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Fradiavolo l’eretico: quando l’ingegneria incontra la pizza (e spacca il mondo della ristorazione)

Nel movimentato mondo della ristorazione italiana, dove la tradizione è spesso intoccabile, c’è chi ha deciso di rimescolare le carte. Di recente ho partecipato a un evento targato Fradiavolo e credo che, al di là della piacevole serata, sia una storia tutta made-in-Italy che merita di essere raccontata. Ma chi è Fradiavolo? Parliamo di una catena di pizzerie, nata nel 2018 grazie all’intuizione di Mauro D’Errico e Gianluca Lotta, oggi parte del portafoglio di Alto Partners SGR, un gestore indipendente di fondi di investimento che aiuta le piccole e medie imprese italiane a crescere. Con 32 punti vendita tra Italia, uno a Miami e circa 400 dipendenti, Fradiavolo non è solo un successo in termini di numeri, ma un vero e proprio caso studio di come una mentalità gestionale intraprendente e l’approccio scientifico possano trasformare anche un prodotto iconico e tradizionale come la pizza.

La genesi di Fradiavolo affonda le radici in un momento di difficoltà. Dopo l’apertura delle prime cinque pizzerie nel 2019, nonostante il successo iniziale, emerse la consapevolezza che il modello fosse difficilmente controllabile e scalabile. Questa scintilla innescò una profonda riflessione: occorreva affrontare il mondo della pizza con la managerialità e la scientificità tipiche del mondo industriale, superando quei “dogmi culturali che spesso ne condizionano il risultato”.

La vera rivoluzione di Fradiavolo, come raccontano i suoi fondatori, ha preso forma durante un periodo di crisi. “Credo che ogni crisi sia un acceleratore di processi. Durante il Covid ci siamo detti: o ne usciamo cambiati o non ne usciamo”, ci ha raccontato il giovane e sveglio direttore marketing. Questo periodo di pausa forzata ha permesso di ingegnerizzare i processi produttivi della pizza.

Ma cosa significa concretamente “ingegnerizzare” la pizza? Significa automatizzare le fasi di produzione di un alimento che ha nell’80% della sua natura la manualità, dove l’artigianalità è sempre stata vista come imprescindibile per la qualità. Fradiavolo ha sfidato questa convenzione, dimostrando che è possibile garantire una qualità certa e costante anche replicando il processo su larga scala.

Come? Con un ERP (un software che aiuta a gestire e controllare in modo preciso ogni fase del lavoro, dagli ingredienti ai costi) che monitora ogni briciola, un laboratorio a Torino dove l’impasto nasce in camere bianche degne della NASA e un sistema di spedizione delle “palline” a temperatura controllata in tutti i punti vendita. E quando l’impasto arriva? Entra in gioco una speciale “schiacciapizza“, progettata su misura: invece di schiacciare e sgonfiare l’impasto come farebbe un semplice rullo, lo “massaggia” delicatamente. Questo permette di mantenere le bolle d’aria all’interno e ottenere il cornicione bello gonfio e soffice, proprio come vuole la tradizione napoletana (ma nell’offerta non manca anche la versione bassa romana).

La rivoluzione prosegue in cottura, grazie ad un forno a tunnel con resistenze a temperature diverse in ingresso e in uscita, che riproducono il movimento manuale del pizzaiolo quando sposta la pizza in vari punti del forno per assicurarsi una cottura ottimale. Risultato? Anche 250 pizze l’ora con lo stesso sapore a Torino, Milano, Roma o Miami.

Ma l’artigianalità? Qui la posizione è chiara: “se non la rendiamo replicabile, l’artigianalità vera rischia di andare persa”. Dal loro punto di vista, senza un metodo chiaro e replicabile, quello che oggi chiamiamo “artigianalità” rischia di essere perso nel tempo o alterato. Se, per esempio, la qualità di una pizza dipende tutta dall’esperienza o dall’umore del singolo pizzaiolo, senza regole precise, non sarà mai garantita da un locale all’altro, o da un anno all’altro. Codificare i gesti – cioè stabilire dei processi precisi – serve proprio a proteggere il sapere artigianale, rendendolo stabile e tramandabile. Non si tratta, insomma, di sostituire la mano dell’uomo con macchine fredde, ma, sempre secondo il loro pensiero, di codificare i gesti migliori e far sì che siano riproducibili con la stessa cura.

Una posizione che convince il mio lato ingegneristico, ma che mi lascia anche qualche dubbio…ovvero quello che, in un certo senso, si perda quella parte viva e spontanea dell’artigianato che, pur non sempre perfetta, dà unicità e carattere a ogni creazione. L’omologazione del gusto (pur di altissima qualità) rischia di rendere l’esperienza meno “emozionale” o “sorprendente” rispetto a una pizzeria artigianale d’autore dove ogni pizza è un po’ unica. Ovvio che se l’obiettivo è “diventare la più grande catena di pizzeria italiane nel mondo”, allora il ragionamento non fa una piega.

In ogni caso, Fradiavolo non impiega più pizzaioli tradizionali: il nuovo modello ha eliminato la necessità del pizzaiolo classico, sostituendo un lavoro usurante, con orari massacranti e ambienti scomodi, con un’organizzazione più efficiente e sostenibile. E se è vero che nei singoli locali servono meno addetti alla pizza, è altrettanto vero che grazie alla standardizzazione dei processi è stato possibile aprire molti più punti vendita, creando nel complesso più posti di lavoro rispetto al passato.

Numeri alla mano, Fradiavolo non ha intenzione di fermarsi. Dopo Miami, stanno per aprire tre locali in Costa Azzurra (Nizza e Monte Carlo, ma in Francia hanno intenzione di aprire 100 locali nei prossimi due anni) e hanno già messo gli occhi su Hong Kong, Singapore e altre città americane come Orlando e il Texas. Negli USA infatti l’idea piace: pizza “fatta in Italia e assemblata localmente” è un vanto, un po’ come l’iPhone che nasce in California ma viaggia in mezzo mondo prima di finire nelle nostre tasche.

E i cocktail? Anche su questo fronte Fradiavolo ha deciso di innovare. Inizialmente avevano provato ad abbinare la pizza al vino, ma il risultato non è mai decollato davvero. Così, oltre alla classica birra, hanno deciso di sperimentare con i cocktail, sia per offrire qualcosa di nuovo ai clienti sia perché sono grandi appassionati del genere e molto amici dei ragazzi di Freni & Frizioni, storico locale romano famoso per i suoi drink. Da questa amicizia è nata la collaborazione: “una selezione di cocktail di alta qualità serviti alla spina, senza bisogno di un barman dedicato, ma con la stessa cura di un drink preparato al momento”.

La formula è già attiva in alcuni locali italiani come Roma Trastevere e Sempione, Milano, Rimini e Genova, ed è pensata soprattutto per l’estero, dove l’abbinata pizza-cocktail può avere un bel mercato.

A Trastevere, pur senza un bancone strutturato, ho bevuto un buon Moscow Mule come aperitivo e un Americano che si abbinava perfettamente alla “sostanziosa” pizza. Insomma, Fradiavolo sta portando avanti una sfida ambiziosa: innovare senza snaturare, crescere senza perdere il legame con il prodotto. Un progetto coraggioso, con idee chiare e grande attenzione ai dettagli. Riuscirà a diventare la prima catena italiana di pizza al mondo? La strada è tracciata, i numeri incoraggianti, ma come sempre sarà il tempo a dire se questa visione saprà consolidarsi davvero su scala globale.

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Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).

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