Evidentemente alle feste di nozze, se ben riuscite, si finisce col prendere gusto. In casa Biondi Santi da un po’ va così. Celebrata l’unione solenne (e decisiva) tra il più seminale e fondante dei brand di Montalcino e il gruppo francese EP di Charlers Descours (moda, lusso, super premium nel beverage) ecco, a cascata, l’annuncio di un nuovo sposalizio in famiglia.
Stavolta riguarda il fresco braccio distributivo di BS e uno dei poulain della scuderia di cui la premiata ditta ilcinese è entrata a far parte: Piper-Heidsieck.
Biondi Santi distribuirà in Italia i prodotti “alti” della maison nata (ci risiamo) da un matrimonio, quello tra la vedova Heidsieck, moglie del defunto nipote del fondatore Florens (tedesco, arrivato per affari in zona poco dopo il 1780 e rimasto lì a far vino per amore di una residente) e il suo chef de cave, mr. Piper appunto, da cui la somma dei cognomi.
Il marchio P-H fa parte della costellazione EP dal 2011, coabitando in pariglia sotto la stessa proprietà con l’altro Champagne targato Heidsieck (il Charles). Con una lunga e pionieristica storia alle spalle, 5 milioni di bottiglie prodotte come obiettivo vicinissimo nel mirino, settimo posto tra le grandi case per produzione, 80% esportata in circa cento Paesi, P-H è senz’altro un classico del suo mondo. Ma dal blasone – va detto subito e senza troppe remore cerimoniali – un filo ossidato da una parentesi produttiva non agganciata ai sussulti di vertice dell’universo champagnotto.
Ora, però, qui si pedala schietto per il rilancio. P-H conserva la continuità “storica” e grafica dei suoi rossi (a simbolica memoria degli innamoramenti e delle passioni responsabili di nascita e nome), nonché la propensione a combinazioni decisamente ardite (per tutte, il celebre cofanetto con dentro, insieme alla bottiglia, la riproduzione, a cura del celebrato e “dorato” artefice Louboutin, autore di famose calzature femminili dalla suola tinta di scarlatto, di una scarpa dal tacco “stiletto” in cristallo da usare come coppa “fetish”).
Ma rinnova decisamente contenuti e stile avvalendosi dell’opera del più giovane chef de cave dell’intera regione: il precocissimo giramondo e appena trentatreenne Emilien Boutillat, doppia laurea in enologia e ingegneria agricola, enfant du pays (nasce in una famiglia di récoltant della Champagne) ma poi in giro, via via, tra Sud Africa, Cile, California, Nuova Zelanda e Bordeaux (Chateau Margaux) per capire come va il vino e il mondo, dal 2014 tornato in patria e poi in sella da Piper-Heidsieck come successore di Régis Camus, autentica istituzione della casa.
A lui, dunque, il compito di governare un sistema forte di 150 vini di riserva; 240 conferitori; 100 cru da cui attingere; sette etichette (per ora) in gamma.
Nette le scelte di fondo: ambiente (no pesticidi, no erbicidi, agricoltura “pulita”); solo acciaio, e non legno, per i suoi vini; e dunque, di contraltare però, malolattica quasi sempre svolta a smussare le asperità più unghiute. Sul fronte dosaggio, infine: misura, ma flessibilità e adattamento rispetto a materia e annata, senza preconcetti.
Primi nodali banchi di prova, i due Piper Heidsieck della linea Essentiel, la nouvelle vague aziendale, quelli che (insieme al Vintage) distribuirà Biondi Santi escludendone almeno per ora l’immissione nei canali GDO e riservandoli invece a enoteche, ristorazione, wine bar etc.
Eccoli dunque i rampolli, degustati in diretta web con lo chef de cave e, per BS, con Giovanni Lai, “deus” per l’Italia del commerciale della gloriosa ditta.
Quasi per metà Pinot Noir (47%), generosa fodera di Meunier (31%) e il 22% di Chardonnay ad allungarne il profilo, tre anni sui lieviti, 18% di riserve nel blend, base prevalente il millesimo 2014, l’Essentiel cuvée ha energia e sostanza: nel paniere delle sensazioni, susina (netta e schietta), pera, venature di frutta secca (mandorla) e nuances delicate di forno e pasticceria.
Deciso all’approccio, sostanzioso, lascia una scia in cui – pur misurato: è un Extra Brut – il dosaggio lascia una piccola ma ancora percepibile impronta. Digerita, sarà cavallo da tutto percorso, a tavola e da calice puro.
Altra storia, come è giusto, il Blanc de Blancs: ovviamente solo Chardonnay, 35% di vini di riserva a fasciarne la silhouette, alcuni mesi in più sui lieviti, 4 grammi di dosaggio (contro i 5 dell’altro), più delicato ed elastico insieme, soave al tatto, andatura aggraziata, un tempo si sarebbe detto femminile, ma dal finale arguto e affusolato grazie a tracce saline in piacevole dialettica con la spezia. Gli gioverà ancora un minimo di tempo in vetro. Ma si fa voler bene già ora.
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia