L’uva Ruchè ha una storia davvero singolare. Fa parte a pieno titolo della categoria “vitigni riscoperti”, e fin qui nulla di strano, in Italia ne abbiamo ormai a decine. In questo caso, però, a parte la peculiare origine ampelografica che ne fa uno dei rari vitigni rossi semi-aromatici (è attestato dal CNR che si tratta di un incrocio di Croatina e Malvasia aromatica di Parma), la notizia da copertina è che è un’uva salvata da un parroco.
Non ci fosse stato don Giacomo Cauda, il Ruchè negli anni Settanta era ormai spacciato, per colpa della sua difficile gestione in vigna (pianta rigogliosa e zuccheri fuori scala) che aveva fatto preferire ai viticoltori i più rassicuranti Barbera e Grignolino.
Ma don Giacomo, appena arrivato a Castagnole Monferrato, intuì da vero figlio di contadini del Roero che quell’uva profumatissima, tradizionalmente utilizzata dalle famiglie locali per la produzione di un vino alcolico e zuccherino, aveva doti inimitabili; e presto la vinificò in purezza per poi ripiantare un vigneto esclusivo: nacque così la Vigna del Parroco, primo Ruchè con bottiglia ed etichetta (e cru), destinato a far nascere una denominazione che oggi conta una trentina di produttori e un milione di bottiglie annue, con notevoli fette di mercato anche all’estero.
Don Cauda ha perpetuato un’antica e storica consuetudine degli uomini di Chiesa con il vino. “Che Dio mi perdoni – scrisse nei suoi ultimi anni – per aver a volte trascurato il mio ministero per dedicarmi anima e corpo alla vigna. Finivo la Messa, mi cambiavo in fretta e salivo sul trattore. Ma so che Dio mi ha perdonato perché con i soldi guadagnati dal vino ho creato l’oratorio e ristrutturato la canonica”.
Doc nel 1987, Docg dal 2010, il Ruchè di Castagnole Monferrato è riuscito a ritagliarsi uno spazio nell’affollatissimo panorama del vino piemontese.
Nel 2020 è stata introdotta la tipologia Riserva, a sfidare il luogo comune che lo vede adatto al consumo solo in giovane età. Oltre a Castagnole, può essere prodotto in altri sei comuni dell’astigiano: Montemagno, Grana, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi.
Siamo in bassa collina, tra i 100 e i 350 metri s.l.m., su terreni di marna calcarea, più sabbiosa in alcune zone, con presenza di fossili marini.
Lo spunto per un piccolo approfondimento sul Ruchè nasce da una degustazione, avvenuta nelle scorse settimane, dei vini di una delle aziende che ha puntato di più su questa tipologia: Ferraris.
Fresco di laurea in agraria, a inizio millennio Luca Ferraris decise di prendere in mano l’azienda di famiglia, che da decenni ormai non vinificava più in proprio ma conferiva le uve alla Cantina Sociale, e di imbottigliare da sé il vino.
Producendo tutte le tipologie presenti nel territorio ma con una predilezione speciale per il Ruchè. Così è nato l’Opera Prima, pensato appositamente per l’invecchiamento, e nel 2016 sono stati acquistati i terreni di don Giacomo da cui era partito tutto: la Vigna del Parroco. Oggi Ferraris si estende su 28 ettari di cui 21 coltivati a vigneto e produce circa 180.000 bottiglie, di cui più di un terzo di Ruchè.
È proprio Luca a confermare che quella per il Ruchè è una passione tormentata: è “una pianta di estrema vigoria vegetativa, con una produzione di femminelle pazzesca. E questo è stato un po’ il motivo per cui è stata abbandonata, quando la varietà non era importante, se ne sceglievano di più semplici da coltivare. Nella lavorazione manuale, un filare con la stessa lunghezza di Ruchè richiede quattro volte il tempo la gestione quello della Barbera”.
Ma la ricompensa arriva: è un vitigno con una aromaticità unica, dalla componente floreale (rosa, viola, geranio) alla trama dolce e speziata, vinosità unita ad un frutto croccante che richiama le more di rovo, le ciliegie e le amarene, toni boschivi e balsamici, un leggero ricordo di spezie orientali ed erbe officinali.
La degustazione che segue riguarda i quattro Ruchè prodotti dall’azienda, una Barbera e un originale bianco da Viognier.
Oltre al sottoscritto hanno partecipato cinque amici e colleghi che collaborano con Vinodabere.it: il direttore Maurizio Valeriani, il fondatore Daniele Moroni, Emanuela Pistoni, Gianni Travaglini e Maurizio Gabriele (brillante factotum di Bordolese.it).
I punteggi in calce alle schede di degustazione sono la media puntuale delle valutazioni del panel.
Piemonte Viognier Doc Sensazioni 2019. Vinificazione e affinamento in acciaio, con frequenti bâtonnages per rimescolare le fecce fini col vino evitando rischi di ossidazione. Naso pulito ed espressivo, erbe aromatiche, bergamotto, agrumi canditi, miele, frutta secca ed esotica, banana, pera e pesca. Sorso di buona dinamica e discreta persistenza, sapido, dalla tendenza amarognola in chiusura, con bella scia floreale e minerale. 87,6
Barbera d’Asti Superiore Docg La Regina 2016. Viti molto vecchie dal grappolo piccolo e spargolo. Fermentazione e invecchiamento per 18 mesi in tonneaux da 500 litri. Note eteree all’olfatto, accenni di tostatura, more e amarene, sottobosco, spezie, china, rabarbaro, ginepro. Molto succoso e vellutato in bocca, ha corpo e struttura, intenso finale su toni di cioccolata fondente e frutti scuri del bosco. 87,9
Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Sant’Eufemia 2019. Affinato in acciaio, è una versione giovane e agile di Ruchè, vino perfetto per una sbicchierata senza pensieri. Profumi esuberanti, rose e ciliegie, lampone e uva moscato, pepe bianco, chiodi di garofano. Bella dinamica gustativa, peso leggero ma molto succoso, non troppo profondo, si fa bere bene e lascia una piacevole scia fruttata e speziata. 89,2
Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Clasìc 2019. Invecchiato nove mesi in botti grandi di rovere. Meno espansivo e aromatico del precedente, frutti scuri, spezie, petali di rosa, lavanda, tabacco, note ematiche e affumicate. In bocca è invece più strutturato, con tannini abbondanti che ancora graffiano e buona freschezza. Lunga chiusura balsamica e un po’ eterea sui frutti rossi sotto spirito. 87,3
Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Vigna del Parroco 2018. È il vino da cui tutto ebbe inizio, ottenuto dall’impianto del 1964 di don Giacomo, e Luca Ferraris gli fa onore con una grande versione. Solo una piccola parte della massa (20%) fa legno. Naso squillante di estrazione vegetale (geranio), con belle note di frutti di bosco e spezie, tamarindo e ciliegie, floreale di rosa e di viola. L’anno in più gli dà equilibrio, ha corpo, salinità, stoffa e lunghezza. Vino importante e molto persistente, con tannini fitti e rifiniti, finale luminoso con ricordi balsamici e iodati. 91,6
Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Opera Prima 2016. Vino dedicato in etichetta da Luca al nonno Martino, fondatore dell’azienda. Le uve provengono da una vigna di vent’anni, Bricco della Gioia, dalle rese bassissime (35 quintali per ettaro), e dopo un passaggio nei rotofermentatori restano altri 20-25 giorni a contatto con le bucce secondo la tecnica del cappello sommerso. Poi due anni in tonneaux e un anno in vetro prima della commercializzazione.
Spettro aromatico vario e complesso, etereo, minerale, quasi salmastro, spezie come cardamomo e pepe nero, tabacco, liquirizia, prugne secche. Sorso leggermente frenato da tannini severi e ancora da distendere, ma molto eleganti e di prima qualità. Buon finale di frutti scuri e cacao in polvere. 89,8
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia