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Il Cuore di uno Chef – Il Racconto Noir di Giovanni Monticelli – Pubblicazione Integrale

Abbiamo deciso di pubblicare in questo articolo l’intero noir, per chi avesse voglia di leggere in un’unica soluzione (e non a puntate) il racconto “Il Cuore di uno Chef”.

Introduzione

Ho voluto raccontare la mia dura vicenda di salute nascondendomi tra le pieghe di un noir tirrenico, il mio mare di gioventù rimasto nel mio animo, pur avendo cambiato sponda nelle Marche adriatiche.
Un trapianto di cuore a Bologna e mille traversie, devo la mia vita alla sanità pubblica, al personale medico, infiermeristico, sarò per sempre grato e cercherò con ogni mezzo di difenderne il valore assoluto di grande civiltà e conquista sociale.
Il cuore è il centro di ogni nostro riferimento umano, amore, emozioni, passioni, sensibilità, metafora di vita e significato del nostro passaggio terreno, metafora del nostro rapporto con il prossimo, con l’altro da noi, il diverso. Non a caso devo prendere farmaci per abbassare le difese immunitarie e fare accettare un estraneo al mio corpo, devo rendere poroso il mio confine personale, accettare il diverso.
Forse nella tragedia e nella sofferenza si presentano occasioni per riflettere e migliorare.
Vi chiedo perdono per la trama noir esile, però di atmosfera.

Ringrazio Sabrina Signoretti per la realizzazione dell’immagine di copertina.

Buona lettura

Capitolo 1

Area del porto di Livorno una notte di pioggia. Il corpo riverso a terra scomposto era stato ripescato in mare dai sommozzatori dei vigili del fuoco. Il medico legale dopo l’arrivo del magistrato inizia una ispezione visiva. L’acqua del mare ha già fatto ampi danni sul corpo dopo giorni, viene girato e una leggera smorfia di disgusto compare sui volti dei presenti, il costato è aperto tagliato malamente da mano non esperta. La torcia illumina l’interno. Il

medico legale si rivolge al magistrato con voce baritonale: non c’è il cuore!

Il volto è irriconoscibile, un lembo di stoffa è incastrato tra le costole del cadavere, doveva essere di colore chiaro, tessuto consistente liscio semplice, un gilet, forse una giacca da lavoro, una divisa, una giacca da cuoco. Forse.

Ne sapremo di più dopo le analisi in laboratorio. Dottore aspetto le sue considerazioni del caso nel mio ufficio.

La dottoressa magistrato si allontana infreddolita nella umidità fetida del porto, tacchi bassi e vestito elegante sotto il cappotto nero lungo, era a una festa al circolo ufficiali della Accademia Navale quando l’hanno avvertita di correre al porto.

La mattina la relazione del medico legale è in bella evidenza sulla sua scrivania. Il corpo era in acqua da 48 ore, la morte risale a poche ore prima, età apparente 60 anni, il cuore è stato prelevato prima di essere gettato in mare, con un taglio sgraziato da attrezzo in metallo, il lembo di stoffa è di un cotone solitamente usato per giacche da lavoro. Una piccola macchia di caffè sui fogli era la firma solita del medico legale, ne abusava per rimanere

sveglio durante le autopsie. Dottor Domenico Ortolani da Foligno, taciturno e ombroso, soprannominato caffè /accuscì, perché erano le uniche parole pronunciate durante le interminabili autopsie oltre alla descrizione scientifica naturalmente.

Capitolo 2

Il sole picchiava come un martello nelle piazze nude della bassa, a Cerqueto Virgiliese, non si muovevano neanche le strisce di plastica colorate del bar, da pochi mesi diventato Risto-bar con un tocco dirompente di modernità.

I coniugi Giannelli, Eros e Ines, erano assorbiti dai consueti lavori di campagna nella loro casa alla periferia del paese. Ad uno sguardo superficiale. In realtà occupavano il tempo in lavori inutili e senza senso, soprattutto la Ines. L’orto oramai era semi abbandonato, i campi in lontananza erano coperti da lugubri pannelli fotovoltaici, resisteva qualche pianta di pomodoro senza canne e alcuni animali di bassa corte razzolavano liberi, inclusi due conigli.

Abbigliamento trascurato, non scambiavano parola, il trattore parcheggiato sotto la tettoia del capanno con ancora attaccato un attrezzo da lavoro. Era così tra loro dal giorno del funerale del figlio Alfio, esattamente un anno prima a Giugno. Quelli della impresa funebre avevano fatto un buon lavoro, camuffando gli ematomi conseguenti alla caduta in moto e soprattutto niente lasciava intuire al taglio profondo del petto per l’espianto del cuore. I genitori avevano dato il consenso alla donazione, a dire il vero solo il padre Eros. Di questa decisione la moglie non lo aveva perdonato e si era chiusa in un funereo silenzio. Riusciva a mantenere solo il rito dei pasti, in modo automatico, senza entusiasmo.

Un giorno Eros tornò dalla città e disse: ho saputo il nome di chi ha ricevuto il cuore di Alfio, dobbiamo andare a Viareggio.

Capitolo 3

Mi chiami il maresciallo Nespeca per cortesia chiese la Magistrato alla sua collaboratrice. Maresciallo dei carabinieri Emidio Nespeca da San Benedetto del Tronto, investigatore di prim’ordine, 46 anni mal portati, un poco di pancetta e collo corto, pelle rugosa in volto dalla salsedine, in servizio da sempre in mare sulle vedette dei carabinieri del comando di Pescara, allontanato per una inchiesta interna in cui rimase coinvolto, poi assegnato ai

servizi a terra. Vi prego mandatemi in un posto di mare, almeno lo posso vedere, senza il mare muoio. Venne spedito a Livorno cinque anni fa e assegnato alla polizia giudiziaria al servizio della Procura.

Nespeca lei è uomo di mare esperto, non so quanto questo la possa aiutare, mi fido di lei e del suo intuito.

Strinse la mano alla magistrato e non poté fare a meno di notare il colore nero del reggiseno sotto la camicetta di seta. E se ne vergognò.

Dottoressa Eloisa De Dominicis, magistrato alla procura di Livorno, da Parma, brillante e di bella presenza, studi prestigiosi, carriera brillante, 42 anni, sposata con due figli, odia il maree il pesce. Con sguardo preoccupato osserva il maresciallo ingobbito, passo marinaro lento uscire dalla stanza.

Nespeca alla luce brillante del Tirreno, il sigaro toscano ciancicato ripescato dalla tasca della giacca di velluto a coste larghe color verde marcio, fiammiferi di legno, una lunga boccata con il fumo nell’occhio destro, e il pensiero va al reggiseno nero della dottoressa De Dominicis e al leggero appetito vista l’ora del pranzo.

Capitolo 4

Non avevano mai messo piede in un ristorante di lusso e si sentivano a disagio. Il Galeone era il ristorante di Alex Barili due stelle Michelin, candidato alla terza secondo voci dell’ambiente, specializzato in cucina di pesce e cacciagione, panoramica posizione vista mare all’interno di un grande albergo internazionale.

Il maitre alla vista dei due anziani coniugi andò loro incontro con passo svelto, abbiamo prenotato a nome Giannelli.

Un veloce controllo sul librone delle prenotazioni e con fare rassegnato disse “prego mi seguano”.

Dopo l’ordinazione formale, senza capire nulla delle spiegazioni del cameriere, si guardarono intorno alla ricerca del signor Barili come lo chiamava Eros Giannelli, mentre la moglie Ines semplicemente “quello”.

Mangiarono svogliatamente senza capire cosa, con un vino bianco toscano consigliato dal sommelier, a Eros non piaceva e non lo nascondeva. A fine servizio finalmente il signor Barili entrò nella sala a salutare i clienti con larghi sorrisi e baciamano alle signore. Tutto bene signori, da dove venite?

Dalla provincia di Mantova, siamo i genitori di Alfio Giannelli, il donatore del suo cuore, disse il padre mentre porgeva la mano.

Nessuno sapeva cosa dire, il silenzio fu interminabile. Passatemi a trovare, parliamo con calma, voglio conoscervi meglio. Ovviamente stasera siete miei ospiti. Continuò il giro dei tavoli dove era atteso.

Tornarono in albergo a piedi, poco distante, in un silenzio senza speranza. Mi sembra una brava persona disse imbarazzato Eros, con gli occhi umidi. Dobbiamo uccidere quel cazzo di cuoco e riprenderci il cuore di nostro figlio- disse la moglie – per seppellirlo in giardino e così sentire i suoi battiti.

Eros distratto da altri pensieri non capì.

Dopo che Ines grazie alle sue gocce prese sonno, Eros si vestì di nuovo e si diresse verso il ristorante.

Barili era seduto al tavolo da solo con un calice di Col Ila e sigaretta, dalla cucina provenivano rumori degli inservienti impegnati nelle pulizie.

Posso parlarle signor Barili? Prego si sieda, speravo che venisse. Mi scusi per prima, ma avevo degli impegni di lavoro e non potevo…

Posso offrirle da bere? Un whisky?

Grazie se è possibile un Lambrusco, in un bicchiere, ne ho bisogno.

Dopo il brindisi di circostanza, tirò giù d’un fiato il bicchiere di un ottimo lambrusco mantovano. Si sentì meglio.

Tormentandosi le mani callose e la fede, incastrata senza speranza nell’anulare, iniziò a parlare.

Nostro figlio Alfio è morto in un incidente con la sua moto in uno dei passi alpini, non ricordo il nome. per me sono tutti uguali, amava fare un giro di una settimana l’anno con un suo amico motociclista nelle strade alpine , per il piacere delle curve e dei paesaggi diceva, il resto delle ferie le passava a darci una mano in campagna. Quando ci telefonarono dall’ospedale di Brunico capimmo solo le parole il signor Alfio Giannelli e poco altro, e di correre

al più presto in ospedale. Noi non abbiamo la macchina solo il trattore e nostro nipote ci accompagnò. In poche ore arrivammo a Brunico e ci dissero che nostro figlio era tenuto in coma, attaccato alle macchine per eventuale donazione degli organi. Mia moglie Ines era contraria. Anche io, però ricordavo che Alfio a cena in casa parlava con un suo amico della scelta razionale di iscriversi alla associazione dei donatori d’organo, il fegato è danneggiato da vino e salsicce però il cuore è buono diceva ridendo.

Convinsi mia moglie a rispettare le volontà di nostro figlio, ma non so se era in grado di capire ciò che stavamo dicendo, aveva lo sguardo vuoto e sentiva mancare le forze. Dissi al medico che davamo il consenso per l’espianto. Alfio era figlio unico e non aveva una fidanzata, almeno a nostra conoscenza. Eravamo noi a decidere, anzi solo io.

Ci dissero che il cuore era in ottima condizione e avrebbero proceduto.

Da quel momento i rapporti tra me e mia moglie si ridussero a poche parole di circostanza, mi odiava per avere dato il consenso di deturpare il corpo di nostro figlio.

Abbiamo separato le camere con mio grande dolore, lei andò nella camera di Alfio e la riempì di foto crocifissi madonne e rosari.

Cercai di sapere tramite il figlio di un amico impiegato nella sanità, il destinatario della donazione del cuore, pensavo potesse placare le angosce di mia moglie conoscere la persona nel cui corpo batteva il cuore di Alfio. E siamo giunti a lei.

Giunse l’alba, le bottiglie di whisky e Lambrusco erano quasi terminate. Eros parlò sempre del figlio e di quanto la vita sua e di sua moglie fossero state sacrificate al benessere dell’unico amatissimo figlio maschio, perito chimico impiegato in una grande industria a Savio e di quanto dedicasse il suo tempo libero a dare una mano alla piccola azienda agricola di famiglia. Uniche passioni la moto e andare in discoteca con gli amici il fine settimana.

Dopo la sua morte l’orto era stato abbandonato e il terreno era stato ricoperto a lapidi nere

di pannelli fotovoltaici.

Alex Barili raccontò la sua brillante carriera di cuoco stellato, 62 anni dalla provincia di Grosseto, le esperienze in Canada, Francia, Hong Kong e finalmente un ristorante tutto suo in Versilia, Il Galeone, prevalentemente pesce e cacciagione, due stelle Michelin. Le sue disavventure sanitarie, il cuore ballerino forse trascurato che era scoppiato improvvisamente senza avvertenze, il trasporto d’urgenza in ospedale a Milano attaccato alle macchine per un trapianto disperato. In attesa di un cuore entro pochi giorni, pena la deperibilità degli organi e il conseguente distacco. Fortunato almeno in parte, il cuore arrivò ma con un giorno di ritardo, aveva già iniziato ad abbandonare gli organi periferici partendo dai reni.

Uscì dall’ospedale con un cuore non suo, un taglio dallo sterno allo stomaco e i reni fuori uso con conseguente dialisi. La sua presenza al ristorante era di pura formalità per tenere una immagine pubblica, ma la cucina sofisticata famosa per gli abbinamenti spiazzanti era in mano a suoi fidati collaboratori.

Combatteva la depressione con il whisky torbato e sigarette, durante la chiacchierata notturna ne aveva fumate un pacchetto di Camel a cui toglieva il filtro.

C’era di peggio, all’ultima biopsia di controllo gli era stato diagnosticato un rigetto irreversibile che lo avrebbe portato alla morte o ad un eventuale secondo trapianto di cuore dagli esiti poco rassicuranti, quasi scontati.

Ricominciare da capo non me la sento, meglio morire. Si accese l’ennesima sigaretta e si versò l’ultimo whisky rimasto.

Le farebbe piacere, meglio, gioverebbe alla vostra serenità riprendervi il cuore di vostro figlio?

Chiese a Eros mentre beveva la fine della bottiglia di Lambrusco che gli andò di traverso.

Mi scusi signor Barili non ho capito che vuole dire?

Dico che per me è la fine, non voglio farmi operare di nuovo e uscire dall’ospedale con nuove menomazioni, sacchetti attaccati al corpo e schifezze varie, finire accudito a letto come una larva e farmi i bisogni nel pannolone. No piuttosto meglio farla finita. E allora uscire di scena con un gesto nobile. La faccio finita e riprendetevi il cuore di vostro figlio se questo può rendervi pace e serenità, certamente non rendervi la sua vita. Un luogo dove piangere il suo cuore che io inconsapevolmente ho portato nel mio petto.

Vi chiedo un ultimo favore, l’ultimo viaggio della mia vita vorrei finisse in mare, il mio amato Tirreno, di tramonti e dei bagliori acceccanti nei pomeriggi da bambino, si ritorna sempre alla casa del padre alla fine.

I tavoli di fòrmica verde, gli spaghetti con le telline, la sabbia da pulire, un bacio non dato, un bagno al crepuscolo in spiaggia deserta, un amore di fine estate, un tramonto.

Le chiedo di abbandonare il mio corpo in mare dopo aver preso il cuore non mio. Il corpo, questo corpo, non mi appartiene. Ho già procurato una pasticca di cianuro. Dobbiamo metterci d’accordo sui tempi.

Passi a trovarmi domani prima di ripartire, le darò un foglio con le istruzioni necessarie.

Capitolo 5
Dirigersi a passo lento verso la trattoria da Irma al porto, per il maresciallo Nespeca è gesto naturale, come ordinare il Cacciucco che a lui non piace ma serve per borbottare critiche in dialetto sambenedettese stretto al piatto, nei confronti del suo amato brodetto asprigno con pomodori verdi e peperoni con le giuste varietà di pesce locale adriatico, quelle e basta. In realtà da Irma si sentiva a casa, ma soprattutto trovava un bianco fresco
di produzione isola del Giglio salmastro sapido gradevole, e il pensiero correva al suo amato bianco Falerio di casa.
L’è piaciuto maresciallo?
Bono. È un papparozzu ma è bono.
Caffè? Con un goccio di sambuca grazie.
Nuovo mezzo sigaro toscano, profumato di fresco. Dove era stato buttato in mare il corpo, per arrivare nel porto trascinato dal maestrale dei giorni passati, denunce di scomparsa, ambiente di lavoro. Un ospedaliero, un cuoco, un camice. In apparenza ‘na sciapata. Due parole con il medico legale serviranno sicuramente.
Probabilmente era già morto quando gli hanno aperto il petto. Dichiarò il medico legale mentre sorseggiava il caffè. Abbiamo richiesto ulteriori analisi di alcuni tessuti alla scientifica di Firenze per accertare presenza di sostanze tossiche. Hanno sfondato lo sterno con un attrezzo metallico tagliente ma non affilato, da mano inesperta, il lavoro è stato facilitato dal fatto che era stato già aperto da un intervento chirurgico importante, forse un trapianto, da ciò che è possibile vedere. Ecco accuscì. Vuole un caffè maresciallo? Grazie dottore ne ho bisogno. Il caffè nei bicchierini di plastica non era di suo gradimento ma non aveva scelta.
Mi informi se scopre altri particolari.
Il pomeriggio di ottobre con il tepore del sole sulla pelle lo aiutò a riprendersi dal disagio che provava sempre quando entrava nell’ambulatorio di medicina legale, quell’odore di disinfettante, metallico, di morte e il freddo perenne dei condizionatori, gli toglievano il respiro. Amava guardare il caricamento dei traghetti e le manovre di attracco e partenza, incantato come un bambino. Lo aiutava a riflettere.
Perché prelevare un cuore da un cadavere, forse un rito satanico, proprio da una persona che aveva subito un trapianto. Le coincidenze non esistono, lo aveva imparato.

Capitolo 6
La serata al Galeone era di quelle che si ricordano e segna la carriera di un cuoco e del suo ristorante, si presentava la guida Chef Gold con sponsor il gruppo San Giovanni. Centoventi invitati, menu impegnativo studiato nei minimi particolari da Barili e i suoi collaboratori:
Tiramisù salato in cialda
Tartare di cervo e cefalo
Bombolone ripieno di carne
Cappelletti ripieni di cinghiale in brodo di abete
Cubetti di tonno marinato e cervello di agnello fritto
Carne di diaframma carciofo e katsuobushi
Seppia giovane e fegato grasso
Gnocchi non di patate alla royale di piccione
Lingua, nocciole e aglio nero
Montblanc rivisitato
Scelta dei piatti che abbracciava le diverse esperienze di Barili e imponeva un’organizzazione in cucina e nel servizio imperiose.
Tensione altissima e inizia il servizio.
Barili si aggirava vorticosamente nella cucina e redarguiva con determinazione le incertezze della squadra, un dolore al centro del petto lo tormentava dalla mattina, ma aveva altro a cui pensare.
Tutto stava filando alla grande, a tre portate dalla fine, un rumore di piatti fracassati a terra attira l’attenzione di alcuni cuochi nelle vicinanze e vedono Barili rovinare a terra senza perdere conoscenza. Non respiro disse
No niente ambulanza, rovinerebbe la serata, qualcuno mi accompagni in ospedale. Voi continuate. Enrico prendi tu il comando della cucina. Fatemi sapere.
A fine cena applausi calorosi per il menu e per l’intera brigata di cucina presente in sala con sorrisi di circostanza.
Alex Barili si scusa molto con voi, ma è dovuto correre al pronto soccorso per un taglio alla mano procurato da coltello e si augura che la cena sia stata di vostro gradimento. Applausi e grida di approvazione.
Dopo pochi giorni, diviso tra la soddisfazione della serata e la preoccupazione del dolore che non accennava a diminuire, pensava di aver scampato il peggio.
Improvvisamente non sentì più rumori e voci, vide medici e infermieri agitarsi intorno al letto, poi una infermiera che saltava con tutto il corpo sul suo petto, chiuse gli occhi perché aveva una gran voglia di dormire.
Si risvegliò in un ospedale che non conosceva, intubato senza poter parlare e circondato da monitor con numeri colorati.
Non si sforzi, non può parlare, ha subito un trapianto di cuore, gli disse un medico.
Non riusciva a pensare. Non capiva. Vedeva la moglie e i figli dietro un vetro, piangevano e allora pianse anche lui.
Notti in bianco dai dolori, supplicava antidolorifici e una bottiglia di acqua frizzante, il giorno anche peggio tra esami e medicazioni.
Un mese dopo un virus maledetto gli perforò l’intestino, fu operato d’urgenza in piena notte e si svegliò con un sacchetto di plastica appiccicato alla pancia, le abbiamo tagliato l’intestino e fatto una colostomia, tra qualche tempo si potrà togliere se non ci saranno complicazioni.
Tra quanto? Almeno un anno.
Dialisi, sacchetto, cuore di altra persona, il suo corpo lo aveva abbandonato e lui non accettava quelle menomazioni e la domanda si ripeteva incessante: perché non mi avete lasciato morire.
Dopo sei mesi di ricovero, a pochi giorni dal Natale, complicazioni a catena, incazzature furiose per il cibo scadente, rassegnato, fortemente dimagrito, senza muscoli e nella testa incubi terrificanti, paura e luoghi inesistenti da film horror, presenti parenti e amici, la sua amata nipote coinvolta in un doppio gioco di spionaggio tra Irlanda e Gran Bretagna, passaggi di documenti tra i traghetti ormeggiati in porto utilizzando le catene di ancoraggio,
acqua tanta acqua sempre e mancanza di aria e di respiro.
Ritornò nella sua Viareggio in ambulanza. Non era più lui, demotivato, era stato lasciato ignaro dei problemi del ristorante. Senza la sua presenza i clienti erano diminuiti e il buon andamento del ristorante ne risentiva, nonostante Enrico Mazzarini -il suo vice- avesse fatto un ottimo lavoro nella conduzione della cucina.
Non era più lui, si chiedeva perché non fosse morto come il suo idolo musicale Lucio Dalla, perché un cuore a lui, un cuore di chi batteva nel suo petto. Lo confortava solo la vista del mare

Capitolo  7
Tornato in ufficio, sulla scrivania ingombra di fogli, ma senza soprammobili né fotografia da famiglia felice, perché non ne aveva, accese il computer e con la solita difficoltà iniziò a vedere notizie di persone scomparse che potevano essergli utili. Il maresciallo Nespeca chiamò il vicebrigadiere Tagliamonti per vagliare le denunce di scomparsa lungo le località della costa a nord di Livorno. Per iniziare.
Sarà un lavoro lungo e noioso brigadiere, confido nella sua precisione. Mi aggiorni appena ha un quadro completo. Buon lavoro.
A casa la sera con birra fredda e panino preso dal tunisino all’angolo sprofondò sul divano davanti la televisione. Iniziò a guardare ‘C’era una volta in America’, versione integrale, sapeva che sarebbe durato alcune ore e ne fu felice, non sarebbe rimasto solo nelle lunghe notti insonni.
Sapeva le battute a memoria, ogni tanto si distraeva e pensava al reggiseno nero della magistrato e sognava la camicetta di seta aprirsi bottone dopo bottone.

Capitolo 8
Alex Barili il famoso Chef da riviste patinate di settore internazionali era morto la sera della famosa cena per la guida Chef Gold, un trionfo.
Era consapevole di essere un sopravvissuto, prigioniero di un corpo non suo che rifiutava.
Non per il cuore di un’altra persona, quelle sono considerazioni da canzone d’amore. La dialisi gli tagliava le gambe tre volte a settimana e lo privava di energia vitale. Il ristorante funzionava grazie alla professionalità del suo vice Mazzarini, il suo ruolo era mettersi la giacca da Chef e girare per la sala a salutare i clienti. Poi si dirigeva nel suo ufficio e si sdraiava esausto sul divano, ansimando.
Non si occupava più della cucina e del menu, in realtà aveva perduto ogni interesse.
Passava molto tempo a letto a leggere e vedere film sul tablet. Aveva iniziato i racconti noir di Jean-Claude Izzo, La trilogia di Fabio Montale, si respirava il mare di Marsiglia, il suo Tirreno.
Un giorno, prima dell’arrivo della brigata di cucina, volle cimentarsi a fare un piatto di mare, una pasta con la gallinella appena consegnata. Fumetto, una parte di polpa in infusione a crudo, una parte per la salsa con fico e pinoli, spaghetti ripassati in padella e guarniti con gocce di limone e gallinella cruda ed erba cipollina. Il profumo non era male.
Si abbassò a prendere il piatto nello scaldavivande sotto il tavolo e rialzandosi la testa gli
iniziò a girare, perse l’equilibrio e cadde rovinosamente a terra. Il rumore del piatto fracassato fece accorrere Hamid, inserviente indiano, che lo aiutò a rialzarsi da terra.
Grazie Hamid, va meglio non si preoccupi. Lo disse senza convinzione con gli occhi umidi.
È finita, pensò tra sé. Non ha più senso rimanere.
Percepiva gli sguardi compassionevoli del personale e dei clienti che avevano iniziato a capire la vera situazione, al di là dei sorrisi di circostanza.
Pensava sempre più spesso al suicidio, ma non trovava il coraggio.
Una sera uscì in sala per il solito saluto ai clienti, vide a un tavolo una coppia di anziani vestiti modestamente e imbarazzati, soprattutto lui.
Piacere Eros Giannelli, lei è mia moglie Ines.

Capitolo 9
La mattina può iniziare presto o tardi non importa, ma deve iniziare con la moka del caffè da tre preparata con cura. Bevuto bollente. Odiava i caffè fatti a casa con la macchinetta finto bar, erano imbevibili e Nespeca cercava di evitarli a tutti i costi.
Arrivato in ufficio il vicebrigadiere Tagliamonti lo aggiornò sulle denunce di persone scomparse e delle caratteristiche del corpo ripescato in mare. Un commercialista di Lucca ha chiuso lo studio e fatto perdere le sue tracce, un titolare di ferramenta a Massa pieno di debiti, un pescatore a Lido di Camaiore sono due giorni che non risponde al cellulare.
Mentre sfogliava Il Tirreno lesse una notizia curiosa nelle pagine interne, famoso chef stellato chiude improvvisamente il suo rinomato ristorante Il Galeone a Viareggio; si vocifera un litigio feroce con la moglie causa una giovane cameriera.
La storia si ripete pensò tra sé.
Tagliamonti sai cosa ti aspetta, prendi la macchina e ti fai un giro nei luoghi interessati a raccogliere informazioni, in borghese. Non mangiare in posti costosi altrimenti non ti rimborsano. Tornò a leggere l’articolo de Il Tirreno, parlava della brillante carriera dello chef di Viareggio, tale Alex Barili e dei suoi guai seri di salute che lo avevano portato a un trapianto di cuore d’urgenza a Milano. La parola cuore non poté che attrarre la sua attenzione.
Telefonò in Procura per ottenere un incontro con la magistrato. Entrando notò che la dottoressa De Dominicis quel giorno indossava una gonna nera che nella posizione seduta arrivava sopra il ginocchio, lasciando scoperte parte delle gambe ancora abbronzate e la bella caviglia sottile, con scarpe nere a tacco medio. Incarnava benissimo il fascino elegante della quarantenne, pensò.
Maresciallo lei ha sempre l’aria di essere con il pensiero altrove, mi dica.
Stavo riordinando le idee della inchiesta, abbiamo alcuni nomi sui quali lavorare io e il vicebrigadiere Tagliamonti; personalmente mi allontanerò per un giro in Versilia, devo verificare alcuni indizi.
La prego maresciallo mi tenga aggiornata sullo sviluppo delle indagini.
Un ultimo sguardo poco fuggevole alle caviglie della magistrato e uscì dalla stanza.
Da quanto tempo non vedeva una donna nuda, forse dai tempi della relazione con la moglie di un suo superiore a Pescara, con più anni di lui ma che lo travolse, anche troppo.

Capitolo 10
Alfio Giannelli e il suo amico motociclista dopo una giornata in sella alle loro moto, cercavano un relax serale nel nightclub di un albergo nel paese vicino. Giovani ragazze in abitini sexy e scarpe con tacco alto, vendevano le loro attenzioni ai clienti al ritmo bevuta di pessimo spumante per 20 minuti.
Alfio incrociò lo sguardo di una ragazza mora stranamente in disparte, si avvicinò e ordinò una bevuta.
Come ti chiami? Da dove vieni? Per rompere il ghiaccio. Lei rispose Miriam e vengo da Ungheria.
Doveva fare finta di crederci, bevve un sorso che gli andò di traverso e iniziò a raccontare la sua storia e i suoi giri in moto. Il suo amico stava facendo lo stesso con una bionda appariscente in un tavolo vicino.
Raccontò del suo lavoro nella fabbrica chimica e della azienda agricola di famiglia. E della sua infelicità.
Lei ogni tanto si distraeva e guardava con discrezione l’orologio.
Dovette prendere un secondo giro di spumante, il bicchiere di lei era finito, il suo lo versò nel ficus di plastica.
Odiava il suo lavoro e non sopportava i genitori con la loro azienda agricola, gli mancava il respiro, si sentiva frustrato e sognava di cambiare vita in un posto lontano.
Non solo sognare a dire il vero. Nel giro in moto precedente, aveva messo gli occhi su un casale di montagna in vendita con un bel pezzo di terra a pascolo. Una stalla abbandonata era la premessa per iniziare un piccolo allevamento di capre e pecore, in alta Val Maira, nelle Alpi povere del cuneese.
Alla ragazza si illuminarono gli occhi, non si aspettava un progetto di quella natura, di solito vogliono tutti aprire un bar su una spiaggia ai Caraibi.
Non mi chiamo Miriam e non sono ungherese. Prendiamo una terza bevuta.
Mi chiamo Gohar e vengo dall’Armenia, i miei genitori e mio fratello sono pastori, hanno capre, pecore, fanno formaggi e uno yogurt straordinario, introvabile qui da voi.
Alfio dopo attimi di silenzio, disse che potevano cambiare vita entrambi, insieme, nella casa che aveva visto.
In tre bevute non le aveva messo la mano sulla coscia, mai successo.
Iniziarono a fantasticare del loro progetto, della divisione dei compiti, della stalla, del caseificio artigianale.
Però voglio fare anche lo yogurt, disse lei con un sorriso innocente.
Il tempo era finito e lei non poteva rimanere ancora, si dettero appuntamento il giorno dopo, ora di pranzo nella piazza del paese. Non si scambiarono i numeri di telefono, sarebbe stata la prova che la sua era una proposta seria e non le solite fandonie che raccontavano sempre i clienti un poco ubriachi.
Si salutarono con un bacio sulla guancia e la promessa di rivedersi l’indomani.
Alfio e il suo amico presero le moto e si diressero verso il loro albergo non molto distante.
Alfio era radioso di come fosse andata la serata con Gohar.
Non si accorse di essere entrato in curva troppo velocemente, per mantenere l’equilibrio invase la corsia opposta proprio mentre stava arrivando un furgone.
L’impatto fu violento, frontale, senza scampo. Il suo amico che seguiva vide tutto con terrore.
Lo portarono in ambulanza all’ospedale di Brunico.

Capitolo 11
Il ristorante era chiuso, solo alcuni operai stavano facendo lavori di manutenzione, con discrezione iniziò a fare domande anche a curiosi di passaggio, alcuni con il cane.
Dopo la malattia e il trapianto di cuore non è più stato lui, era il tratto comune, gli affari andavano bene ma non più come prima della malattia quando a gestire tutto era Alex Barili in persona.
Improvvisamente scomparso dopo un furioso litigio con la moglie/manager del ristorante, sembra per una relazione con una giovane stagista della cucina arrivata da poco.
Tutto successo la settimana precedente.
Barili amava la pesca e la caccia e possedeva un capanno in un canneto sul mare nelle vicinanze, in una delle poche zone selvagge rimaste. Lo divideva con i suoi amici appassionati cacciatori e pescatori come lui.
Trafficando con il navigatore dello smartphone, con imprecazioni in dialetto stretto sanbenedettese, riuscì ad arrivare al capanno non senza difficoltà. Ultimo tratto a piedi in una zona umida, scarpe basse, sempre con imprecazioni.
Il capanno era in ordine, il pontile era vuoto e della barca nessuna traccia.
Forse a quest’ora il signor Barili era su qualche spiaggia da sogno con la sua giovane fiamma, pensò.
Si era fatta ora di pranzo, lo capiva dai richiami del suo stomaco.
Passò nella locale caserma dei carabinieri e dopo essersi qualificato chiese del sottufficiale impegnato nelle indagini della scomparsa di Barili.
Vista l’ora chiese al vicebrigadiere di andare a pranzo per avere uno scambio di informazioni sul caso.
Carne o pesce maresciallo? Pesce.
Conosco una trattoria frequentata da pescatori e operai, dalla Marisa detta culobello.
Ambiente rustico, un poco rumoroso ma autentico, era soddisfatto.
Lei è Agnese la nipote della Marisa che aprì la trattoria durante la guerra.
Blocchetto e penna alla mano, abbiamo spaghetti con moscardini bianco o pomodoro,
spaghettini alle vongole veraci bianco, la pasta è di un piccolo pastificio artigianale toscano. Per secondo, guazzetto di palamite alle erbe o fritto di paranza. Contorni insalate miste dell’orto, ci sono anche delle verdure di campo ripassate in padella.
Il maresciallo Nespeca amava le trattorie con menu di pochi piatti, secondo mercato, odiava i menu sterminati stampati e plastificati.
Vino? Abbiamo uno sfuso bianco naturale della provincia di Lucca, produttori stravaganti, bio qualche cosa.
Mi scusi brigadiere Ricci non ricordo il suo nome? Giuseppe maresciallo.
Dal suo accento non è toscano. Sono di Cesenatico. Allora siamo entrambi del mare a rovescio. A rovescio?
Siamo di un mare levantino dove il sole gira al contrario, ci è precluso il tramonto, Adriatico
poco romantico, da gente mattiniera.
Mi dica quello che sa riguardo la scomparsa del signor Barili.
Il brigadiere Ricci raccontò a brevi cenni la brillante carriera di cuoco, le capacità manageriali e la grave malattia che lo costrinse a un trapianto di cuore e le gravi conseguenze di salute, fino a pochi giorni prima, quando fu sorpreso nella cucina del ristorante con una donna in atteggiamenti inequivocabili. La moglie in un atto di ira incontrollata, iniziò a rompere ogni cosa presente in sala e disse di volere il divorzio immediato. Da quel giorno il
signor Barili è scomparso, probabilmente con la sua amante. I tradimenti si pagano.
Lo sapeva bene il maresciallo Nespeca, perché la causa dei suoi incontri sessuali con la moglie di un superiore, fu il motivo reale del suo trasferimento a terra destinazione Livorno. In quel momento gli venne in mente la cinquantenne Grazia, moglie di un colonnello, soprannominata Sala Macchine, perché non si fermava mai durante un amplesso, non solo con il maresciallo Nespeca.
Venne coinvolto nella sparizione di un sequestro su uno yacht lussuoso, cocaina in abbondanza, lui che non aveva fumato altro nella vita che Toscani e Gauloises senza filtro.
Il maresciallo pagò il conto della trattoria dopo un caffè corretto alla sambuca e ringraziò il brigadiere per le utili informazioni.
Troppe coincidenze e le coincidenze non esistono, salvo eccezioni.
Ripassò davanti il ristorante di Barili chiuso per manutenzione e notò un anziano dall’aspetto dimesso immobile a fissare il ristorante.
Buongiorno sono il maresciallo dei carabinieri Nespeca, cercava qualcuno, è un parente?
No, solo curiosità del perché un ristorante così bello è chiuso, parto adesso per la stazione, mi aspetta un lungo viaggio, e si allontanò con una piccola valigia in mano.
Soliti curiosi pensò il maresciallo. Qualcosa non lo convinse, iniziò una corsa per raggiungere l’uomo, con un fiatone da non riuscire a parlare, chiese dove fosse diretto in treno, Mantova rispose con faccia preoccupata. Semplice curiosità grazie.

