne ho bisogno. Il caffè nei bicchierini di plastica non era di suo gradimento ma non aveva scelta.
Mi informi se scopre altri particolari.
Il pomeriggio di ottobre con il tepore del sole sulla pelle lo aiutò a riprendersi dal disagio che provava sempre quando entrava nell’ambulatorio di medicina legale, quell’odore di disinfettante, metallico, di morte e il freddo perenne dei condizionatori, gli toglievano il respiro. Amava guardare il caricamento dei traghetti e le manovre di attracco e partenza, incantato come un bambino. Lo aiutava a riflettere.
Perché prelevare un cuore da un cadavere, forse un rito satanico, proprio da una persona che aveva subito un trapianto. Le coincidenze non esistono, lo aveva imparato.
Capitolo 6
La serata al Galeone era di quelle che si ricordano e segna la carriera di un cuoco e del suo ristorante, si presentava la guida Chef Gold con sponsor il gruppo San Giovanni. Centoventi invitati, menu impegnativo studiato nei minimi particolari da Barili e i suoi collaboratori:
Tiramisù salato in cialda
Tartare di cervo e cefalo
Bombolone ripieno di carne
Cappelletti ripieni di cinghiale in brodo di abete
Cubetti di tonno marinato e cervello di agnello fritto
Carne di diaframma carciofo e katsuobushi
Seppia giovane e fegato grasso
Gnocchi non di patate alla royale di piccione
Lingua, nocciole e aglio nero
Montblanc rivisitato
Scelta dei piatti che abbracciava le diverse esperienze di Barili e imponeva un’organizzazione in cucina e nel servizio imperiose.
Tensione altissima e inizia il servizio.
Barili si aggirava vorticosamente nella cucina e redarguiva con determinazione le incertezze della squadra, un dolore al centro del petto lo tormentava dalla mattina, ma aveva altro a cui pensare.
Tutto stava filando alla grande, a tre portate dalla fine, un rumore di piatti fracassati a terra attira l’attenzione di alcuni cuochi nelle vicinanze e vedono Barili rovinare a terra senza perdere conoscenza. Non respiro disse
No niente ambulanza, rovinerebbe la serata, qualcuno mi accompagni in ospedale. Voi continuate. Enrico prendi tu il comando della cucina. Fatemi sapere.
A fine cena applausi calorosi per il menu e per l’intera brigata di cucina presente in sala con sorrisi di circostanza.
Alex Barili si scusa molto con voi, ma è dovuto correre al pronto soccorso per un taglio alla mano procurato da coltello e si augura che la cena sia stata di vostro gradimento. Applausi e grida di approvazione.
Dopo pochi giorni, diviso tra la soddisfazione della serata e la preoccupazione del dolore che non accennava a diminuire, pensava di aver scampato il peggio.
Improvvisamente non sentì più rumori e voci, vide medici e infermieri agitarsi intorno al letto, poi una infermiera che saltava con tutto il corpo sul suo petto, chiuse gli occhi perché aveva una gran voglia di dormire.
Si risvegliò in un ospedale che non conosceva, intubato senza poter parlare e circondato da monitor con numeri colorati.
Non si sforzi, non può parlare, ha subito un trapianto di cuore, gli disse un medico.
Non riusciva a pensare. Non capiva. Vedeva la moglie e i figli dietro un vetro, piangevano e allora pianse anche lui.
Notti in bianco dai dolori, supplicava antidolorifici e una bottiglia di acqua frizzante, il giorno anche peggio tra esami e medicazioni.
Un mese dopo un virus maledetto gli perforò l’intestino, fu operato d’urgenza in piena notte e si svegliò con un sacchetto di plastica appiccicato alla pancia, le abbiamo tagliato l’intestino e fatto una colostomia, tra qualche tempo si potrà togliere se non ci saranno complicazioni.
Tra quanto? Almeno un anno.
Dialisi, sacchetto, cuore di altra persona, il suo corpo lo aveva abbandonato e lui non accettava quelle menomazioni e la domanda si ripeteva incessante: perché non mi avete lasciato morire.
Dopo sei mesi di ricovero, a pochi giorni dal Natale, complicazioni a catena, incazzature furiose per il cibo scadente, rassegnato, fortemente dimagrito, senza muscoli e nella testa incubi terrificanti, paura e luoghi inesistenti da film horror, presenti parenti e amici, la sua amata nipote coinvolta in un doppio gioco di spionaggio tra Irlanda e Gran Bretagna, passaggi di documenti tra i traghetti ormeggiati in porto utilizzando le catene di ancoraggio,
acqua tanta acqua sempre e mancanza di aria e di respiro.
Ritornò nella sua Viareggio in ambulanza. Non era più lui, demotivato, era stato lasciato ignaro dei problemi del ristorante. Senza la sua presenza i clienti erano diminuiti e il buon andamento del ristorante ne risentiva, nonostante Enrico Mazzarini -il suo vice- avesse fatto un ottimo lavoro nella conduzione della cucina.
Non era più lui, si chiedeva perché non fosse morto come il suo idolo musicale Lucio Dalla, perché un cuore a lui, un cuore di chi batteva nel suo petto. Lo confortava solo la vista del mare
Capitolo 7
Tornato in ufficio, sulla scrivania ingombra di fogli, ma senza soprammobili né fotografia da famiglia felice, perché non ne aveva, accese il computer e con la solita difficoltà iniziò a vedere notizie di persone scomparse che potevano essergli utili. Il maresciallo Nespeca chiamò il vicebrigadiere Tagliamonti per vagliare le denunce di scomparsa lungo le località della costa a nord di Livorno. Per iniziare.
Sarà un lavoro lungo e noioso brigadiere, confido nella sua precisione. Mi aggiorni appena ha un quadro completo. Buon lavoro.
A casa la sera con birra fredda e panino preso dal tunisino all’angolo sprofondò sul divano davanti la televisione. Iniziò a guardare ‘C’era una volta in America’, versione integrale, sapeva che sarebbe durato alcune ore e ne fu felice, non sarebbe rimasto solo nelle lunghe notti insonni.
Sapeva le battute a memoria, ogni tanto si distraeva e pensava al reggiseno nero della magistrato e sognava la camicetta di seta aprirsi bottone dopo bottone.
Capitolo 8
Alex Barili il famoso Chef da riviste patinate di settore internazionali era morto la sera della famosa cena per la guida Chef Gold, un trionfo.
Era consapevole di essere un sopravvissuto, prigioniero di un corpo non suo che rifiutava.
Non per il cuore di un’altra persona, quelle sono considerazioni da canzone d’amore. La dialisi gli tagliava le gambe tre volte a settimana e lo privava di energia vitale. Il ristorante funzionava grazie alla professionalità del suo vice Mazzarini, il suo ruolo era mettersi la giacca da Chef e girare per la sala a salutare i clienti. Poi si dirigeva nel suo ufficio e si sdraiava esausto sul divano, ansimando.
Non si occupava più della cucina e del menu, in realtà aveva perduto ogni interesse.
Passava molto tempo a letto a leggere e vedere film sul tablet. Aveva iniziato i racconti noir di Jean-Claude Izzo, La trilogia di Fabio Montale, si respirava il mare di Marsiglia, il suo Tirreno.
Un giorno, prima dell’arrivo della brigata di cucina, volle cimentarsi a fare un piatto di mare, una pasta con la gallinella appena consegnata. Fumetto, una parte di polpa in infusione a crudo, una parte per la salsa con fico e pinoli, spaghetti ripassati in padella e guarniti con gocce di limone e gallinella cruda ed erba cipollina. Il profumo non era male.
Si abbassò a prendere il piatto nello scaldavivande sotto il tavolo e rialzandosi la testa gli
iniziò a girare, perse l’equilibrio e cadde rovinosamente a terra. Il rumore del piatto fracassato fece accorrere Hamid, inserviente indiano, che lo aiutò a rialzarsi da terra.
Grazie Hamid, va meglio non si preoccupi. Lo disse senza convinzione con gli occhi umidi.
È finita, pensò tra sé. Non ha più senso rimanere.
Percepiva gli sguardi compassionevoli del personale e dei clienti che avevano iniziato a capire la vera situazione, al di là dei sorrisi di circostanza.
Pensava sempre più spesso al suicidio, ma non trovava il coraggio.
Una sera uscì in sala per il solito saluto ai clienti, vide a un tavolo una coppia di anziani vestiti modestamente e imbarazzati, soprattutto lui.
Piacere Eros Giannelli, lei è mia moglie Ines.
To be continued
Immagine di copertina realizzata da Sabrina Signoretti
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