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Il Carignano del Sulcis e la forza delle sue vigne secolari a piede franco

Attorno al focus “Il Carignano del Sulcis ed il piede franco” tenutosi durante l’evento La Sardegna di Vinodabere del 21 gennaio scorso, si sono sviluppati gli interventi dei relatori, della stampa e degli operatori di settore sul vitigno più rappresentativo dell’areale che ancora oggi fa valere il suo prestigio e i suoi inconfondibili sapori.

La zona del Sulcis, terra di carbone, di miniere e di Carignano, è caratterizzata in buona parte da viti a piede franco coltivate ad alberello su sabbie ferrose in cui affondando le proprie radici, in grado di resistere alla forte salsedine che arriva dal mare, al vento Maestrale e alle scarse precipitazioni.

Tre, le aziende presentate in questa giornata, con batterie da quattro vini in verticale, introdotte dal Direttore di Vinodabere Maurizio Valeriani, da Dario Cappelloni di Doctor wine e dal giornalista Luca Matarazzo, tutti massimi divulgatori di questa meravigliosa terra.

 

Vi raccontiamo Enrico Esu con le parole di Luca Matarazzo che apre il sipario introducendo la Cantina, da poco visitata, piccola e in un percorso di qualità incredibile.

“Fu l’ultima tappa di un bellissimo viaggio in Sardegna, perché, come molte volte detto, in Sardegna non vado per il mare da secoli, ma per il vino. È un appuntamento fisso. La bellezza di vedere un’azienda piccola perché poi Enrico in realtà non nasce come vignaiolo, lo diventa con il tempo. Riprende in mano dei vigneti antichi che aveva piantato il nonno nel ‘ 58 e alcuni prodotti derivano proprio da queste vigne, piantate nella sabbia dove affonda il piede, e quando ho camminato in mezzo a quelle vigne mi sono trovato la sabbia fino al ginocchio. Le vigne in questo paradiso stanno una meraviglia.”

 Alberelli ultracentenari alti meno di un metro che hanno delle rese bassissime, crescono liberi sopra il bacino carbonifero, su suolo alluvionale estremamente povero, drenante e ricco di argilla, senza nessun sostegno e forti abbastanza da affrontare il vento sferzante. I grappoli sono talmente vicini al terreno che grazie al riverbero della luce sulla sabbia raggiungono una maturazione tale da ottenere ottimi risultati.

Enrico Esu coltiva circa dieci ettari che distano dal mare otto chilometri, mai reimpiantati, producendo poco meno di 10 mila bottiglie.

 

 

Siamo a sud-ovest della Sardegna, nel Comune di Carbonia, ove è ubicata la Cantina a pochi chilometri dall’isola di Sant’Antioco. Zona storica e terra di miniere, tant’è che Enrico Esu dedica il suo lavoro proprio alla fatica dei suoi genitori e di suo nonno, in particolare, che non era viticoltore ma lavorava, come tanti abitanti della zona, all’estrazione di quell’oro nero che dava da vivere.

Il Carignano sembrerebbe un’uva da una grande potenza, in realtà è una varietà piuttosto fragile, soffre anche di tante problematiche, ha bisogno di tanta ventilazione, tanto sole, detesta profondamente l’umidità, le piogge, soffre di oidio e peronospora.

Si ricorre a tecniche agronomiche antichissime per la gestione del vigneto e, in molti casi, le piante vecchie vengono rimpiazzate sotterrando il loro stesso tronco che ormai è improduttivo, dal quale nascerà un nuovo capo a frutto con una nuova vigoria.

La Cantina Esu ha cominciato di recente e le sue prime sperimentazioni risalgono al 2014, rappresenta un po’ la nouvelle vague del Carignano – afferma Cappelloni –  mentre le altre due aziende in degustazione sono storiche.

Indubbiamente c’è l’incidenza del vitigno ma il territorio prevale senza alcun dubbio e le espressioni del Sulcis si riconoscono spesso nel calice anche alla cieca.

Dario Cappelloni: “Ora avremo una dimostrazione lampante di cosa sia il Carignano. A volte viene scambiato per un vino un po’ monolitico, monocorde. Ecco oggi ne avremo una palmare smentita e secondo me l’interpretazione di Enrico Esu è tra le più raffinate, più fini, più fresche che si possano sentire nonostante le rese ridicole, qualche etto per ceppo, quindi è veramente una cura certosina, non c’è un grappolo che non sia perfetto.”