Capitolo 12
Alex Barili la sera del furioso litigio con la moglie, si diresse in macchina verso il suo capanno di caccia, nascose il fuoristrada in un fienile poco distante per non essere visto.
Non aveva molto tempo, voleva provare la efficienza del motore della piccola barca ormeggiata al molo traballante, davanti il capanno e poi sarebbe ritornato al ristorante per un appuntamento con un uomo.
Nel tragitto a piedi dalla macchina al suo capanno sentì un sollievo, una leggerezza d’animo, accennò anche un sorriso. Arrivato al capanno iniziò ad armeggiare con il motore della barca per metterlo in moto. Tirò fuori dalla tasca un lembo di stoffa di una vecchia divisa da cuoco, lo srotolò e prese una pasticca, la mise tra i denti perché voleva provare la sensazione adrenalinica di avere in bocca una pasticca di cianuro.
Il motore della barca iniziò a girare in una nuvola di fumo acre. Bene pensò, ci faccio un giro per sicurezza che funzioni, più tardi avrebbe dovuto funzionare senza intoppi.
Si staccò dal piccolo molo di legno e iniziò ad aumentare il gas dalla manopola, l’aria salmastra in volto riportò alla mente felici ricordi di una vita vissuta intensamente. Quasi si dimenticò di avere la pasticca tra i denti e decise di toglierla.
Una distrazione fatale, non si accorse del tronco in mare, l’urto fu violento, perse equilibrio e andò a sbattere con il volto sul bordo della barca, sentì la pasticca schiacciarsi tra i denti, prima di chiudere gli occhi definitivamente riuscì a dare uno sguardo d’amore all’orizzonte del suo mare macchiato di fucsia e accennò un sorriso.
Il corpo privo di vita proseguì il movimento e cadde in acqua, la barca prima di affondare lo travolse e l’elica del motore gli squarciò il petto provocando il distacco del cuore.
Lo sterno già tagliato verticalmente con un frullino per il trapianto di cuore, facilitò la macabra sequenza.
Alex Barili finì la sua vita così come aveva desiderato, abbracciando il suo mare, testimone delle lunghe nuotate mattutine prima di recarsi al ristorante, del calore materno del sole sulla pelle salmastra sdraiato a riva, piacevolmente spossato, felice a guardare le nuvole in un puzzle della natura, cielo cobalto a nascondere il buio dell’infinito e la paura di essere soli, come aveva visto nel film ‘The Truman show’. Lo spettacolo è finito.
Il suo corpo privo del cuore estraneo, sospinto dalla brezza di maestrale, iniziò il viaggio funebre verso sud, senza ali di folla plaudente.
Eros Giannelli, dopo avere aspettato inutilmente due ore davanti il ristorante, decise di tornare verso la pensione dove aveva alloggiato con la moglie Ines, durante il viaggio per incontrare il destinatario del cuore di loro figlio.
Non aveva fame per la tensione della giornata, la corriera di mattina presto fino a Mantova, il treno, le coincidenze, il pensiero a cosa avrebbe dovuto fare sul corpo del signor Barili, sudava e sentiva freddo. Decise di comprare una bottiglia di lambrusco in una bottega aperta, la mise nella piccola valigia di finta pelle color verde marcio, insieme alla piccola roncola avvolta in un vecchio lenzuolo e andò in camera.
Il lambrusco e la stanchezza fecero il loro effetto, si addormentò vestito.
La mattina dopo, con la testa pesante e lo stomaco vuoto, decise il da farsi. Aveva dormito bene stranamente, dalla morte del figlio e la rovina della sua vita coniugale passava notti insonni intervallate da brevi dormite.
Telefonò a casa e disse che doveva rimanere qualche giorno in fiera per concludere un affare. Un filo di voce rispose, fai come vuoi.
Era sollevato di non avere dovuto fare la orribile operazione, come da accordi presi, asportare il cuore di suo figlio dal corpo del signor Barili nel capanno, portarlo a largo con la barca e gettarlo in mare. Tornare al capanno, rientrare in albergo con il motorino preso a noleggio, con il cuore in una busta di plastica a chiusura ermetica avvolto in un lenzuolo nuovo e l’indomani partire in treno.
Decise di prendersi qualche giorno di vacanza, i primi di una vita spesa a lavorare la terra con fatica.
Lasciò la valigia in camera e uscì a fare colazione in un bar pasticceria dal profumo di crema e caffè.
Prese un motorino a noleggio e iniziò a girare la città e zone circostanti, per la prima volta si fermò a fissare il mare. La bellezza del mare.
Arrivato il giorno della partenza, si diresse a piedi alla stazione e passò davanti il ristorante, lo fissò con emozione e ringraziò mentalmente il signor Barili per il gesto estremo, di generosità nei loro confronti.
Un uomo gli si avvicinò, un maresciallo dei carabinieri, scambiarono poche parole.
Arrivò a casa a tarda sera, la moglie era già a letto, si recò nell’orto o meglio di ciò che rimaneva di un orto florido, scavò una buca e ci seppellì il lenzuolo vuoto.
Dopo essersi lavato e indossato il pigiama di flanella, si accorse dei piatti coperti sul tavolo della cucina, del vino e il bicchiere coppato. In un piatto tagliatelle al ragù, nell’altro coniglio in potacchio e fagiolini.
Non era mai successo dalla morte di Alfio.
Il maresciallo Nespeca entrò nell’ufficio della dottoressa De Dominicis, novità maresciallo?
Notò la camicetta aperta di un bottone più del solito, il reggiseno nero, a contenere un seno prorompente, le belle gambe nude slanciate dal tacco alto accavallate sotto la scrivania, le mani affusolate con smalto scuro, tailleur blu di ordinanza, capelli arruffati di ottimo taglio. Un brivido gli percorse la schiena.
Maresciallo a cosa sta pensando?
Riordinavo le idee dottoressa. Il corpo che abbiamo trovato al porto era di tale Alessandro Barili, un ristoratore di Viareggio abbastanza famoso, scomparso da pochi giorni, dopo una furiosa litigata con la moglie perché scoperto a.. non riusciva a trovare il termine giusto, …scopare maresciallo? Esattamente, dicevo dopo si diresse al suo capanno per sfogarsi con un giro in barca. Un incidente in mare a causa di un ostacolo improvviso ha provocato la caduta in acqua e l’elica gli ha squarciato il petto lacerando gli organi interni.
Aveva la cassa toracica fragile a causa di un trapianto di cuore. Hanno ripescato una parte della barca impigliata nella rete di un peschereccio e la macchina nascosta in un fienile, forse per non avere scocciature. I sommozzatori stanno perlustrando il fondale alla ricerca del motore e del resto dell’ imbarcazione. Il corpo è arrivato fino a noi spinto dal maestrale di nord-ovest. Le farò al più presto un rapporto dettagliato.
Grazie maresciallo Nespeca, sempre efficiente e discreto. Conosce bene i venti vedo, complimenti.
Per un attimo al maresciallo passò l’idea di invitare la magistrato a mangiare in un ristorante sul mare, fu un solo attimo per una idea folle.
Aspetto il suo rapporto maresciallo e volevo anticiparle che nei prossimi giorni, dopo i riscontri di prassi, sarò costretta a fare una visita ai colleghi di Viareggio e le chiederò di accompagnarmi. Proverò ad assaggiare un piatto di pesce dietro suo consiglio. Arrivederci. Il maresciallo Emidio Nespeca uscì con passo svelto.

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