 

 

Carignano del Sulcis Nerominiera – Enrico Esu 2020-2019-2018-2017

 

Annate, risultato di rese infinitesimali, accompagnate dalla freschezza, da una densità di frutto e da sentori di macchia mediterranea impressionanti che insieme alla qualità dei tannini ne fanno i cardini di questa Azienda. Caratteristiche che colpiscono per un vino che affina solo in acciaio per poco più di 12 mesi; è una versione del Carignano che fa dell’eleganza e dell’attenzione la cifra stilistica.

Partiamo dalla 2017, una delle primissime annate, che non dimostra affatto i suoi anni, si trova in una fase di buon comporto con una freschezza preponderante nonostante l’annata sia stata molto calda e siccitosa con temperature intorno ai 50 gradi in vigna. La sua integrità di frutto fresco deriva, con ogni certezza del caso, dal suo terreno che permette all’apparato radicale di settant’anni di sopravvivere grazie all’umidità trovata nelle sue profondità.

Note di marasca e macchia mediterranea rappresentano il tratto distintivo al naso ed il suo sorso speziato, meno impressionante, è pur sempre morbido e gradevolmente lungo.

Intrigante la 2018 salvata dalle piogge del resto della Sardegna che qui, nel lembo meridionale sulcitano, ha regalato l’eleganza, con quella connotazione un po’ rustica e artigianale dietro una complessa succosità di frutto. Un vino pastoso nelle sue sensazioni gustative con tannini delicati che rendono la beva scorrevole e impressa nella sua lunghezza. Ne riparleremo tra qualche anno.

 

 

Le due annate, 2019 e 2020, sono espressioni massime del territorio e forse anche della Sardegna; c’è un’incredibile presenza di macchia mediterranea, una firma indelebile custodita nei calici che rende il vino riconoscibile anche alla cieca.

Nella 2019 per il vignaiolo è andato tutto come doveva andare, la 2020 ha qualcosa in più su tensione, finezza, eleganza. Impeccabili e di altissimo livello entrambe, dai sentori complessi di mora e frutti di bosco croccanti arricchiti dalla compostezza dei tannini con un finale avvolgente e iodato, essenza del territorio.

Il solo affinamento in acciaio amplifica il frutto, mantenendo i connotati di freschezza e sapidità, di slancio e dinamismo di beva. Nella sua eleganza contadina è sorprendente.

 

Carignano del Sulcis Riserva Is Arenas – Cantine Sardus Pater 2018-2017-2016-2015

Cooperativa Sociale storica, raccontata dal suo Presidente, Raffaele de Matteis, che nasce nel 1949 e costituita oggi da  250 soci che gravitano nell’area del Carignano, dalla zona di Carbonia sino a Teulada. La sua nascita è dovuta alla grande produzione di uve necessaria per approvvigionare di vino la fiorente città di Carbonia con i suoi minatori e come  taglio utilizzato dai francesi per migliorare i propri vini.

Quando la Francia cominciò ad utilizzare la canna da zucchero, crollò il commercio del vino sfuso e per la mancanza di consumo del prodotto e una sovrapproduzione di uve, i governanti si convinsero ad autorizzare le pratiche di espianto riducendo in quindici anni la superficie vitata da 72 mila a 20 mila ettari (⅔ del vigneto).

Oggi possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che la cooperativa ha raggiunto livelli di qualità altissimi, grazie anche alla gestione tecnica affidata all’enologo Cotarella, puntando alla valorizzazione del Carignano e rimanendo fedeli allo stile autentico del territorio.

 

Perché Sardus Pater? L’isola di Sant’Antioco è stata una grande e importante colonia romana tant’è che fu coniata anche una moneta nel 59 a.C. La presenza delle uve qui viene riscontrata nei reperti rinvenuti della civiltà Nuragica (40 i Nuraghi censiti e non sono tutti riconoscibili) dove sono stati ritrovati semi di uva. Gli archeologi sostengono che già dai Nuraghi nel periodo delle escursioni marinaresche, i primi navigatori portarono l’uva sull’isola dalla Mesopotamia e dalla parte dell’alto Egitto.

 

 

I vigneti di Sardus Pater dimorano a Sant’Antioco, un’isola nell’isola, sulla sabbia a piede franco con sesti di impianto antichissimi, ad un’altitudine pari a zero e rese intorno ai 35 quintali/ettaro. Qui il Carignano – che prende il nome di Is Arenas, ovvero “le sabbie” – ha una sapidità accentuata poiché le viti di ottant’anni sono situate in una particolare area dove l’influenza del mare, dei suoi due venti, Maestrale e Scirocco e della salsedine hanno una grande importanza.

 

Questa Riserva di Carignano ha una particolare e costante longevità. Le uve sono totalmente diraspate, la vinificazione e la fermentazione alcolica avvengono in acciaio e affina tre anni in cantina di cui nove mesi in barrique di Allier di secondo, terzo e anche quarto passaggio e sei mesi in bottiglia.

Un vino di buona concentrazione che fa della sua succosità, della sua straordinaria sapidità e del finale salato quasi iodato, un’identità ben precisa.

Nelle vecchie annate questo vino non perde lo smalto, mantiene il colore rosso rubino bello intenso, quasi impenetrabile, al palato i tannini sono ammorbiditi dal passaggio in legno, non troppo nuovo che permette il mantenimento dei sapori del vitigno.

Una grande qualità dimostrata dalle cantine sociali sarde che, come Maurizio Valeriani tiene a sottolineare, sono seconde solo a quelle del territorio altoatesino.

 

Ma vediamo nel dettaglio le caratteristiche di ogni annata:

2015: la sua carica mediterranea e aromatica è inconfondibile come anche il suo sorso “salino” per un vino bagnato dal mare. Intrigante e complesso per i suoi aromi di mirto, alloro, ginepro mostra una beva convincente, ampia ed elegante, ricca di sfumature speziate. Tannini evoluti chiudono il finale lungo e persistente di macchia mediterranea.

 2016: è la più equilibrata e composta delle annate portate a confronto, ha molti anni davanti a sé. Vino rotondo e armonico che presenta il conto con un bel concentrato di frutta rossa matura, note balsamiche e speziate. Un’espressione chiara di materia, slancio, energia, e più si torna al calice più si hanno sensazioni diverse ed evolute. Una partenza ottimale per un vino che ancora deve dare il meglio di sé.

 

 

2017: annata sfavorevole e debole dal punto di vista climatico dove l’enologo è riuscito a recuperare in qualcosa. Rispetto ai campioni precedenti c’è una sensazione tannica diversa, più palpabile.

 2018: ritroviamo il frutto, le spezie e le sue erbe aromatiche che ci ricordano sempre dove siamo. Da giovane quale è dimostra la forza per il tempo che verrà, finezza ed eleganza per soddisfare al momento i nostri palati. Il suo sorso ampio e avvolgente fa capire ogni fibra del suo spessore.

 

 

Carignano del Sulcis Superiore Terre Brune – Cantina Santadi 2018-2015-2008-2002

A presentare la cantina c’è il direttore commerciale Massimo Podda: “Santadi è una Cooperativa sociale di lunga storia, nasce nel 1960 grazie a venti soci coraggiosi; vede periodi bui quando ci fu la diminuzione del movimento dei vini sardi verso l’esterno. La scelta strategica avviene nel 1976 quando cambia la presidenza capitanata, ininterrottamente fino ad oggi, da Antonello Pilloni, persona nota nel mondo del vino a livello nazionale. Il coraggio e l’ambizione di puntare in alto porta alla consulenza e collaborazione di altissimo profilo del famoso enologo Giacomo Tachis che inizia nel 1980 e già nel 1984 nasce la prima annata del Terre Brune che venne commercializzata quattro anni dopo”.

Affinamento in barrique di rovere francese per metà nuove per ogni annata e di secondo passaggio l’altra metà per diciotto mesi e un lunghissimo riposo in bottiglia che va al di là di quello previsto dal disciplinare per uscire sul mercato con un prodotto già composto e armonioso.

Oggi i soci sono poco più di 220 per 650 ettari di cui 150 a piede franco con vigne prospicienti il mare (addirittura alcune sono tanto vicine che finisce la vigna e inizia l’acqua).

 

 

L’influenza del mare è una caratteristica intrinseca: la sapidità, quasi salinità, che ritroviamo nei vini e il riverbero stesso del maestrale che fa sì che la rugiada si posi sulle foglie sono un qualcosa di raro che offre risultati straordinari.

Il Terre Brune di Santadi non è stato soltanto uno dei più grandi Carignano prodotti in Sardegna ma “il vino che ha insegnato il Carignano” ed è stato uno dei grandi rossi italiani negli anni ’90.

Nato dall’assemblaggio di Carignano (95%) e Bovale Sardo (5%) è un vino da saper attendere.

Quattro annate in degustazione:

La 2002 è stata una buona annata in Sardegna rispetto al resto d’Italia. Il vino ha avuto il tempo di affinarsi e mostra un equilibrio incredibile e un’integrità di frutto nonostante siano passati più di venti anni, e anche nel colore mostra una gioventù impressionante. Consistenza golosa di frutti e di tabacco sono ad attendervi con sorso maturo teso verso la liquirizia e le note chinate per un lungo finale piacevolmente iodato.

Troviamo la 2008 in una fase interlocutoria ma probabilmente ci è capitata una bottiglia non particolarmente in forma.

La 2015 rende il calore dell’annata, ha un potenziale di lunghezza di vita che avremo modo di valutare nel tempo. Sentori di frutta matura da confettura con eleganti note minerali e di spezie dolci che ritroviamo eterogeneamente anche in bocca con una leggera tostatura nel finale. Fine ed elegante.

Il 2018 è molto fresco e giovane, da attendere. All’inizio della sua carriera regala una bellissima eleganza. Un rosso rubino intenso con nuance sanguigne, croccante nei suoi frutti, introduce un sorso caratterizzato da tannini vibranti.

È stata un’annata molto piovosa (piogge concentrate tra fine luglio e agosto, una situazione pressoché tropicale). Non era facile e scontato riuscire ad avere, in generale per tutte le cantine del territorio, vini intensi ed equilibrati. Santadi produce quasi due milioni di bottiglie l’anno e tutt’ora le vendemmie sono  esclusivamente manuali, le rese sono volutamente molto contenute e questo aiuta anche in annate così complicate come questa.

 

 

 

Luca Matarazzo (Vinodabere): A che punto siete e cosa manca ancora a livello di comunicazione dei vini sardi?

(“È veramente complicato pensare che vini così belli abbiano una somma mancanza di diffusione anche comunicativa”)

 

Massimo Podda: “Intanto sono d’accordo con la riflessione e la giro immediatamente a mio favore, dico a me stesso che abbiamo l’opportunità di migliorare e ampliare quella che è la conoscenza. In realtà non è assolutamente banale questa tua considerazione, è vero che nell’ultimo ventennio le cantine sono aumentate in maniera importante, oltre 400 tra piccole, medie e grandi realtà. Lavorando bene tutti, aiutiamo il movimento del vino sardo ad affacciarsi nel resto d’Italia e all’estero in modo più serio e professionale. La cosa non basta. Quello che dobbiamo fare, discostandosi dal vino, è coinvolgere di più la Regione Sardegna. Questo è un lavoro, rispetto ad altre Regioni, che dobbiamo sviluppare meglio. Riuscire a promuovere la Sardegna e poi di conseguenza tutti i settori, c’è molto lavoro da fare.”

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Sono un'Archivista Digitale nel campo editoriale, dedico la mia vita ai libri perché come dice Kafka "un libro rompe il mare ghiacciato che è dentro di noi". Così lo è anche il vino. Lui mi ha sempre convinto in qualsiasi occasione ed è per questo che dal 2018 sono una Sommelier Fisar, scrivo e racconto con passione sui miei canali e in varie testate giornalistiche la storia dei territori, gli aneddoti e il duro lavoro dei Produttori in vigna e in Cantina. Ho seguito un corso Arsial al Gambero Rosso Academy sulle eccellenze enogastronomiche del Lazio e presto servizio in varie eventi per il Consorzio Roma Doc e per il Consorzio Tutela Vini Maremma. Inserita con orgoglio in Commissione Crea Lab. Velletri come membro esterno per le degustazioni, sogno e aspiro a diventare con il tempo una vera giornalista.

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